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Recensione: Le palline di zucchero della Fata Turchina, di Piero Dorfles

Recensione: Le palline di zucchero della Fata Turchina, di Piero Dorfles

Libri Recensione di Davide Dotto. Le palline di zucchero della Fata Turchina. Indagine su Pinocchio di Piero Dorfles (Garzanti). La particolareggiata disamina critica delle avventure di Pinocchio, specchio di quello che siamo stati e, crescendo, siamo diventati.

Il povero Gatto, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non poté mangiare altro che trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana; e perché la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato!
La Volpe avrebbe spelluzzicato volentieri qualcosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dové contentarsi di una semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto. Dopo la lepre, si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchie, di lucertole e d’uva paradisa; e poi non volle altro. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla alla bocca.
- di Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio

Sarà un sintomo di pinocchiolatria, di pinocchiofilia ossessiva, ma quando penso che c’è chi dice, con malcelato disprezzo, che Pinocchio non l’ha mai letto, mi ribello. Leggete Le avventure di Pinocchio, disgraziati! Non sapete cosa avete perduto; e ora cerco di spiegarvelo.
- di Piero Dorfles, Le palline di zucchero della Fata Turchina

Pinocchio da più di centotrent’anni entra nel nostro immaginario. Non solo – o non necessariamente – tramite Collodi. Per chi è nato negli anni Settanta, molto probabilmente il primo approccio è avvenuto con la trasposizione di Comencini. Nulla di male in questo, se non fosse per il rischio di una lettura procrastinata a tempo indeterminato. Non è, infatti, la stessa cosa leggere (o farsi leggere) Pinocchio a sei anni, quando si aprono gli occhi curiosi sul mondo; a dodici l’impatto è sicuramente diverso, perché la personalità è definita, come le domande e le risposte di cui si va in cerca. In età adulta emergono con prepotenza il linguaggio di un testo ottocentesco, le efficaci forme dialettali in disuso, e tutta una serie di «allusioni e messaggi» che difficilmente un «lettore in età scolare» potrà scoprire.

A seconda delle età cambiano i personaggi con i quali si è in sintonia (o ci si immedesima persino). 

A sei anni si è Pinocchio: si vive in una sorta di eterno presente, il passato e il futuro sono dimensioni troppo astratte per essere concepite. A dodici, quattordici si è ribelli come Lucignolo, mentre a quaranta è scontato intendersela col Grillo Parlante.
È vero quindi che le Avventure di Pinocchio non sono soltanto un libro per bambini, ma un libro sui bambini e cioè «su come sono fatti, su com’è il loro mondo, su come si articola il loro linguaggio e il processo di organizzazione del pensiero che lo sostiene». Queste le parole di Carlo Dorfles che ne Le palline di zucchero della fata turchina dedica al romanzo un esauriente e particolareggiato resoconto critico.

Numerosi i temi passati in rassegna. 

Si va per esempio alla disamina delle bugie del burattino che provocano l'allungamento del naso, e di altre moralmente inconsistenti:
– Aprimi! – intanto gridava Geppetto dalla strada.
– Babbo mio, non posso, – rispondeva il burattino piangendo e ruzzolandosi per terra.
– Perché non puoi?
– Perché mi hanno mangiato i piedi.
– E chi te li ha mangiati?
– Il gatto, – disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampine davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di legno.
– E la casacca, babbo?
– L’ho venduta.
– Perché l’avete venduta?
– Perché mi faceva caldo.
Per mentire mentono un po’ tutti, a rigore pure la fata turchina e, in forza del proprio ruolo, il Gatto e la Volpe.

Interessante l’attento esame delle interpretazioni, talora fantasiose, date alla favola di Collodi. 

Se sono suggestive le tracce che comprovano tangibili richiami evangelici (più o meno consapevoli), esorbitante appare la minuziosa rilettura in chiave cattolica fatta dal cardinale Giacomo Biffi nel  noto saggio Contro Maestro Ciliegia. Quasi naturale associare il burattino wireless ai Golem, ai Frankenstein o persino agli androidi replicanti di Philip Dick, se non fosse che Pinocchio preesiste alla sua stessa creazione. Nasce ed era già nato, «Pinocchio è, per così dire, già in atto».



Pinocchio esiste prima di essere costruito perché ha un ruolo da giocare: la sua ribellione alla pialla di maestro Ciliegia lo destina alle mani di Geppetto, che vuole costruirsi un burattino. E il burattino che non solo sa parlare, ma è dotato di personalità prima ancora di nascere, ha una filosofia e un progetto di vita.
- di Piero Dorfles, Le palline di zucchero della Fata Turchina

Sempre in tema di interpretazioni, non è trascurabile l’epoca del racconto.

Il romanzo esce nel 1883, a conclusione – o quasi – dell’Età Risorgimentale. Col senno del poi, tra le pagine, si tirano un poco le somme di quella esperienza, tra lo sconforto, la rassegnazione di aspettative frustrate e la diffidenza nei confronti delle nuove istituzioni:
«Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione»
Ma ormai l’Italia è fatta e le Avventure di Pinocchio rinsaldano, specie sul piano linguistico, l’identità di un popolo in formazione. Il riferimento al De Vulgari eloquentia di Dante è tutt’altro che marginale, condividendone, nei fatti, la missione: rivolgersi al popolo significa parlare la sua lingua. In sostanza è «portare il pane agli affamati», così Chiara Mercuri nel recente Dante, una vita in esilio. La qual cosa ci introduce alle metafore gastronomiche presenti un po’ ovunque.
Attraverso di esse emerge il ritratto della società di allora – sul finire del XIX secolo – decisamente differente dalla attuale:
Spesso, per trovare il paragone giusto per definire un personaggio o una situazione, Collodi attinge a elementi della gastronomia. L’omino che porta al Paese dei balocchi è untuoso come una palla di burro e ha un visino di melarosa; Geppetto, invecchiato, è come di panna montata; lo stomaco del Pesce-cane sa di pesce fritto; l’acqua del ruscello è color caffè-e-latte; il Pesce-cane inghiotte la barchetta di Geppetto «come un tortellino di Bologna», e deglutisce Pinocchio «come avrebbe bevuto un uovo di gallina».
- di Piero Dorfles, Le palline di zucchero della Fata Turchina

In questo modo affiora un’Italia contadina, povera ma fiera.

Che per sopravvivere si accontenta di tre pere (bucce e torsoli compresi), cede alla tentazione di un cavolfiore condito con l’aceto, o festeggia – quando può – con panini imburrati sopra e sotto. Nulla a che vedere col pasto pantagruelico del Gatto e la Volpe all’Osteria del Gambero Rosso, o con la cucina della borghesia cittadina descritta da Pellegrino Artusi nel celebre La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene (del 1891):
La scienza in cucina è uno straordinario lavoro di ricognizione antropologica e di arguto commento alla gastronomia dei ceti abbienti; le Avventure sono il ricordo indelebile di una indigenza diffusa, di una fame atavica, di magrezze patologiche, che in Italia sono state sconfitte soltanto nel secondo dopoguerra.
- di Piero Dorfles, Le palline di zucchero della Fata Turchina

In conclusione, merita di essere fatta una riflessione su Le palline di zucchero della Fata Turchina di Piero Dorfles. 

Certo le cose sono molto cambiate e le privazioni di allora sono state dimenticate. Anche per questo, in fondo, le Avventure di Pinocchio sono «lo specchio, rivolto al passato, della cosa che siamo stati e [...] non saremo mai più». Non c’è verso che le ristrettezze di un tempo possano ripresentarsi tali e quali. La povertà che l'Occidente benestante teme non è quella dell'universo contadino, è piuttosto la crisi di un modello che ci ha svuotato di troppe cose: è la povertà vergognosa del paese di Acchiappa Citrulli, del Gatto e la Volpe che vanno a carità, assai lontana da quella dignitosa di Geppetto che, comunque, trova la forza di adeguarsi alle traversie che ciclicamente si alternano alla buona sorte. Alla fine - ecco perché il libro di Pinocchio merita una rilettura - vince davvero chi ha più risorse, non necessariamente economiche.


Le palline di zucchero della Fata Turchina Indagine su Pinocchio di Piero Dorfles

Le palline di zucchero della Fata Turchina
Indagine su Pinocchio

di Piero Dorfles
Garzanti
Saggio
ISBN 978-8811604334
Cartaceo 13,60€
Ebook 9,99€

Sinossi
Le avventure di Pinocchio è uno dei libri più noti al mondo: ogni anno si aggiungono nuove versioni teatrali, cinematografiche e a fumetti. I protagonisti - da Lucignolo al Grillo Parlante, da Mangiafoco al Gatto e la Volpe - sono entrati nell'immaginario collettivo a simboleggiare vizi e virtù del nostro paese. Ma qual è il segreto del suo successo? Perché il burattino nato dalle mani di Geppetto è diventato così popolare? Riportandoci come per incanto a spasso tra il Paese dei Balocchi e l'osteria del Gambero rosso, Piero Dorfles ci dimostra come in fondo non possiamo fare a meno di questo burattino perché in lui ci riconosciamo, perché è il simbolo del nostro essere stati giovani, monelli e incoscienti. Noi lo amiamo così tanto perché rappresenta tutto quello che, diventati adulti, a lungo rimpiangiamo: l'essere liberi, senza senso del dovere né complessi di colpa. In altre parole, perché Pinocchio siamo noi, e rappresenta quello che siamo stati, quello che crescendo siamo diventati, e insieme le nostre aspirazioni più profonde per quello che saremo.

Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.


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