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70 anni fa, l'alluvione che sconvolse il Polesine: le voci degli sfollati di allora

70 anni fa, l'alluvione che sconvolse il Polesine: le voci degli sfollati di allora

Storia Di Stefania Bergo. Il 14 novembre del 1951 il Po esondò a Occhiobello e Canaro, dando inizio all'alluvione del Polesine. I miei genitori, furono sfollati insieme ad altre duecentomila persone. Queste le loro voci.

Abito ad Adria, uno dei paesi che il 14 novembre del 1951 fu allagato dalla piena del fiume Po che ruppe nei pressi di Occhiobello e Canaro e travolse una vasta area del Polesine, provocando 100 morti, la distruzione di 700 case e duecentomila sfollati. I miei genitori erano due di loro.
Mio padre aveva nove anni, mia madre cinque. Entrambi furono portati altrove, separati dalle famiglie per poter assicurare loro un luogo asciutto dove dormire e dei pasti caldi da mettere nello stomaco.

L'alluvione del Polesine fu il primo grande evento drammatico che si abbatté su queste terre nel dopoguerra, in un territorio che già conosceva la fame e la povertà e che stava piano piano risollevandosi dalla devastazione.

Terra di contadini e allevatori, gente che conosceva il duro lavoro della campagna, che sapeva contare solo su quello che coltivava o allevava. Persero tutto in una notte.
Ma l'alluvione non fu solo il primo evento catastrofico che questa parte d'Italia conobbe. Ci fu anche il primo grande moto di solidarietà. I soccorsi e gli aiuti furono tempestivi. In un'Italia ancora sconvolta dalla guerra, in cui il benessere era ancora solo ad appannaggio dei più facoltosi, ci si strinse attorno agli sfollati, facendo arrivare viveri, coperte, mezzi di trasporto. Chi aveva una casa grande risparmiata dalla furia dell'acqua la mise a disposizione dei bambini. In tutta Italia furono allestite colonie per i minori, in modo da accoglierli e far loro vivere una frammentaria normalità mentre gli adulti cercavano di recuperare quanto più possibile per ricostruire, ancora una volta, dalle macerie.

I miei genitori erano bambini e vissero l'alluvione sulla loro pelle, sfollati in altre parti d'Italia in attesa di far ritorno ad Adria.

Ricordano molto bene quella notte e i giorni a venire. Difficile dimenticare. E proprio a loro ho voluto chiedere come vissero l'alluvione, anche per comprendere maggiormente le emozioni, l'angoscia e la speranza dei bambini che anche oggi – in ogni tempo – vivono devastazioni analoghe, siano esse portate dalla furia dell'acqua, della terra, dell'aria o dell'uomo.

Gli alluvionati del Polesine

Mamma, tu avevi cinque anni nel 1951. Che cosa ricordi di quella notte? Dove ti trovavi?

Ho ricordi molto chiari di quel momento. Ricordo che alla radio davano le notizie sulla situazione del Po, dicevano dove si trovava la piena, i danni che stava provocando, quanto facesse paura. Il pomeriggio del 14 novembre avevano avvisato della rottura dell'argine a Occhiobello e avevano iniziato a sfollare la gente di Adria per portarla in salvo prima che arrivasse l'acqua. Io sono stata caricata, con mia mamma e i miei nonni, sull'ultimo camion.

Dove vi hanno portati?

Ci hanno portati a Vigodarzere... o Codevigo, non ricordo il nome del paese, ma ricordo che ci hanno messi nell'aula magna di una scuola. Per terra c'era la paglia e avevano distribuito delle coperte. Ma si sentiva l'umidità dei muri. Il sindaco del paese aveva una figlia della mia stessa età e si è offerto di ospitarmi a casa sua per quella notte. Mia mamma ha acconsentito, ovviamente: piuttosto che dormire al freddo sul pavimento preferiva sapermi in un letto caldo e del sindaco ovviamente si fidava. Mi piacerebbe sapere se quella bambina è ancora al mondo, sarebbe bello incontrala di nuovo. Ricordo che ci siamo trovate bene a giocare insieme. Aveva un berrettino azzurro con i fiocchetti e nel momento in cui ci siamo salutate il papà voleva che me lo regalasse. Lei disse di no, ma ho sempre avuto la sensazione che quel rifiuto fosse per il dispiacere di vedermi andar via...

Sarebbe bello davvero se fosse ancora viva e poteste rivedervi, anche solo scambiarvi dei messaggi. Chissà, al tempo dei social magari è possibile rintracciarla... Quanto tempo siete rimaste in quel paese? Dopo di lì dove siete andati?

Siamo rimasti lì una sola notte. Il giorno dopo è arrivato mio zio Giovanni e ci ha portati con sé a Milano, dove si era trasferito, in attesa che si ritirasse l'acqua. Nel frattempo, a livello nazionale stavano allestendo delle colonie per i bambini, per far passare loro momenti spensierati e far respirare aria più salubre, non quella melmosa del Polesine allagato. Mia mamma acconsentì a farmi andare a Savona, mentre lei, insieme a sua sorella e a mio nonno, iniziò ad andare ad Adria a ripulire casa dal fango.

Cosa ricordi di quel periodo? Quando siete riusciti a tornare a casa vostra?

Siamo tornati a primavera, nel '52. Tanto ci è voluto a sistemare casa e ricostruire. E noi siamo stati fortunati che non sia stata abbattuta dal fiume...
Non ho vissuto male quel momento, ero una bambina, sono stata bene sia dagli zii a Milano sia in colonia. 
Credo si vedesse dai vestiti che eravamo "gli sfollati del Polesine", oltre che riconoscere l'accento. Mio nonno rientrava a casa dopo essere stato in giro per Milano e raccontava che la gente lo fermava per strada per dargli dei soldi, «Preferiamo darli direttamente agli sfollati piuttosto che al comune, che poi non si sa che fine facciano» dicevano. 
E, restando in tema di indumenti, ricordo una montagna di vestiti usati portati in colonia per noi. Ci facevano vestire bene e poi ci scattavano delle foto da mandare ai nostri genitori...

Che bella la solidarietà, la trovo commovente. A volte basta davvero poco per aiutare, ma per chi riceve fa un'enorme differenza. Grazie mamma, per questa tua bella testimonianza. Ora vorrei fare qualche domanda anche a te, papà. Quando sei riuscito a metterti in salvo? Anche tu poco prima che arrivasse l'acqua?

No, ricordo che ci hanno portati via da casa con un mezzo anfibio, l'acqua aveva già allagato tutto il piano terra e stava salendo. Mio nonno aveva campagna, non è riuscito a salvare nemmeno una delle bestie, sono tutte morte annegate, anche il maiale a cui era molto affezionato. Ci hanno portato sull'argine asciutto del Po e poi da lì in colonia a Calambrone – in Toscana, ndr.

Tu quindi l'hai vissuta molto di più l'alluvione... Ricordi l'acqua? Che cosa hai provato?

L'acqua era nera, rumorosa, faceva paura, si alzava lentamente.
Ricordo che i miei genitori hanno legato a un palo il loro chiosco dei gelati, così stretto che la piena non l'ha portato via. Ma lo ha distrutto lo stesso. Quando tutto è finito e siamo tornati era lì, ma l'unica cosa che ci si poteva fare era una casa per le galline. Fortunatamente il comune aveva stanziato dei soldi per aiutare chi aveva perso la propria attività a ricominciare.

Hai anche tu dei bei ricordi della colonia? Quanto tempo ci sei rimasto?

Lì siamo rimasti qualche giorno. Eravamo soli, io e mia sorella di sette anni. In colonia ci hanno divisi in maschi e femmine e lei piangeva. Ma io andavo sempre a trovarla e le portavo i dolcetti. Ricordo il freddo. Dormivo con le scarpe e il cappotto. Dopo qualche giorno è venuto mio papà a riprenderci con un motorino rosso, un Ducati 65, e ci ha portati a Forte dei Marmi, io dietro e mia sorella davanti. Lì c'erano mia mamma e l'altra sorella piccolina.

Gli sfollati del Polesine

Queste le voci di chi l'alluvione l'ha vissuta.

Non avevo previsto di scrivere questo articolo, ecco perché lo pubblico solo ora. Ma il pranzo domenicale mi ha regalato queste memorie che meritano di essere condivise. Parlano di vita dura, di acqua che travolge e spazza via tutto quello che si è costruito in una vita. Ma parlano anche di grande solidarietà, di "italiani per gli italiani", come dice un vecchio cinegiornale.





Stefania Bergo


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