Gli scrittori della porta accanto

Recensione: Sanguina ancora, di Paolo Nori

Recensione: Sanguina ancora, di Paolo Nori

Libri Recensione di Davide Dotto. Sanguina ancora. L'incredibile vita di Fëdor M. Dostojevskij di Paolo Nori (Mondadori): quando il mondo di fuori si deve esplorare in lungo e in largo, e ci si affaccia appena alle tempeste (adolescenziali comprese), Dostoevskij un po' fa da bussola.

Tra i quattordici e i quindici anni ho avuto tra le mani due volumi dalla rilegatura rossa.
Il primo era I Fratelli Karamazov, di un certo Fëdor Dostoevskij. Sarebbe inesatto dire che non l'avessi mai sentito nominare. Avevo infatti visto, in precedenza, il film del 1958 di Richard Brooks con Yul Brinner nei panni di Dmitrij Karamazov e William Shatner (sì, proprio lui) in quelli del fratello Aleksej.
Poi è stata la volta di Delitto e castigo. Il film è venuto dopo: il protagonista non si chiamava Raskolnikov ma René; il commissario, di nome Gallet, aveva la stazza di Jean Gabin (Crime et châtiment, 1956).
I grandi discorsi non facevano presa, ma già allora, man mano che si incontravano, colpivano i nervi scoperti dei personaggi  di Dostoevskij.

Forse, quando il mondo di fuori si deve esplorare in lungo e in largo, e ci si affaccia appena alle tempeste (adolescenziali comprese), Dostoevskij un po' ti fa da bussola.

[...] ci ha detto, nelle cose che ha scritto, come siam fatti prima ancora che venissimo al mondo.
Paolo Nori, Sanguina ancora
Paolo Nori racconta  l’impatto che Dostoevskij ha avuto nell’animo di chi gli si è avvicinato. E come, anche a distanza di anni, l'impressione ricevuta sia la medesima, e tale da spingere qualcuno a dedicarsi alla lingua e alla letteratura russa.
Il primo romanzo russo vero e proprio, il libro dal quale saltano fuori Tolstoj Dostoevskij Lermontov Turgenev e tutti quelli che conosciamo e leggiamo, è un romanzo in versi, si chiama Evgenij Onegin, che è il nome del protagonista, e Puškin comincia a scriverlo negli anni Venti dell’Ottocento.
Paolo Nori, Sanguina ancora

Le crepe dell'animo, causa di una profonda e inaudita identificazione, sono le nostre.

La scrittura di Dostoevskij non ha lo scopo di accontentare, ma di scioccare e scuotere. È una forma di meditazione angosciosa e feroce, una logorrea che si fa beffe delle tecniche narrative moderne (tra cui il consolidato e talvolta abusato show don't tell).
Straordinariamente addentro il suo tempo, Dostoevkskij non manca di parlare ai lettori del 2021.
È un’anima che non smette di sanguinare, scaglia frecce che sai dove colpiscono – nelle contraddizioni più profonde e pulsanti del proprio essere – e non le vedi arrivare. Non è la ragione, ma il sentimento più sfrenato a esprimersi, quello che spinge all'introspezione più profonda.

C’è, in Dostoevskij, quello che potrebbe considerarsi un errore di struttura e di composizione, ma è la sua cifra, quella che consente (a lui e a noi) di aprire porte.

«Dostoevskij – scrive (Nikolaj Nikolaevič Strachov) – costruendo i suoi personaggi a sua immagine e somiglianza, ha creato un mucchio di mezzi squinternati, di gente che ha dei problemi mentali, e era convinto di descrivere la realtà, e che quella fosse, in effetti, l’anima umana.
Paolo Nori, Sanguina ancora
Per rendersi conto di ciò, occorre vedere le cose con gli occhi giusti, prendendo a prestito quelli di Raskolnikov (Delitto e castigo) o di uno qualsiasi dei Karamazov: Ivan e Aleksej elevano il loro sguardo pur se in direzioni diverse. C'è chi cerca la padronanza di sé attraverso la logica e il ragionamento, oppure vestendo il saio, salvo poi metterli da parte per assumere la veste di provocatori: tutti gli alter ego di Dostoevskij lo sono, dato che a vicenda tendono trappole insidiose. Chi leggesse con attenzione I Fratelli Karamazov se ne può rendere conto: ciascuno riprende le parole dell'altro. Cambiano i toni o gli artifici retorici, ma il pensiero è il medesimo, ossessivo, compulsivo, un interscambio maniacale. L'uno ha in mano il copione dell'altro. Si allontana la dimensione della tragedia – a meno di coglierla negli estemporanei attacchi isterici di chi ha nervi che cedono con estrema facilità – prediligendo la farsa più grottesca.

Sono innumerevoli i motivi per cui, di lettura in rilettura, le pagine di Dostoevskij sanguinano ancora.

Ce n'è uno, volendo, che li riassume (e fra tutti è il più difficile da digerire): bisogna essere fatti in un certo modo per essere o diventare un pozzo senza fondo, e scavare come niente sull’anima altrui e in quella del lettore. Nei Fratelli Karamazov è Ivan, Alioscia, Fiodor Pavlovc, Smerdiakov. Attinge a piene mani a dottrine filosofiche al di sopra delle possibilità di chiunque; l’esercizio della più forbita eloquenza diventa deliquio, esaltazione; è l’uomo del sottosuolo, ma raggiunge le vette più alte, cosa che si alterna alle più rovinose cadute. Il libro – così come è scritto – è la sbobinatura di un colloquio che si riflette sui segni di interpunzione, spezzettando – in maniera pronunciata – periodi e discorsi, quelli di un'anima proiettata in innumerevoli e insondabili direzioni.


Sanguina ancora
L'incredibile vita di Fëdor M. Dostojevskij

di Paolo Nori
Mondadori
Biografia
ISBN 978-8804722557
Cartaceo 17,57€
Ebook 9,99€

Sinossi 

Tutto comincia con "Delitto e castigo", un romanzo che Paolo Nori legge da ragazzo: è una iniziazione e, al contempo, un'avventura. La scoperta è a suo modo violenta: quel romanzo, pubblicato centododici anni prima, a tremila chilometri di distanza, apre una ferita che non smette di sanguinare. "Sanguino ancora. Perché?" si chiede Paolo Nori, e la sua è una risposta altrettanto sanguinosa, anzi è un romanzo che racconta di un uomo che non ha mai smesso di trovarsi tanto spaesato quanto spietatamente esposto al suo tempo. Se da una parte Nori ricostruisce gli eventi capitali della vita di Fëdor M. Dostoevskij, dall'altra lascia emergere ciò che di sé, quasi fraternamente, Dostoevskij gli lascia raccontare. Perché di questa prossimità è fatta la convivenza con lo scrittore che più di ogni altro ci chiede di bruciare la distanza fra la nostra e la sua esperienza di esistere. Ingegnere senza vocazione, genio precoce della letteratura, nuovo Gogol', aspirante rivoluzionario, condannato a morte, confinato in Siberia, cittadino perplesso della "città più astratta e premeditata del globo terracqueo", giocatore incapace e disperato, marito innamorato, padre incredulo ("Abbiate dei figli! Non c'è al mondo felicità più grande", è lui che lo scrive), goffo, calvo, un po' gobbo, vecchio fin da quando è giovane, uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo, così simile a noi. Quanto ci chiama, sembra chiedere Paolo Nori, quanto ci chiama a sentire la sua disarmante prossimità, il suo essere ferocemente solo, la sua smagliante unicità? Quanto ci chiama a riconoscere dove la sua ferita continua a sanguinare?


Davide Dotto


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