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Crescita zero: un problema o una soluzione?

Crescita zero: un problema o una soluzione?

Di Stefania Bergo. In un mondo sovrappopolato la crescita demografica zero potrebbe essere una delle soluzioni per ridurre la nostra impronta ecologica e preservare il nostro habitat più a lungo. Sarebbe comunque una condizione necessaria ma non sufficiente.

È ufficiale: ormai al mondo ci sono otto miliardi di esseri umani. Quasi tre miliardi divisi tra Cina e India. E l'ONU ha stimato che entro il 2050, se continueremo con l'attuale tasso di crescita demografica, avremo sforato il tetto dei dieci miliardi di unità. Il che comporterebbe un notevole bisogno di risorse per il sostentamento, su un pianeta che è già al collasso soprattutto a causa di una specie la cui domanda supera del 50% l'offerta disponibile.
Ogni giorno nasce un numero di individui superiore a quelli di una città come Brescia. Tra tutti i mammiferi che vivono sulla Terra, solo il 3% sono animali selvatici, i restanti 97% sono suddivisi tra la nostra specie, il 30%, e gli animali allevati per il nostro sostentamento.
Gli esseri umani sono apparsi circa duecentomila anni fa, il che significa che, ragionando sui numeri, ci abbiamo messo circa duecentomila anni ad arrivare al primo miliardo di individui – all'inizio dell'800 – e appena 12 anni per l'ultimo miliardo. La nostra crescita demografica è aumentata in modo esponenziale a partire dalla Rivoluzione industriale, grazie al benessere e ai progressi fatti dalla medicina. Tuttavia, con noi, è cresciuta anche la nostra impronta ecologica, il nostro consumo di risorse del pianeta, molto più evidente nei paesi più benestanti rispetto a quelli in via di sviluppo. Che sono, però, quelli che subiscono le conseguenze maggiori.

La crescita demografica indiscriminata è un problema per i limiti ecologici del nostro pianeta.

È abbastanza evidente, ragionando per piccoli numeri, che se una famiglia ha risorse appena sufficienti per quattro individui, metterne al mondo uno in più significa ridurre le risorse individuali di ciascuno. Se si raddoppiasse il numero di famigliari la situazione potrebbe diventare critica, perché ognuno dovrebbe fare i conti con un'offerta che risulterebbe essere il 50% in meno del reale bisogno individuale. E se consideriamo che in una famiglia non tutti consumano allo stesso modo, la disparità tra domanda e offerta per qualcuno potrebbe essere addirittura superiore al 50%. Chiaramente, se il numero di nuovi nati fosse ancora superiore, il problema diverrebbe non risolvibile. Perché non si tratta di sopravvivere un solo giorno, si tratta di essere lungimiranti e pensare alla sostenibilità nel tempo.
La Terra è una grande famiglia con risorse limitate. Non riuscirà a far fronte alla nostra specie ancora a lungo se continueremo con il trend attuale di crescita demografica e consumo indiscriminato.

Eppure, ogni Paese tra quelli più avanzati promuove politiche di incremento della natalità, perché la crescita zero è vista come un problema da risolvere.

In questi Paesi, il numero dei nuovi nati si è ridotto negli ultimi decenni, grazie al maggior benessere e all'emancipazione femminile. E questo arresto demografico ha contribuito a mantenere il benessere stesso. Ma ora, in questi Paesi, così come accade in Italia, uno dei sintomi di una società sana, emancipata e progredita è diventato un problema da risolvere.
Per affrontare la denatalità si sono messe in atto numerose strategie. Le motivazioni sono molteplici, da quelle economiche a quelle di sopravvivenza come entità nazionale. E se da un lato sono comprensibili le ragioni economiche, perché un Paese di anziani è destinato ad avere più spese, le pensioni e la sanità, che introiti, derivanti dalle tasse, la motivazione nazionalistica è anacronistica. Il nostro pensiero dovrebbe essere proiettato alla sopravvivenza come specie e al bilancio collettivo delle risorse del pianeta. In un mondo multietnico, cross-over e in continuo movimento come quello di oggi non è possibile parlare ancora in termini allarmanti di crescita demografica zero per un singolo Paese, come se le nazioni non avessero confini permeabili e fossero sistemi chiusi. Il bilancio deve essere più ampio e tenere conto di una equa distribuzione di risorse e biomassa.

Sovrapopolazione, folla, condomini affollati

Lo stile di vita del 10% della popolazione, cioè la parte che vive nei Pesi benestanti, sta rapidamente esaurendo le risorse chiave di tutta l'umanità, cioè anche del restante 90%.

A questo si aggiunge l'impatto ambientale che, oltre al consumo, sta danneggiando le riserve del pianeta.
Dalla COP27 (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), che si sta concludendo proprio in questi giorni a Sharm el-Sheikh, sono emersi alcuni dati preoccupanti su cui riflettere subito: il 50% delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera è dovuto sempre al solito 10% della popolazione, quella benestante; nutrire l'umanità diventerà sempre più una sfida, la richiesta di cibo aumenterà globalmente del 70% mentre la terra disponibile per allevamento e agricoltura si ridurrà a causa di siccità e innalzamento del livello dei mari. Questi ultimi due fattori avranno un notevole impatto sulla capacità di carico della Terra per la vita umana, riducendo drasticamente anche le aree destinate ad abitazioni e servizi.
Una delle conseguenze principali sarà che sempre un maggior numero di persone si sposterà dai Paesi che diverranno via via più inospitali a quelli ancora vivibili, aumentando i flussi migratori, aggiungendo ai migranti politici ed economici anche quelli vittima del cambiamento climatico e della sovrappopolazione.

Un'altra conseguenza della sovrappopolazione è quella che i biologi chiamano «sesto evento di estinzione di massa».

Il numero crescente di esseri umani ha causato uno spostamento di biomassa per mantenere un ambiente favorevole alla vita umana. Abbiamo relegato il 3% dei mammiferi, quelli selvaggi, in aree sempre più piccole ai margini dei nostri spazi, consumando e distruggendo contemporaneamente anche il loro habitat. Questo ha causato l'estinzione di specie animali e vegetali – e questa promiscuità è anche la ragione per cui sempre più virus che infettano gli animali fanno il salto di specie e diventano temibili per l'uomo: è accaduto con l'HIV e per ultimo, in ordine di tempo, con il Covid-19.
Le precedenti cinque estinzioni di massa, che hanno causato la scomparsa di oltre il 70% delle specie che in quel momento vivevano sul nostro pianeta, sono state innescate da improvvise e catastrofiche alterazioni delle condizioni ambientali, come diffuse eruzioni vulcaniche o asteroidi che hanno colpito la crosta terrestre. La sesta è invece un processo più lento, esacerbato e accelerato proprio dall’uomo. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2019 circa un quarto delle specie sono a rischio estinzione nei prossimi decenni.

C'è un limite superiore al numero di esseri umani che il nostro pianeta può sopportare continuando a garantire condizioni ottimali di vivibilità a tutti gli individui e alle altre specie e dipende dalla capacità portante.

La capacità portante è il numero massimo di individui di una specie che un ambiente può contenere in funzione della disponibilità di risorse. La capacità portante esiste perché alcuni dei meccanismi di accrescimento e regolazione delle popolazioni sono dipendenti dalla densità degli individui. In particolare, i tassi di natalità e i tassi di mortalità cambiano in funzione della densità di individui in un'area perché esiste una quantità limitata di risorse che possono essere consumate. Treccani
Si stima che per gli esseri umani la capacità di carico vari tra 1 miliardo di individui a circa 1.000 miliardi, a seconda del consumo medio, della tecnologia e dei fattori ambientali. Si parla comunque di dimensione ottimale della popolazione come quella che produce i migliori risultati in termini di ricchezza sufficiente, accesso alle risorse, salvaguardia dei diritti umani universali, conservazione della biodiversità e della diversità culturale, sostegno alla creatività intellettuale, artistica e tecnologica. In base a queste specifiche e considerando di mantenere intatti gli ecosistemi e le risorse in modo da proiettarci tutti nel futuro, si stima che la dimensione ottimale della popolazione di Homo Sapiens sia intorno ai due miliardi di persone. Due miliardi.
Uno studio del 1994 della Stanford University ha stimato la dimensione ottimale della popolazione sulla base della superficie minima necessaria per la produzione alimentare, cioè circa mezzo ettaro per persona, e la conservazione del suolo. In questo caso la stima è di circa tre miliardi di persone per soddisfare i bisogni di tutti. Tre miliardi.

Sovrapopolazione nei Paesi in via di sviluppo

È abbastanza evidente che il problema sia la sovrappopolazione, non la crescita zero. Che semmai rappresenta una soluzione.

I demografi chiamano il numero massimo di bambini che una donna feconda potrebbe potenzialmente avere tasso di fertilità intrinseca. Questo limite è stato fissato sommando il numero di mesi mediamente necessari a una donna sessualmente attiva per rimanere incinta ai nove mesi di gravidanza, più un periodo sterile post-partum, ottenendo un valore medio di circa 18-24 mesi per ogni bambino. Dividendo questo valore per una media di 360 mesi di fertilità di una donna, tra menarca e menopausa, e tenendo conto del tasso di aborto spontaneo del 20% che si ha per ogni gravidanza, si ottiene una stima del numero massimo di figli che una donna può potenzialmente avere: circa dodici.
Se ognuno di questi figli nascesse, la popolazione sestuplicherebbe ad ogni generazione. Il che significa che dopo 100 anni, circa tre generazioni, ci sarebbero quasi duemila miliardi di persone sulla Terra.
Ovviamente non tutti i potenziali figli di una donna feconda vengono al mondo: a livello individuale, nei Paesi più avvantaggiati, c'è già un contenimento delle nascite dettato dallo spazio a disposizione, dalle risorse economiche e dalla pianificazione familiare.
Ampliando questo in un'ottica globale, la necessità di salvaguardare il pianeta e garantire a tutti una vita dignitosa suggerisce che la crescita demografica debba essere quanto meno arrestata, oltre a ridurre drasticamente il consumo pro-capite di risorse e migliorare la salute e il benessere delle persone di oggi distribuendo in modo più equo le ricchezze.
Si potrebbe pensare che il contenimento della natalità sia prerogativa dei paesi in via di sviluppo, che danno sicuramente il contributo maggiore alla sovrappopolazione in termini numerici. Ma l'impatto maggiore, in termini di consumo di risorse e impronta ecologica, lo hanno i Paesi più evoluti, dove si fanno già meno figli ma dove si dovrebbero attuare comunque programmi nazionali di controllo delle nascite in modo non coercitivo, invece di incentivarle indiscriminatamente, a volte anche violando il diritto individuale di scelta.

Concludo segnalandovi un paio di programmi internazionali per il contenimento della crescita demografica e la salute riproduttiva che suggeriscono strategie concrete e soluzioni: Overpopulation e Population Media Center.

Overpopulation e Population Media Center si occupano di ridurre l'impatto della sovrappopolazione principalmente attraverso l'uguaglianza di genere, l'emancipazione femminile, l'educazione sessuale e riproduttiva, una genitorialità responsabile «smantellando il dominio patriarcale ed educando i genitori sui benefici sanitari ed economici delle famiglie più piccole» [Population Media Center], la destigmatizzazione della pianificazione familiare volontaria, grazie a contraccezione gratuita e disponibile ovunque, sterilizzazione gratuita per uomini e donne e aborto sicuro, l'incoraggiamento dell'adozione, una riorganizzazione del sistema economico e pensionistico che tenga conto dell'invecchiamento della società, politiche di immigrazione regolare che stabilizzino le popolazioni nazionali e ne abbassino l'età media, «la riduzione del consumo pro capite nei paesi ad alto consumo e la realizzazione di società sostenibili dal punto di vista ambientale» [Overpopulation].

Il controllo delle nascite può apparire non eticamente accettabile.

Eppure è la natura stessa che utilizza questo sistema quando il numero di individui di una colonia supera il valore ottimale per la vita.
Arrestare la crescita demografica non significa smettere di mettere al mondo dei figli, se le condizioni sono favorevoli e se lo si desidera. Significa cominciare a vederci non più solo come individui o piccoli nuclei famigliari, ma come città, nazione, continente, pianeta. Siamo parti di un unico essere, che è la razza umana, che sta danneggiando irrimediabilmente la propria casa e vive in condizioni non ottimali di affollamento e disponibilità di risorse. Arrestare la crescita demografica non è solo un modo per sopravvivere più a lungo come specie, è soprattutto una necessità per garantire a tutti gli esseri umani una vita dignitosa, con uguale accesso alle risorse del pianeta, ora e in futuro.




Stefania Bergo


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