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Recensione: Il silenzio e l'abisso, di Pietro Citati

Recensione: Il silenzio e l'abisso, di Pietro Citati

Libri Recensione di Davide Dotto. Il silenzio e l'abisso di Pietro Citati (Mondadori). Come Dante, prima di “riveder le stelle” sonda le profondità dello spirito, per risalire in cima.

Credo che nessuna immagine abbia mai colpito la fantasia e il pensiero dell'Occidente, come il secondo versetto della Genesi: "La terra era deserta e vuota e la tenebra era sulla superficie dell'abisso e il vento di Elohim aleggiava sulla superficie delle acque." Siamo al principio, anzi prima del principio quando la parola e il gesto di Dio non hanno ancora cominciato a creare la luce e il firmamento: eppure c'è già qualcosa - tenebre e terra deserta e abisso e la superficie delle acque. Pietro Citati Israele e l’Islam (Mondadori)

Il Silenzio e l’Abisso di Pietro Citati, scomparso di recente, rappresenta il filo rosso dell’inesauribile ricerca dedicata alle opere fondamentali della letteratura Occidentale. 

Non ci si dovrebbe mai stancare di tenerle a mente, di leggerle, rileggerle, riconsiderarle. Esse vincono la parzialità e l’unilateralità del pensiero filosofico che di due strade ne sceglie una, succube delle catene del principio di non contraddizione, che rende inaccessibile le intuizioni più profonde e chiude le porte a ogni possibile rivelazione.
La letteratura e la creazione stessa hanno molto in comune, quasi discendono l’una dall’altra. La rigidità di una costruzione intellettuale impedisce qualsiasi genere di flusso e di movimento, la circolazione delle idee rattrappisce nella verità di un unico senso incontrovertibile, privo di ragion sufficiente. Di due gambe ci si ostina a sceglierne una, cosa che provoca inciampo a ogni passo.

L’Essere e il Non-Essere, il Bene e il Male, si alternano come il pieno e il vuoto, contendendosi uno spazio includente entrambi.

Invero la cultura razionale alla quale siamo abituati sceglie una o l'altra sostanza dal piatto primordiale, nascondendo il resto. L'opera letteraria scava nel profondo lasciando emergere la materia oscura e dimenticata, la dissonanza congiunta al Tutto. Diffida di teorie e dottrine dispensatrici di scorciatoie in grado di zittire «la voce nell’uno e nel mutevole, nel molteplice e nell’identico».
Il silenzio e l’abisso sono due stati inarrivabili cui si può tendere, con estrema sofferenza: «Il modo sommo di parlare è evitare di parlare, il modo sommo di agire è non agire».
Chi ha raggiunto la propria meta non parla, chi ha progredito nella sapienza non parla. Parlare con il silenzio è anch’esso parlare, conoscere con l’ignoranza è anch’esso conoscere. Lieh-tzu

La penna di Pietro Citati vaglia in profondità molti autori moderni. 

Di Balzac racconta l’ambizione di rappresentare tutto nella Commedia Umana senza tralasciare nulla, nel tentativo di offrire un affresco enciclopedico racchiuso in romanzi universi. Uno dei personaggi più riusciti, Vautrin e le sue molteplici personificazioni, mostra ciò che accade quando i sentieri si biforcano (la strada del bene da un lato, quella del male dall'altro, entrambi scelte definitive): non è concesso percorrerli nello stesso momento e nel medesimo modo. Salvo intuire poi come i sentieri siano talmente intrecciati tra loro da sconfinare invariabilmente: chi persegue il male ha la possibilità di dedicarsi al bene. Si tocca con mano il segreto dell’uno e del molteplice, riassunto nel motore immobile, equidistante senza soluzione tra un minimo e un massimo, il peccatore e il santo.

Diverso e più complesso il caso di Dostoevskij.

Egli scandaglia il male (I demoni, Delitto e castigo) e il bene (L’Idiota) in una vocazione mostruosa per la sua precisione chirurgica. Non si limita a raffigurare la totalità cui tende, ma vi penetra con lo spirito, tocca con mano un intricato groviglio di contraddizioni e l’ambiguità granitica delle cose.
Per non parlare di Robert Louis Stevenson e del suo esplorare qualcosa di ancora più profondo e inaudito: il male assoluto (l’orrore) di Mr. Hyde e “l’ineffabile garbatezza” (la parvenza di bene) del Signore di Ballantrae.
Evitare che la bilancia penda da una parte soltanto appare difficile quando si consideri la Rivoluzione Francese, la vita di Robespierre, il Terrore – Orrore del regno utopico dell’uguaglianza. Robespierre infatti dichiara guerra totale contro il male assoluto rappresentato dall’Ancien Régime, l’Aristocrazia che come i poli di una calamita non sarebbe mai venuta meno.

Di autore in autore e di capitolo in capitolo prosegue la disamina di Pietro Citati.

Discute di Cervantes, privato della mano destra nel corso della battaglia di Lepanto; di Joseph Conrad e di Carlo Emilio Gadda nell'avvicinarsi alle profondità della propria anima; di Francis Scott Fitzgerald per il quale «Tutto lo scrivere bene è un nuotare sott'acqua e trattenere il fiato», di Israele e della questione ebraica quando, «per qualche decina di anni il Male Assoluto si stabilì sulla terra».
La lettura non si esaurisce una volta giunti all’ultima pagina. Si scorge il paradosso del silenzio che la scrittura esige e l’abisso che essa deve avere coraggio di sondare. Come Dante, prima di “riveder le stelle” sonda le profondità dello spirito, per risalire in cima.
Il Male non è che un’esperienza transitoria, non sta né nel Principio, né nella fine. Bisogna passarci in mezzo, ecco tutto. Pier Paolo Pasolini, Petrolio (Einaudi)


Il silenzio e l'abisso

di Pietro Citati
Mondadori
Saggio
ISBN: 978-8804701545
Cartaceo 20,90 €
Ebook 10,99€

Sinossi 

Se, come dicono i mistici ebraici, il silenzio è la voce con la quale Dio parla all'uomo, la grande letteratura è la voce con la quale l'uomo parla a se stesso, in un linguaggio che esprime con infallibile evidenza l'infinita, contraddittoria e oscura trama di pensieri e sentimenti, sogni e passioni, che da sempre agitano l'animo umano. Nella sua penetrante rivisitazione di pagine e figure memorabili della letteratura universale, Pietro Citati ne offre esempi eloquenti. L'urgenza della fede in un «Principio Supremo», radice comune delle tre religioni monoteiste, e l'amore per il Gesù dei Vangeli, raccontato e vissuto da Francesco, Angela da Foligno, sant'Ignazio e, quattro secoli dopo, da don Milani. Il «lavoro di commentatore dell'universo» di Montaigne e la cupa malinconia dietro le quinte delle commedie di Molière. La «furia di infinito» di Chateaubriand, attratto dalle magiche voci e dal sacro orrore delle foreste americane, e l'«esorbitante» pulsione visionaria di Balzac, incarnata nel personaggio del forzato Vautrin che da genio del male e dell'inganno si trasforma imprevedibilmente nel fautore del bene comune e di un'utopistica harmonia mundi. I tormenti di Charlotte Brontë, che solo nell'ombra della propria infelicità trova la giusta luce per narrare nel suo ultimo libro la storia di due persone felici, e la nevrastenia di Dostoevskij, schiavo della penna e inesorabilmente attratto dalla vertigine della roulette, forse perché sola metafora possibile di quel grande gioco d'azzardo che è per lui la letteratura. Ancora, il fascino per il mistero del dolore che portò Cechov nell'isola di Sachalin, il luogo delle «più intollerabili sofferenze», e la depressione che come un incubo irruppe nella vita di Tolstoj, confluendo nelle “Memorie di un pazzo”. L'ossessione di Stevenson per il Male Assoluto, impersonato dal diabolico signore di Ballantrae, e la fatale prossimità di Conrad «al limite estremo» - come il capitano Whalley del racconto omonimo -, in cui si è già con «un passo dentro la morte». O l'incontenibile euforia di Virginia Woolf a passeggio per le vie di Londra, l'amata città-teatro di cui era estasiata spettatrice e in cui perdeva se stessa, abolendo «il suo io immenso e vertiginoso». E, fra gli italiani, la «divertita, insaziabile, disperata» curiosità che Calvino provava per se stesso, e il male invisibile sepolto nell'anima di Gadda, quella «fascia di tenebra» che ricopre tutte le cose visibili e invisibili, velando persino le apparizioni più dolci della natura. Assumendo spesso un punto di osservazione apparentemente marginale, Citati sa cogliere l'essenza di ogni creazione letteraria e artistica, che è, come scrive Scott Fitzgerald, un «nuotare sott'acqua e trattenere il fiato», e che da sempre convive con l'abisso, lo intuisce o ne viene perdutamente folgorata, in un ambiguo intreccio con la biografia del proprio artefice. Un'esperienza dell'assoluto e del silenzio che si capovolge nel miracolo stupefacente della parola.

Davide Dotto


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