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Il viaggio che rifarei, di Johnny Do: incipit

Il viaggio che rifarei, di Johnny Do: incipit

Incipit #200 Il viaggio che rifarei, di Johnny Do (PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto). Un memoir di viaggio, il libro di una vita, il racconto di una professione, tra paesaggi unici, party esclusivi, suggerimenti di viaggio e grotteschi aneddoti sui turisti italiani.




Il viaggio che rifarei

di Johnny Do
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Memoir di viaggio
ISBN 9788833669984
cartaceo 18,00€
ebook 2,99€


Una cantina piena di tutto e di niente, accozzaglia di detriti generazionali in agguato per riemergere nella vita di qualcuno. Tra contenitori anonimi, mobili vecchi e stoviglie delle zie morte, spicca qualche scatolone etichettato con lettere, quaderni, libri, ninnoli imballati e centinaia di riviste di viaggio, conservate come sacre scritture.
Cinzia era così: ordinata e maniacale. Ogni oggetto, giornale o soprammobile per lei, prima o poi, avrebbe avuto valore per le generazioni future: ogni cosa era catalogata come nei depositi di un museo, in contrasto con il caos tipico delle cantine, cui si adeguano invece gli altri membri della famiglia, appoggiando qualsiasi cosa non serva, occupando ogni spazio libero, spinti da un imprevedibile quanto creativo horror vacui.
Nel totale baccano visivo però, a guardare con più attenzione tra i pilastri traballanti di vite vicine e lontane, riaffiorano enormi bomboniere di cartone. Da un perduto abisso della memoria, una foto illumina l’anima e mi risveglia i sensi, smuove il cuore dal suo ritmo torbido e piatto. C’è, o c’era, o c’era una volta una strada rossa, di un rosso irraggiungibile, se non retrocedendo fino ai meandri della mia infanzia salentina, o sprofondando nell’Africa dei tamburi masai. Un’immagine che ha accompagnato le mie sere d’inverno a studiare, ma soprattutto a sognare un malinconico ritorno ai marciapiedi brinati di tristezza, dopo la fuga dall’angusto grigiore dell’adolescenza torinese.
L’icona di un desiderio irreversibile di mondo, della fame di cielo, della volontà di contrarre un morbo vitale camminando in strade affollate, odoranti di persone, colori, razze. E ripiombo nella più giovane età, cullata dal suono di ritmi lontani che immaginavo prodotti da variopinte orchestre tropicali, mentre i raggi di sole, filtrati dalla finestra della mia camera, diventavano autostrade di sogni.
Rifluisce lento un rivolo di ricordi. L’intuizione che il grimaldello per scassinare la cassaforte delle illusioni poteva essere il lavoro puntuale, onesto, spasmodico di mio padre, inteso a prodigarsi per la crescita del suo terzo figlio: il negozio di moto con la sua officina. Erano gli anni Ottanta e il secondo boom economico toccava anche la sua piccola attività, di cui peraltro poco mi interessavo, finché alcune case produttrici di moto, a fronte di ottimi fatturati, non iniziarono a regalare viaggi per i migliori venditori.
Si trattava di mete lontane, in anni in cui un viaggio dall’altra parte del mondo era un vero privilegio, ma che mi sentivo pronto ad affrontare, avendo idealizzato come miei eroi un nonno giramondo e uno zio ex pilota militare. Una congiuntura magica, di cui peraltro beneficiò anche lo studio che, a essere sinceri, non rappresentava una priorità assoluta. L’idea che a ogni promozione scolastica corrispondesse un tour gentilmente offerto dall’alta fatturazione del negozio, e cedutomi da mio padre, contribuì non poco a consolidare la mia istruzione.


Ha inizio così l’avventura agognata.

Il salvataggio dalla monotonia di un paesaggio che, bambini, per tratti infiniti, ci accompagna dai finestrini di un treno diretto lentamente, troppo lentamente, verso il tanto sospirato Salento.
La strada rossa scompare tra acacie e arbusti fioriti, giraffe curiose e crateri lontani: uno sfondo disegnato nel riflesso dei miei desideri, dispersi in nuvole cumuliformi che corrono vertiginose nell’aria, il cui sapore puro risveglia i polmoni e pulisce ogni singolo alveolo da diciassette anni di polvere, muffa e agonia. Il cuore, come in un feto che brama di nascere, pulsa impazzito: la vita è davanti a me come la strada rossa dell’Amboseli, sul Kilimangiaro, tra gli elefanti enormi, a branchi, a famiglie, in gerarchie declinate su altipiani senza tempo. L’infinito è unità di misura dello spazio, il verde inonda le pupille; le ombre di ciò che è animato si allungano al tramonto. Mi affiancano ed entrano nella mia anima per non uscirne più. Ho diciassette anni e sono nel seno del pianeta, nel fulcro della vita. Diciassette anni e cammino su spiagge solitarie, accompagnato dal fruscio delle palme da cocco, suono instancabile, continuo, quasi perpetuo, come i ritmi e le tonalità che riportano la mente alle canzoni rapite dai dischi di mia madre, colonna sonora della mia infanzia.
Malinconia e storia si annodano in un’emozione profonda, ancora oggi dolorosa e inesprimibile. La mia è stata un’adolescenza timida, riservata e contestata. Ma qui i desideri coltivati mulinano nel vortice di un’inconscia giovinezza, concentrati in migliaia di foglie di palme danzanti ai ritmi improvvisati dal vento. Riecheggiano nelle voci lontane di ragazzi in spiaggia. Parlano lingue incomprensibili di fronte alla bassa marea, che lascia emergere come rocce scultoree i loro giovani corpi neri. Dall’altra parte dell’orizzonte, le praterie sterminate di animali giganteschi, un’idea sovrumana di spazio offerta in un cocktail di odori forti, talvolta ributtanti.

La trama

Il viaggio che rifarei, di Johnny Do

Il primo viaggio in Kenya, ancora adolescente, è il punto di partenza per inseguire un sogno chiamato mondo.
Il mal d’Africa dà inizio a una vita alla ricerca della libertà personale, delle latitudini più lontane, delle solitudini più profonde, del luogo perfetto dove vivere, della conoscenza di persone eccezionali, svolgendo un lavoro per certi aspetti sconosciuto ed esplorando i luoghi più suggestivi del pianeta.
Il viaggio che rifarei è il libro di una vita. Una prima sintesi, più che il bilancio, di un percorso ancora vivo ma già ricco, del suo svolgersi tra il racconto di una professione, poetiche descrizioni di paesaggi unici, lussi e party esclusivi, piccole solitudini e grandi lontananze, suggerimenti di viaggio e grotteschi aneddoti sui turisti italiani. Brasile, Giordania, Egitto, Estremo Oriente, Santo Domingo, Tenerife, Mykonos, Bali, Cuba e Miami, sono alcune delle mete vissute da Johnny Do come tour leader e da residente.

Il libro è stato scritto con la collaborazione di Salvatore Gerace, insegnante di lettere presso il liceo “Norberto Bobbio” di Carignano (TO) e scrittore di saggi, articoli di teatro e letteratura italiana e sportiva.

Johnny Do

Johnny Do è nato a Torino nel 1969. A sedici anni, dopo aver usufruito di un primo viaggio incentive cedutogli da suo padre, inizia a maturare il desiderio di lavorare nell’ambito del turismo. Nel 1990 si trasferisce a Toronto dagli zii, per affinare la sua pratica dell’inglese, e successivamente lavora per grossi tour operator prima a Ibiza come assistente, successivamente come capo-area a Tenerife, Mykonos, Bali, Cuba e Miami. Nel 1997 si dedica per un breve periodo alla moda, altra sua passione, ma presto ritorna al turismo rientrando a Mykonos e trasferendosi a New York fino alla crisi del settore, successiva al crollo delle Torri Gemelle. Brasile, Giordania, Egitto, Estremo Oriente, Caraibi, sono alcune delle mete vissute da residente e come tour leader, ruolo che, dopo la morte della sorella Cinzia nel 2006, svolge solo d’inverno per stare vicino alla famiglia. Dal 2003 vive e lavora a Ibiza, accogliendo migliaia di turisti a stagione.

★★★★★

Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?

Tutti i nostri incipit:




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