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Recensione: La stupidità del male, di Ermanno Bencivenga

Recensione: La stupidità del male, di Ermanno Bencivenga

Libri Recensione di Davide Dotto. La stupidità del male. Storia di uomini molto cattivi di Ermanno Bencivenga (Feltrinelli). Il male non ha dignità intellettuale e non è sorretto da nessuna logica, però esiste e si verifica con regolarità nel mondo.

L’arte dell’Ottocento ha forse raggiunto il suo culmine quando ha mescolato il folle riso con la più imperterrita discesa nelle tenebre.
- Pietro Citati
Il Male non è che un’esperienza transitoria, non sta né nel Principio, né nella fine. Bisogna passarci in mezzo, ecco tutto.
- Pier Paolo Pasolini, Petrolio
La stupidità del male. Storie di uomini molto cattivi, di Ermanno Bencivenga porta avanti l’indagine di Hannah Arendt sviluppandone e ampliandone assunti e conclusioni. L’approccio è razionale, volto a valutare se vi sia nel male un principio ordinatore, una logica. Il risultato della ricerca è – come l'illustre precedente – precorso dal titolo.
I piani del discorso sono essenzialmente due: quello descrittivo e quello normativo. Il piano descrittivo (logica dell’accadere) studia le connessioni di causa ed effetto. Il piano normativo invece considera ciò che deve o dovrebbe accadere, sul presupposto che non è auspicabile vivere in un mondo privo di legge. Il postulato di fondo è l’imperativo categorico di Immanuel Kant in base al quale «un mio comportamento è giusto, o è bene, quando le sue motivazioni varrebbero per chiunque si trovi al mio posto, quali ne siano le condizioni e le preferenze» ovvero: «agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale».

Il male è privo di una sua logica: nessuno vorrebbe che un comportamento ingiusto divenisse una legge universale.

Tuttavia i due piani, facilmente sovrapponibili, conducono altrettanto facilmente alla più insidiosa delle aporie: alla fallacia naturalistica.
Si consideri soltanto il racconto di Italo Calvino La pecora nera, contenuto nella raccolta postuma Prima che tu dica pronto: in una comunità di ladri vige una sorta di equilibrio per il fatto che ciascuno si dedica al furto: nessuno si arricchisce a danno degli altri. Nel momento in cui un membro non si allinea al costume generalizzato, manda in tilt l’intero sistema perché vi sarà qualcuno che resta a mani vuote. Quell'unico onesto, insomma, crea una distinzione che prima non c’era, tra ricchi che rubano e poveri che non rubano; non ultime le tensioni sociali da arginare attraverso istituzioni pubbliche di cui prima non si avvertiva il bisogno.

Se il male non ha un fondamento logico, rischia di non averlo nemmeno il bene.

Per quanto paradossale, il racconto di Italo Calvino ci invita a non sottovalutare proprio le condizioni, le preferenze escluse dall'imperativo categorico kantiano: esse spesso fanno la differenza imponendo eccezioni e deroghe. I piani quindi, (normativo e descrittivo) si confondono e il principio razionale del bene si frantuma. Se il male non ha un fondamento logico, rischia di non averlo nemmeno il bene.
L’aporia però riguarda non il bene o il male in sé, ma qualsiasi costruzione logico-formale. O, per essere più chiari, il piano normativo ma non quello descrittivo (la logica dell'accadere). Quest'ultimo non può che prendere atto che «il male esiste e si verifica con regolarità nel mondo ed è, anzi, preponderante». La stessa cosa vale ovviamente per il bene: il bene esiste e si verifica con regolarità nel mondo; che sia o non sia "preponderante"è un altro paio di maniche.
Ciò non toglie che la banalità o la stupidità del male («il fatto cioè che non esistano teorie del male che siano lontanamente paragonabili per complessità e spessore e ricchezza di dettagli alle teorie del bene») è comunque argomentabile. A parlare siano per esempio i punti fermi stabiliti dalla dichiarazione universale dei diritti umani, codificati a conclusione di un estenuante percorso storico che l’ha resa non solo auspicabile ma necessaria.


A parlare siano gli incontri, parimenti estenuanti, dei governi in occasione della Conferenza di pace di Versailles del 1919 intese a creare le condizioni che impedissero, in futuro, la carneficina della Prima Guerra Mondiale. E a parlare, ancora, sia la Conferenza di Pace tenuta all’Aja nel 1899 e voluta dallo zar Nicola II, in seguito alla lettura - pare -  de La guerra futura di Jan Gotlib Bloch. Questo è raccontato con efficacia da Emilio Gentile nel recente Ascesa e declino dell’Europa nel mondo (1898-1918).

Fatte queste precisazioni, gli assunti de La stupidità del male di Ermanno Bencivenga mantengono la loro validità. Non vi sono differenze tra un male fisico e un male morale. Semplicemente essi accadono. 

Non c’è un perché, e quelli cui si ricorre (perché mi serve, perché mi piace, perché è male, perché non posso farne a meno), sono tautologici e opachi, mai risolutivi.
Gli esempi di uomini molto cattivi passati in rassegna (tra i quali Adolf Hitler trasfuso nel Mein Kampf, gli eccessi del marchese De Sade, le opere del Conte di Lautreamont) non fanno che dimostrare le premesse di fondo: il male nelle sue manifestazioni è assimilabile a un terremoto, a un’alluvione. È stupido e banale, non ha ragioni, semplicemente accade. Ciò non deve assolvere chi lo compie, dato che ha e ha avuto mezzi e intelligenza per attuarlo.
Ci sono tra le righe altri paradossi che è giusto sottolineare.

Piano normativo: le giustificazioni razionali del male in sé sono prive di dignità letteraria e non meritano di avere seguito.

Eppure hanno riempito libri, hanno avuto (hanno?) sostenitori, e talvolta persino una pretesa validità scientifica. Il riferimento è per esempio all'opera di Joseph Arthur de Gobineau (1812-1882), Essai sur l'inégalité des races humaines che Adolf Hitler ha avuto ben presente.

Piano descrittivo: il male in sé nel suo accadere ha avuto, ha e avrà dignità letteraria essendo stato esaminato, scandagliato, ritratto nei più grandi romanzi dell'Ottocento. 

Si veda per uno sguardo analitico Pietro Citati, Il male assoluto - nel cuore del romanzo dell'Ottocento.
Il fatto è che è assai difficile stabilire su quale piano ci troviamo quando abbiamo di fronte la prosa del Marchese De Sade. Ricorda Ermanno Bencivenga:
Trascorso circa un secolo, e pur in presenza di critiche vigorose, la figura di Sade è stata ampiamente riabilitata ed è divenuta, per molti, oggetto di fascino e fonte di stimolo (lo stimolo e il fascino che combatto qui). Guillaume Apollinaire lo ha definito "lo spirito più libero mai esistito" e lo scrittore francese Pierre Guyotat ne ha parlato come del "nostro Shakespeare" attribuendogli "lo stesso senso della tragedia, la stessa grandezza"
Stimolo e fascino sono le parole chiave del discorso: a questo punto potremmo nutrire legittime perplessità circa lo sguardo compiaciuto di Guy de Maupassant verso il comportamento di alcuni suoi personaggi: in Bel Ami (la cosa viene biasimata da Tolstoj) e in Una vita.
In conclusione si può aggiungere che molto spesso è la logica dell'accadere a suggerire cosa deve o non deve avvenire. In fondo non c'è azione che non abbia le sue conseguenze, non tutte prevedibili:
Mefistofele: «Sono una parte di quella forza che vuole sempre il Male ed opera sempre il Bene».
- Goethe, Faust

I principi stessi dell'agire possono essere condizionati, più che dalla bontà dell'azione singola, dagli effetti. 

La cosa si fa assai delicata (meno stupida e banale) nei rapporti internazionali, nonché in tutto quello che riguarda il governo della cosa pubblica. Angoscioso, illuminante, terribile e ai limiti è il monologo di Toni Servillo nel film di Sorrentino Il Divo, inteso a far emergere le ombre più fosche della Ragion di Stato.
Se la filosofia pone la domanda, è la letteratura a fornirci più di un suggerimento, autorizzata com'è a rompere gli indugi della logica, addentrandosi nel terreno della poesia e delle sue suggestioni. Verrebbe da dire che un principio d'ordine (quale il bene) senza il caos non avrebbe senso, che il bene e il male – se non hanno il medesimo principio logico – hanno un'origine comune: il tempo, lo spazio, le vicissitudini del genere umano.


Il bene e il male, ci insegna da secoli la letteratura, esprimono da sempre la duplicità e la libertà dell'essere umano.

La stessa che spinge un uomo colto e razionale come Faust a concludere il patto con Mefistofele: nel suo caso il male viene abbracciato non per un difetto di cultura o di conoscenza (per stupidità), ma proprio perché essa gli è di intralcio. Faust è pervaso da una sorta di impotenza (questo non lo puoi fare e invece lo vuoi fare) e di incompletezza (si pensi solo al Visconte Dimezzato di Calvino). Senso di impotenza e di incompletezza esorcizzati e scansati da Nietzsche (nel suo caso sarebbero necessarie opportune precisazioni), D'Annunzio e dal Manifesto del Futurismo (solo per fare qualche esempio).
Si tratta di un argomento che schiude molte porte. Quella della tragedia: quando il bene è un limite invalicabile a costo della propria distruzione (per tutti si pensi all'Antigone di Sofocle); quella dell'epica moderna: quando si ha la forza o la leggerezza di superare confini invalicabili, di compiere scelte più facili, scontate, spesso irresponsabili, che non hanno bisogno di essere giustificate. In una parola, stipulare un patto con Mefistofele – si veda in proposito Opere mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent'anni di solitudine, di Franco Moretti (Einaudi).


La stupidità del male

di Ermanno Bencivenga
Feltrinelli
Saggio
ISBN 978-8807173530
Cartaceo 9,99€
Ebook 12,75€

Sinossi
Che cos'hanno in comune Adolf Hitler e Dracula, Maldoror e i personaggi del marchese De Sade, Michael Corleone e i terroristi jihadisti? Reali o immaginati, sono tutti uomini molto cattivi. E attraverso le loro storie, le loro motivazioni e perfino le loro teorizzazioni morali Ermanno Bencivenga ci conduce in un viaggio senza ritorno nel regno del male e delle sue (presunte) giustificazioni. Perché mi serve. Perché mi piace. Perché è male. Perché non posso farne a meno. Ma esiste una logica del male? Perché, se la meditazione sul male è oggi attualissima, vale la pena domandarsi se esso abbia di per sé dignità intellettuale. No, è la risposta del filosofo. Il male è stupido. O banale, per usare l'espressione di Hannah Arendt. Non ci sono teorie del male che siano lontanamente paragonabili, per complessità, spessore e ricchezza di dettagli, alle teorie del bene. Non c'è una logica del male che determini fra eventi e atti malvagi relazioni e legami come quelli determinati dalle logiche del bene e dell'accadere. Questo è un libro antimanicheo perché, se il male esiste, in queste pagine si prova a spiegare come non ne esista un principio ordinatore, non ci sia un piano intelligente e intellettualmente accessibile che lo spieghi. Allora, se il male è stupido, gli uomini molto cattivi hanno la medesima statura intellettuale di un rubinetto che perde o di un bambino che fa i dispetti. E il male forse è solo la tentazione della stupidità, è il rifiuto di pensare.

Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.
Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.


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