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Varanasi e il Gange, il cuore spirituale dell’India

Varanasi e il Gange, il cuore spirituale dell’India

Viaggi Di Luigi Lazzaroni. Varanasi e il fiume Gange, la Grande Madre, il cuore spirituale dell’India.

A Varanasi abbiamo deciso di pernottare al Ganges View, un piccolo hotel sulla riva del fiume, per motivi di cuore, è l’hotel dove era solito soggiornare Tiziano Terzani. A proposito di Gange – domani non possiamo fare il giro in barca, ci spiega la guida che ci viene a salutare – il fiume è in piena ed è vietata la navigazione ma non vi preoccupate, vedremo tutto lo stesso.

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Per vedere tutto lo stesso sveglia alle cinque del mattino, è buio – dove andiamo?, chi lo sa, al Gange penso – seguiamo il nostro accompagnatore per strade poco illuminate, gente addormentata su cartoni, saracinesche abbassate, alla fioca luce delle lampadine dei chioschi c’è già chi mangia, tanti vanno nella nostra stessa direzione, giovani eccitati vestiti d’arancio, donne silenziose in sari dai colori spenti, sadhu col bastone ti scrutano accigliati e all’improvviso ti ritrovi tra la folla in cima ai gradini del ghat – quale?, chi lo sa – in basso, lungo la riva, i bramini dispensano benedizioni sotto ombrelloni da spiaggia, le fioraie vendono corone di calendule arancio, i ragazzi offrono lumini galleggianti da abbandonare alla corrente e la gente s’immerge imperturbabile nell’acqua marrone, uomini baffuti in mutande e canottiera, donne a occhi chiusi in preghiera, i ragazzi in arancio, chissà da dove arrivano, festeggiano la fine del pellegrinaggio, la luce del sole filtra tra le nuvole e spegne quella dei lampioni, la Grande Madre che tutti accoglie porta via silenziosa promesse e preghiere.

Varanasi e il Gange alle 5 del mattino

Il ritorno è tutto un girovagare tra vicoli di Varanasi dove la luce fatica a entrare, muri scrostati, manifesti strappati, mucche che mangiano la spazzatura.

Mia moglie non fa una piega, si vede che si è rassegnata, qualche esitazione in più quando deve superare un grosso toro nero fermo a meditare davanti a una saracinesca – perché molti muri sono viola?, è il colore del settimo chakra, il chakra della corona, il centro dello spirito e Varanasi è il cuore spirituale dell’india… – il resto non lo sento, ci sono due nicchie e due altarini, in uno c’è Ganesha, il dio della fortuna, tutto dipinto d’arancio, nell’altro un dio tutto nero, che sia Yama, il dio della morte? È lì che ci sta portando la nostra guida, al Manikarnika ghat, il ghat delle cremazioni. Il sole è ancora basso sull’orizzonte, a lato del vicolo grossi teli gialli coprono cataste di legna nera, una grande stadera arancio per pesarla, facchini in dhoti bianco la portano a spalla – quanto costa?, dipende dal tipo di legna e dai soldi a disposizione, comunque il più ricco a Varanasi è il re dei becchini, risponde la nostra guida con un mezzo sogghigno; da qui in avanti non si possono fare foto, aggiunge. Su una terrazza sopra la scalinata del ghat una pira sta bruciando, siamo vicini, vampate di calore, volute di fumo, odore acre, i parenti osservano in silenzio, non sai come comportarti, se capisci che stai assistendo a un funerale e non a un macabro spettacolo, lo accetti, anche se è un po’ dura.

I vicoli di Varanasi

Varanasie il Gange, il cuore spirituale dell’India: all’Assi Ghat, proprio sotto in nostro hotel, si prega. 

Le mamme spogliano i più piccoli poi con loro e le nonne tutte insieme si bagnano, fanno abluzioni, riempiono d’acqua i vasi di metallo e la riversano nel fiume pregando, gli uomini fanno la loro puja ognuno per i fatti suoi, passano seri due bramini con la tilaka di Vishnu in fronte, un sadhu accoccolato sui gradini prega a occhi chiusi, un altro semisdraiato guarda nel vuoto, una donna in sari viola fa offerte agli altarini sotto un grande peepal (ficus), una cantilena scende dagli altoparlanti del tempio in cima alla scalinata. Poi all’improvviso un calpestio, agitazione, voci che salgono dalla strada – dove vai?, vado a vedere, c’è una specie di processione – un gruppo di donne sta arrivando tra chiacchiere e richiami al chat, sari e foulard rossi, luccichio di paillettes dorate, sulla testa un vasetto di terracotta con una svastica rossa e una noce di cocco, non si bagnano, raccolgono l’acqua del Gange, selfie e foto con i cellulari, due ragazzi riprendono con una videocamera – cosa festeggiano? Così come sono arrivate se ne vanno allegre, in coda al gruppo un uomo sventola la sua bandiera arancio.

Una ragazza alla cerimonia di saluto alla Grande Madre, il Gange.

Di sera a Varanasi c’è la Ganga Aarti – ci ha detto ieri la nostra guida – la cerimonia di saluto alla Grande Madre, il Gange. 

Ed eccoci qui sul presto a prendere posto sui gradini dell’Assi Ghat tra bambine indaffarate a vendere lumini galleggianti, nell’attesa una play list di inni religiosi – a che ora inizia? – un gruppo di turisti sale su alcune barche per vedere la cerimonia dal fiume, un ventenne si siede di fianco e vuole sapere chi sono come mi chiamo da dove vengo cosa faccio, i sacrestani – si può dire così? – preparano tre tavolini sulla riva, una brocca, una specie di candeliere, fiori – a che ora inizia? – la gente si accalca sul ghat, col buio scattano i flash dei cellulari e finalmente arrivano, sono tre bramini fasciati d’oro, sono giovani e belli, fanno un figurone. La cerimonia inizia col suono antico della buccina, poi canti solenni e ipnotici, tintinnio di campanelli, movimenti sincronizzati in una liturgia sacra, scie di fumo dai bastoncini d’incenso, centinaia di lumini sulla riva sulle barche e sul fiume, la gente accompagna i canti battendo a ritmo le mani, la cerimonia raggiunge l’apice con l’accensione di tre candelieri a piramide, poi di nuovo campanelli, ventagli bianchi e neri, il suono della buccina a chiusura del rito. Dal numero dei flash una cerimonia molto apprezzata dai turisti, il momento più sincero e coinvolgente alla fine, quando i fedeli intonano un canto corale senza il luccichio dei tre bramini di bella presenza.
Varanasi è il Gange, è l’uomo in canottiera che si immerge alle sei del mattino, la donna in sari che prega a occhi chiusi, è il santone con lo sguardo perso nel nulla e la cenere della pira abbandonata alle acque sacre della Grande Madre.



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Luigi Lazzaroni

Luigi Lazzaroni
Non credo nell’astrologia ma mi ritrovo in alcune caratteristiche del mio segno, ovviamente quelle che mi fanno più comodo: l’Acquario ama sentirsi libero e sente il bisogno di spostarsi continuamente, adora viaggiare, è attratto da tutto ciò che è nuovo, ha idee continue che gli girano in testa, gli Acquario sono sognatori. Confermo al cento per cento. Per il resto studi classici, laurea scientifica giusto per cambiare, pittura nei periodi di meditazione, fotografia sempre, in montagna da solo o con gli amici, in giro per il mondo con una moglie che mi tiene nel mondo reale tranne che in Amazzonia dove non vuole proprio venire.



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