Gli scrittori della porta accanto

La ricamatrice, di Maurizio Spano: un estratto

La ricamatrice, di Maurizio Spano: un estratto

Pagine in anteprima Un estratto di La ricamatrice, il romanzo storico di Maurizio Spano (PubMe - Collana Gli Scrittori della Porta Accanto). L'alluvione del Polesine di 70 anni fa si lega indissolubilmente alle vicende familiari dei suoi abitanti.

La sera di quello stesso giorno, in Polesine e su tutta l'Italia settentrionale, cominciò a piovere. Una pioggia continua, insistente, che sembrava togliere il fiato e rendeva difficile fare qualunque cosa e che proseguì senza tregua anche per i giorni seguenti.
Qualcuno, verso il 10 di novembre e nella generale indifferenza, iniziò a prevedere problemi idraulici che potevano coinvolgere il fiume Po, che di questa terra costituiva la spina dorsale, se la pioggia continuava a cadere con quella intensità. E, in effetti, la pioggia seguitò a scendere e tutti gli affluenti del grande fiume a ingrossarsi.
Nei precedenti, ricorrenti, innalzamenti di livello del Po (nel 1926 c'era stato l'ultimo evento statisticamente rilevante) il maltempo aveva imperversato in modo intenso solamente su uno dei due versanti (alpino o appenninico) della pianura Padana e principalmente su una sola porzione (fosse media, alta o bassa) dei 652 chilometri di lunghezza del Po. In quel momento, invece, ebbe luogo una concomitanza di avvenimenti eccezionale e disastrosa che trasformò il quieto andare del fiume in un'onda di piena che, scendendo verso valle, s'ingrandì progressivamente, e che palesò, all'improvviso, la sua forza devastante nella fase di transito nelle provincie di Mantova, Ferrara e Rovigo.
Il giorno 12 novembre 1951 l'ondata iniziò a rivelarsi impressionante nel suo transito per il mantovano, senza tuttavia provocare danni irreparabili. Gli argini del Po, nelle province di Rovigo e Ferrara, quelle che, poste più a valle, accompagnavano il grande fiume fino allo sbocco sul mare, mostrarono subito dei limiti strutturali di fronte alla spinta dell'imponente massa d'acqua.
Forse fu colpa dell'imprudente azione dell'uomo o, forse, tutto accadde perché le forze immani della natura non si possono contenere e gestire all'infinito. Fatto sta che, come un gigante impazzito, il giorno dopo, il fiume iniziò a superare i limiti che l'uomo, per abitare lungo le sue sponde, gli aveva imposto nei tanti secoli precedenti.
[...]

La mattina del 14 novembre 1951, in alcuni settori dell'argine sinistro del Po, quello veneto, [...] il fiume iniziò a tracimare.

Per cause mai davvero chiarite, si era giunti al punto di non ritorno. Il velo d'acqua, scivolando lungo la sommità del corpo arginale, lo avvolse e, ricadendo a cascata verso le campagne, ne determinò la graduale erosione nel corso dell'intera giornata. Giunse verso le otto di sera al suo completo abbattimento in tre punti distanti tra loro solo pochi chilometri.
La massa d'acqua iniziò a riversarsi con una violenza spaventosa sulla terra fra i due fiumi, devastando tutto ciò che incontrava e cambiando per sempre la storia di quella parte d'Italia dove, qualche anno dopo, sarei nato anch'io.
Iniziava l'alluvione del Polesine e, inevitabilmente, anche la sua più grande tragedia naturale dell'età moderna. Ogni persona che allora abitava in quel territorio ne subì le pesanti conseguenze: ferite, a volte, mai rimarginate. Anche la mia famiglia, come tutte le altre, fu colta di sorpresa, pressata tra la quotidiana lotta per la vita e la nuova, immane catastrofe che doveva affrontare.
Poche ore prima dell'inizio dell'esondazione, il suocero di Arianna portò Rosa in ospedale e la lasciò, assieme alla zia, davanti alla porta. Ne uscì una suora vestita di bianco, prese in braccio la bambina, avvolta in un panno color caffè, portandola all'interno dello stabile. Arianna la seguì, fornendo alla caposala tutte le informazioni sulla diagnosi che il medico di condotta aveva fatto visitando Rosa. Le disse poi il nome e cognome della piccola e le condizioni di salute della madre, giustificando così il fatto che era lei, la sorella, che l'aveva accompagnata lì. Tutto questo perché in Questura, se la bimba fosse morta, non si potesse sospettare che fosse stata abbandonata.
[...]
Le notizie che il Po aveva rotto gli argini giunsero in città già durante la notte attraverso la Prefettura e gli organi di Polizia. Quasi tutti i sindaci che potevano essere interessati all'evento furono buttati giù dal letto dall'allarme generale. Non c'erano i mezzi di comunicazione di oggi, in molti casi non c'era proprio nulla. Molte delle notizie diffuse spesso si dimostravano false e quindi pericolose. Tra l'altro, nella tragica situazione d'emergenza, che fu subito evidente, ci furono anche gli inevitabili scontri campanilistici e le consuete devastanti divisioni politiche. Come sempre accade, nelle circostanze che richiedono scelte immediate e decisioni importanti che andranno a influire sulla vita della comunità, si evidenziarono, nel bene e nel male, le capacità personali delle singole autorità preposte ad affrontare la situazione di emergenza e le possibilità di adattamento di ogni famiglia o di ogni singolo cittadino. In sostanza, più che mai, il sapersi arrangiare diventava un'ottima soluzione per non essere assorbiti dal caos.
[...]

L'acqua aveva allagato tutta la campagna e oltrepassato gli argini dei canali e degli scoli di bonifica.

Oramai, dei filari di salici lungo gli stradoni, si vedeva soltanto la sommità delle fronde. Nel lento scendere del pallido sole di novembre, circondato dalle nuvole, sembrava che la terra si fosse trasformata in un immenso mare colore del fango, che correva, correva, portando tutto con sé. Il piano terra della casa era oramai completamente sommerso. Il livello dell'acqua sfiorava i tre metri e continuava a salire. I pochi animali, mucche, maiali e galline che si erano salvati, erano stati portati sull'argine del canale, che era ancora l'unico posto dove l'acqua non scorreva. Gli altri, affogati o schiacciati dai detriti che urtavano continuamente contro i muri, erano scomparsi nello scorrere turbolento del marasma di acqua e melma verso il mare lontanissimo.
«Se non si ferma a salire bisogna andare sul tetto prima che faccia notte!» gridò Irma.
«Meglio non perdere tempo! – rispose il figlio Francesco – Dai, portiamo la Nives sui copi! Hanno detto che ci vengono a prendere con le barche.»
La avvolsero nelle coperte e la fecero uscire dalla finestra e poi la issarono sul tetto. Forse aveva la febbre a quaranta o forse no. Ma poco importava. Non c'era tempo per pensare che era novembre e faceva freddo. Restare a letto significava morire. Escluso Antenore, che era sull'argine a controllare gli animali con degli altri contadini, tutta la famiglia si era rifugiata sopra il tetto e guardava l'acqua che passava e che aveva allagato anche il primo piano e toccava quasi il tetto. Non saliva più però. Scorreva soltanto, furiosa, portando con sé animali morti, tronchi, pagliai e carri di legno con il fieno e pezzi di recinto e letame e mille altre cose del quotidiano vivere. E tutto andava via, via, lontano, perduto per sempre nell'oblio della notte che oramai aveva oscurato il cielo, l'acqua e anche le grida degli uomini e degli animali che continuamente si chiamavano, cercando almeno di non perdere la propria identità.

E poi c'era rumore, un frastuono continuo che pareva entrare nell'anima.

Per qualche giorno Ponte del Delta rimase isolata dal resto del mondo. Poi, quando finalmente i soccorsi arrivarono, compresi i sacchi di viveri buttati dagli aerei sulla piazza grande, le migliaia di persone, che in gran parte avevano perso tutto ciò che possedevano, si prepararono a sfollare. Iniziò allora una delle pagine più importanti di solidarietà civile che la nostra nazione ricordi. Anche se la miseria ancora costringeva gran parte degli Italiani a condizioni di vita estreme, nessuno si tirò indietro e la mia gente, pur abbandonando la propria casa, non si trovò da sola ad affrontare il disastro.



La ricamatrice

di Maurizio Spano
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Romanzo storico
cartaceo 12,00€
ebook 2,99€

Sinossi

«Quando le tovaglie o le lenzuola erano particolarmente grandi, tanto da creare quasi una piccola capanna, mi piaceva andare sotto il tamburello e osservare l’ago che entrava e usciva dalla stoffa. Era come se la mamma mi ricamasse il Paradiso intorno.»

Gianfranco ha otto anni e sogna d'incontrare sua madre Nives da giovane, quando sapeva sorridere come le ha visto fare in una vecchia fotografia. Un pomeriggio piovoso, mentre Nives ricama foglie e pappagalli su una tovaglia di lino chiaro, finalmente il suo sogno si avvera. Fa la conoscenza di una ragazza, con un sorriso talmente bello da farlo sentire in pace, che lo condurrà in un viaggio nel tempo attraverso gran parte del XX secolo, sempre in bilico tra ciò di cui è stato testimone o che gli è stato raccontato e ciò che semplicemente immagina. Un viaggio che, dipanandosi tra gli argini, le campagne e le piccole città di un remoto frammento della bassa Pianura Padana, lo porterà negli anni '30, lo renderà spettatore nell'alluvione del Polesine del ‘51, della vita nelle baraccopoli degli immigrati nella Francia del secondo dopoguerra e della rinascita italiana negli anni '60, di nuovo tra la gente della sua terra. È il bambino che ancora vive in Gianfranco, oramai vecchio, che racconta l'avventura di sua madre Nives e di un'epoca, di luoghi e di rapporti umani. Alla ricerca di una dignità che a tutti dovrebbe spettare di diritto e che invece Nives dovrà conquistare, per sé e suo figlio, inseguendo ingenuamente l'immenso sogno di felicità che fa girare il mondo.

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