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Caro e stinto, di Maury Incen: incipit

Caro e stinto, di Maury Incen: incipit

Incipit #185 Caro e stinto di Maury Incen (Placebook Publishing): angeli con l’accento veneto, anime ninfomani, spettri ripetitivi e un cinquantaseienne redivivo che assiste al suo funerale.

Caro e stinto

Caro e stinto

di Maury Incen
Placebook Publishing
Umoristico
ISBN 978-1654938116
Ebook 3,90€
Cartaceo 12,50€



Non l’ho chiesto io. Non ho chiesto di venire al mondo, non ho chiesto di avere i capelli neri, e nemmeno di avere un nome ridicolo: Gianmarco. E non venite a dirmi che suona nobiliare, importante, distinto, aristocratico. Li ho sentiti tutti gli arrampicamenti sugli specchi di chi trova una cosa disgustosa ma è costretto a barcamenarsi nel pantano dei sinonimi per evitare di scoppiare a riderti in faccia. O di darti un’amichevole pacca sulla spalla e di dirti che sì, è vero, hai un nome tremendo. Tutto fuorché l’onestà, lì nel mondo.
Non ho chiesto di avere un fisico massiccio, grassoccio da bambino e quindi da tenere sotto controllo con diete, frullati, e soprattutto tanto tanto sport. Non ho chiesto di essere lo zimbello degli allenatori che ogni anno si disperavano a cercare di farmi correre, o di farmi azzeccare i giusti movimenti della loro disciplina. Il commento più gentile che ho ricevuto in quegli anni era “la patata della squadra”. E mentre il tubero arrancava, i fiori sbocciavano. Tutti belli, alti, sicuri. Eccellevano in uno sport che sicuramente amavano, e buon per loro, per carità! Ma io non avevo chiesto di essere lì!
Non ho chiesto di avere una mente più adatta ai numeri che alle parole, e infatti il liceo classico imposto da mio padre fu una passeggiata. Una passeggiata a piedi nudi su cocci di bottiglia, però. Tanto per darvi un’idea, prima versione tradotta dal latino: sei. Seconda versione, dall’italiano: uno. Perfino il bidello, che aveva la terza media, mi prendeva per i fondelli.
Non ho chiesto nemmeno di fare l’università, e una volta tanto fui accontentato. Le tasse universitarie costavano, e dato che avevo ben messo in chiaro di non voler fare nulla se non cercarmi un lavoro, questa volta ebbi la benedizione paterna. Sotto forma di un calcio nel didietro che mi spedì lontano da casa, verso una città più grande nella quale non avrei potuto arrecare onta all’augusto genitore. Andai da una zia, santa donna, che mi tenne con sé fin quando non fui in grado di mantenermi da solo. Entrai in una tipografia, inizialmente come tuttofare (stagista, si direbbe oggi), ma in breve tempo arrivai al bancone e lì scoprii cosa mi riusciva bene nella vita: vendere. Non so come, ma io che non ero mai riuscito a convincere nessuno (genitori in primis) improvvisamente mi resi conto che qualche battuta salace, unita ad un’impeccabile conoscenza del prodotto, erano un passe-partout verso la mente altrui, un mezzo capace di condizionarne le scelte e perfino i gusti.

Non ho chiesto di essere licenziato dalla tipografia.

Ma si sa, chi lavora bene è peggio di un fannullone o di un incompetente: mette in cattiva luce gli altri, no? Solo che ormai avevo scoperto il trucco. Parlare, parlare… rimbambirli di chiacchiere finché non si fossero convinti. Perciò fu facile trovare un altro lavoro. E fu così che iniziò la mia brillante carriera da commesso viaggiatore. Trent’anni di viaggi su e giù per l’Italia a vendere cucine. Non mi lamentavo, specie dopo essermi sposato ed essere diventato papà.
Già, perché un’altra cosa che non ho chiesto io è stata quella di sposare Marcella. O meglio, in realtà sì, gliel’ho chiesto io, solo che prima non era così! A volte mi sembra di avere in mano quelle figurine che andavano tanto di moda negli anni ‘90, quelle olografiche o come diavolo si dice, quelle che se le tenevi dritte avevano un’immagine e se le inclinavi cambiavano. Dritta: capelli castani a cascata su un fisico asciutto ma con le curve nei punti giusti. Inclinata: una parrucca stopposa marrone scuro rovesciata su due seni cascanti e girovita interminabile. Dritta: due occhi verdi curiosi e seducenti, un sorriso arioso reso unico da un piccolo spazio tra gli incisivi. Inclinata: lo sguardo di un gatto rincoglionito dal sole e denti davanti che hanno litigato. Abbronzata, pallida. Allegra, smorta. Non le ho chiesto io di diventare così.
Non ho chiesto nemmeno di avere un figlio deficiente. Mi spiace, sarò crudo, ma tanto ormai… Mattia, il nostro unigenito, orgoglio di suo padre e di suo nonno per procura (finalmente avevo fatto qualcosa di buono anch’io, ebbe a dire il vecchio), il neonato già destinato ad un futuro da avvocato, ingegnere, Presidente della Repubblica… lo stesso che all’asilo sbatteva contro lo specchio della sala dei giochi perché voleva andare a salutare “quell’altro bambino che fi vefte come me”, quello che alle elementari mangiava i regoli scambiandoli per cubetti di verdure e che all’esame di terza media sostenne con convinzione che il nome di battesimo di Garibaldi fosse “Piazzale”. Intendiamoci, non soffre di nessuna patologia, nessun ritardo cognitivo o che so io. Ho semplicemente messo al mondo un cretino. E non l’ho chiesto io, veramente non l’ho chiesto io.
Non ho chiesto nemmeno di trovarmi un’amante. Non l’ho chiesto perché è capitato, semplicemente. Quando uno viaggia e l’unica cosa che si trova nel letto al ritorno è la strega Ursula della Sirenetta… può capitare che decida di far durare i propri viaggi un po’ più a lungo. E di cambiare meta magari. La meta da me prescelta (o meglio, incrociata) si chiama Martina, ventiquattro anni, figlia di un nostro cliente nel campo della ristorazione. Per carità, anche lei non certo un’aquila, ma per certi versi devo dire che la giovinezza è una gran bella cosa.
Non ho chiesto tutte queste cose, mi sono capitate. Non ho chiesto questa vita, queste persone, questo aspetto. E soprattutto non ho minimamente chiesto, all’età di cinquantasei anni e del tutto inaspettatamente, di morire.

Quarta di copertina
Caro e stinto di Maury Incen.

Gianmarco muore improvvisamente (e pure un po’ maldestramente) all’età di cinquantasei anni. Pur essendo un uomo pieno di difetti, in vita non è stato di certo malvagio e gli viene concesso di tornare tra i viventi per poter assistere al proprio funerale. Sarà un’occasione per riflettere sul proprio percorso, sulle proprie scelte e, forse, potersi anche perdonare qualcosa. A patto di riuscire a districarsi tra angeli con l’accento veneto, anime ninfomani e spettri ripetitivi…

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

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