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The week: focus sugli eventi tra il 1° e il 7 agosto

The week: focus sugli eventi tra il 1° e il 7 agosto

The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 1° e il 7 agosto? L’occupazione del parlamento iracheno, il disastro socio-economico libanese, la ripresa della guerra a Gaza, la visita di Nancy Pelosi a Taiwan e i casi di violenza in Italia.

Questa settimana apro con la situazione in tre aree del Medio Oriente: dall’occupazione del parlamento iracheno al disastro socio-economico libanese, per finire con la ripresa della guerra sulla Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Nella seconda parte riprendo il discorso sulla visita a Taiwan di Nancy Pelosi, raccontando la reazione cinese. Passando agli Stati Uniti, riporto le ultime dichiarazioni del premier ungherese Viktor Orbán, ospite a Dallas di una conferenza ultraconservatrice. A conclusione, torno nel nostro Paese per scrivere di due preoccupanti casi in cui si mescolano razzismo, violenza e sfruttamento.



Iraq, Libano, Striscia di Gaza

  1. Due settimane fa c’è stato l’assalto al parlamento iracheno a Baghdad, da parte di civili sostenitori dello sciita Muqtada al Sadr, che guida la coalizione Sairoon, anti-iraniana.

    Le proteste erano scoppiate perché i loro avversari, membri della coalizione Quadro di coordinamento, anch’essa sciita, avevano presentato un loro candidato a premier, Mohammed al Sudani, dopo diversi mesi in cui l’Iraq era rimasto senza governo.
    Le elezioni dello scorso ottobre avevano dato la vittoria ad al Sadr, che però non era riuscito a costituire un governo, avendo bisogno di una maggioranza di due terzi in parlamento. Si era così creato il presente stallo. In un primo assalto, le forze di sicurezza avevano reagito con gas lacrimogeni e bombe sonore, sul recente modello visto in Sri Lanka. In un secondo tentativo, giorni dopo, i manifestanti hanno invece abbattuto il muro di cemento armato che cingeva la sede dei palazzi istituzionali e delle ambasciate. Fatta irruzione (non erano presenti parlamentari), hanno scattato i selfie e indetto un sit-in permanente. La polizia, questa volta, ha lasciato fare.
    L’azione aggressiva era in realtà stata provocata da una scelta azzardata di al Sadr, che a giugno aveva fatto dimettere settantatré parlamentari sadristi, sostituiti dallo schieramento avversario, con l’obiettivo di far crescere il malcontento per i filo-iraniani. La Lega araba ha chiesto ai politici iracheni di non anteporre i propri interessi personali a quelli del Paese. La missione ONU ha invitato a evitare un’escalation e sembra che Esmail Qaani, leader delle forze al Quds dei Pasdaran iraniani, sia giunto a Baghdad per placare gli animi.

    Ma chi è Muqtada al Sadr nello specifico?

    Il capo sciita non è solo contrario all’ingerenza iraniana, ma anche a quella di altre nazioni, come gli Stati Uniti. Non a caso, al Sadr aveva fondato una milizia nel 2003, per opporsi all’occupazione americana, chiamata JAM (Jaysh al-Mahdi), rifacendosi a una figura islamica equiparabile al messia degli ebrei e dei cristiani. Il leader non era nemmeno un fedele di Saddam Hussein, poiché il padre di al Sadr, che era un noto ayatollah del secolo scorso, venne assassinato insieme a due figli, sembra proprio per volere di Hussein. Oggi, al Sadr ha costituito una nuova milizia personale, chiamata Saraya al-Salam (Brigate della pace), che si contrappone a milizie filoiraniane.
    Ai tradizionali conflitti tra fazioni mediorientali si aggiunge la situazione socio-economica del Paese. Uno dei fattori più gravi della crisi riguarda la corruzione e l’ingiustizia, a partire dai politici stessi, che distribuiscono le cariche su princìpi settari. Sull’Iraq – ilpost.it, ansa.it, ansa.it, bbc.com e cnn.com

  2. Uno Stato mediorientale che vive una crisi ancora peggiore, ormai cronica, è il Libano.

    Il 4 agosto è stata commemorata l’esplosione del 2020, che aveva ucciso circa duecento persone, devastato il porto di Beirut e danneggiato le aree limitrofe fino a dodici chilometri di distanza.
    Il Paese è allo sfascio: non ha liquidità; mancano le materie prime, a partire dal grano; sono a rischio i sussidi base per i più bisognosi, in una popolazione che per oltre l’80% – secondo l’ONU – vive in stato di povertà. Oltre alla difficoltà di approvvigionarsi nell’Europa orientale, a luglio, nel porto di Beirut, sono scoppiati incendi nei silos, provocati dalla fermentazione dei cereali a causa delle alte temperature. Si trattava di risorse che era difficile raggiungere per il pericolo di crolli, conseguenza dell’esplosione, e che quindi erano rimaste nei silos a marcire, per una drammatica ironia della sorte. Ad aprile, il governo aveva deciso di demolirli, ma l’azione era stata sospesa perché le famiglie delle vittime ritenevano che nell’area vi potessero essere prove utili alle indagini.

    Nella politica libanese si inserisce anche Hezbollah.

    Il gruppo politico armato sciita, supportato dall’Iran, che mantiene alte le tensioni tra Libano e Israele in merito ai diritti su alcune aree marittime ricche di gas, che Israele vorrebbe rendere produttive nel prossimo autunno. Nassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha minacciato una nuova guerra, dopo quella mai davvero conclusa del 2006, e fomenta la popolazione accusando Israele della crisi.
    Amos Hochstein, inviato statunitense per le questioni energetiche, sta cercando di mediare tra le figure politiche e religiose, ma Hezbollah rimane esclusa dai dialoghi, in quanto Washington la considera un gruppo terroristico. In realtà, nemmeno gli altri leader libanesi sembrano disposti a voler normalizzare i rapporti con Israele. Sul Libano – formiche.net, ansamed.info, euronews.com, bbc.com e cnn.com

  3. Certo non stanno favorendo il dialogo le tensioni esplose a Gaza.

    Israele afferma che siano stati lanciati contro il Paese oltre centosessanta razzi: una trentina sulla Striscia, una trentina in mare o in zone deserte, e gli altri oltre il confine, intercettati dal sistema di difesa Iron Dome. Nello stesso momento, Israele ha avviato l’operazione Breaking Dawn, trenta attacchi a Gaza con quaranta obiettivi, tra cui un attacco aereo preventivo su due squadre anticarro in movimento. Da fonti mediche di Gaza si riferisce di oltre ottanta feriti e undici morti, tra cui due civili e una bambina. Tra gli jihadisti uccisi, Taysir al-Jabari, uno dei massimi leader a Gaza.
    Le forze israeliane hanno annunciato l’arresto di diciannove jihadisti palestinesi in Cisgiordania. Hanno inoltre mobilitato venticinquemila soldati della riserva, segno che il conflitto potrebbe durare a lungo.

    Ma che cosa ha scatenato l’ultima escalation?

    In queste settimane, è stato catturato Bassam a-Saadi, leader della Jihad in Cisgiordania, un gruppo terroristico più piccolo di Hamas e in competizione con questo. L’Egitto è intervenuto come mediatore e un inviato dell’ONU ha rassicurato la famiglia di a-Saadi sul suo stato di salute. Il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha deplorato le rinnovate ostilità. Persino Hamas sembra sia coinvolto nei colloqui.
    Tutto ciò però non ha sospeso l’operazione Breaking Dawn e il lancio di razzi da parte dei palestinesi: il bilancio delle vittime sembra destinato a crescere e si teme un esito simile a quello del maggio 2021, quando in un conflitto di undici giorni morirono quattordici israeliani e duecentosessanta palestinesi. Su Israele – ansa.it, rainews.it, wahingtonpost.com, cnn.com e bbc.com


Cina e Stati Uniti. Da Taiwan a Orbán

  1. Nancy Pelosi a Taiwan.

    La scorsa settimana scrivevo delle tensioni crescenti tra Cina e Stati Uniti, legate al probabile viaggio della speaker della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, a Taiwan. Pochi giorni dopo, quel viaggio ha avuto luogo. Ciò ha spinto la Cina a iniziare imponenti esercitazioni militari intorno all’isola, oltrepassando la linea mediana tra sé e Taiwan. Poco prima, erano stati lanciati missili sopra l’isola e alcuni erano precipitati nella zona economica esclusiva giapponese, dove la speaker aveva fatto tappa. Proprio da Tokyo, Pelosi ha accusato la Cina di voler isolare Taiwan: i cinesi hanno risposto che sanzioneranno lei e la sua famiglia, ma anche che il Paese interromperà la cooperazione con gli Stati Uniti su temi quali il cambiamento climatico, la lotta al narcotraffico, il dialogo in merito al trattamento dei crimini transnazionali.

    A livello commerciale, lo Stretto di Taiwan è una delle principali rotte marittime del mondo e le esercitazioni cinesi stano rendendo più pericolosi gli spostamenti delle navi commerciali.

    Inoltre, l’isola è leader globale nella produzione di semiconduttori e questo spiega anche la scelta statunitense di volersi porre ai ripari con il CHIPS Act, di cui ho scritto la scorsa settimana. Gli Stati Uniti infatti riconoscono ufficialmente, da decenni, il principio di un’Unica Cina, ma il concetto si sta sempre più svuotando di significato: la Repubblica di Cina – questo il nome ufficiale di Taiwan – si è trasformata in uno strumento, simbolica alternativa all’autoritarismo cinese. Sulle tensioni USA-Cina per Taiwan – ispionline.it, ansa.it, cnn.com e cnn.com

  2. Attraversiamo il Pacifico e veniamo proprio agli Stati Uniti.

    Per parlare della curiosa visita del premier ungherese Viktor Orbán alla Conservative Political Action Conference (CPAC) di Dallas, Texas, incontro annuale della destra ultraconservatrice, che in Donald Trump trova espressione. Non stupisce tanto la partecipazione di Orbán all’incontro, ma il fatto che un presidente in carica di una nazione estera abbia “ignorato” il presidente statunitense, Joe Biden.
    Il tenore del suo discorso al convegno ha seguito la linea di altre recenti esternazioni, di cui ho già scritto, riguardanti la purezza razziale del popolo ungherese. A Dallas, Orbán ha ribadito la sua posizione contraria all’immigrazione e al mondo LGBTQ+, invocando un’alleanza ultraconservatrice e antiliberale. Ha persino sostenuto che «gli orrori del nazismo e del comunismo sono avvenuti perché alcuni Stati occidentali avevano abbandonato i loro valori cristiani». Orbán ha ripetuto il termine “truppe” a indicare i membri di questa alleanza internazionale e ha parlato di riappropriarsi di Washington e Bruxelles, con espressioni che invocano più un’azione violenta che libere elezioni. Sulle parole di Orbán – europa.today.it, euronews.com e aljazeera.com


Italia. L’omicidio di Civitanova Marche e l’aggressione di Soverato

  1. A Civitanova Marche è avvenuto un omicidio brutale, che ha generato un comprensibile orrore nell’opinione pubblica italiana.

    Il trentaduenne Filippo Ferlazzo ha aggredito il trentanovenne nigeriano Alika Ogorchukwu, provocandone la morte per asfissia dopo averlo ripetutamente colpito con la stampella della vittima. Le accuse a suo carico sono di omicidio volontario e rapina (aveva infatti rubato il cellulare dell’uomo prima di allontanarsi).
    Diversi i video registrati dai presenti, che non sono intervenuti, tranne per una donna che aveva cercato invano di avvicinarsi all’aggressore. Questi, nei giorni seguenti, ha dichiarato di non aver agito per motivi razziali, ma per futili motivi: l’aver chiesto l’elemosina alla fidanzata e non – come i media avevano gravemente diffuso in un primo momento – per le avances nei suoi confronti.
    Ogorchukwu era un ambulante e ha lasciato una moglie, un figlio di otto anni e una figlia di dieci. Sabato scorso si è svolto il funerale; la comunità nigeriana ha inoltre organizzato un corteo per condannare la morte del connazionale. Sul caso di Alika Ogorchuckwu – corriere.it, rainews.it e ilrestodelcarlino.it

  2. A Soverato, in provincia di Catanzaro, si è realizzata un’altra aggressione, questa volta ai danni di Beauty David, una lavoratrice nigeriana di venticinque anni.

    L’inchiesta aperta dalla procura servirà a definire i particolari dell’aggressione da parte del datore di lavoro della donna, titolare dello stabilimento balneare Lido Mare Nostrum, indagato per lesioni personali, furto e minacce. La giovane ha ripreso la scena in una diretta social: Beauty chiedeva che le fosse corrisposto tutto lo stipendio pattuito come lavapiatti (seicento euro) e l’uomo rispondeva di averle dato quanto le spettasse (duecento euro). Così i toni si sono alzati; la donna è stata spinta dalla sedia, presa per i capelli e, quando il datore di lavoro si è reso conto delle riprese, ha cercato di rubare il cellulare alla donna. L’iter penale seguirà ora il suo corso, nel frattempo la donna ha ricevuto messaggi di solidarietà e nuove proposte di lavoro in tutta la Calabria.

    Un caso simile era accaduto a Riva Trigoroso, in Liguria, circa un mese prima.

    Una cameriera e cuoca quarantenne era stata picchiata nel locale nel quale lavorava da parte del titolare maghrebino, della fidanzata di quest’ultimo e del cuoco. La sua colpa: aver chiesto lo stipendio degli ultimi dieci giorni. La prognosi era stata di quindici giorni. Anche qui, proseguono le ricostruzioni, con il titolare che asserisce di aver reagito a una prima aggressione della donna.
    Tanto nel caso di Civitanova Marche quanto in quello di Soverato, alcuni hanno messo in risalto la questione razziale; altri l’hanno considerato un fatto sconnesso dal razzismo. Non ci si può però non domandare quanto una mentalità razzista abbia influito sulla morte di Ogorchukwu e quale legame stretto vi sia tra le proprie origini e lo sfruttamento, la degradazione umana a cui molti lavoratori vengono sottoposti, pena la violenza fisica e l’esclusione sociale. Sul caso di Soverato e di Riva Trigoroso – tg24.sky.it, luce.lanazione.it e ansa.it



Argyros Singh


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