Gli scrittori della porta accanto

Rileggendo Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello

Rileggendo Il fu Mattia Pascal, di Luigi Pirandello

Professione lettore Di Davide Dotto. Rileggendo Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, pubblicato per la prima volta nel 1904. Le vicissitudini di chi, creduto suicida dai suoi familiari, reinventa un nuovo se stesso, artefice del proprio destino. Libero in tutto, si accorgerà di aver inseguito un’illusione.

Il Fu Mattia Pascal (1904), primo del suo genere, è un romanzo novecentesco. In esso spicca un nuovo protagonista, lo scioperato, «uno che la vita se la sa godere spendendo senza misura».
Si tratta di una figura che, qualunque scelta intraprenda, non assurgerà mai alla grandezza. A impedirlo sono le situazioni paradossali, grottesche, che alimentano un registro da opera buffa, se non le fattezze medesime. Mattia Pascal ha una «faccia placida e stizzosa con grossi occhiali rotondi che indossa per raddrizzare un occhio che guardava altrove».
A fianco emerge una concezione del mondo che, come spiega Romano Luperini (Pirandello, Laterza 1999), non è il puro prodotto di speculazioni filosofiche. Essa rappresenta a pieno titolo il secolo appena iniziato, epilogo dell'esperienza risorgimentale. Da quest'ultima, anzi, deriva in massima parte la crisi di identità diffusa dei personaggi di Pirandello. Ovunque si vada, qualunque cosa si faccia, non sono d'aiuto il progresso, lo studio, né l'attività artistica.

Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello narra le vicissitudini di chi, creduto suicida dai suoi familiari, reinventa un nuovo se stesso.

Artefice del suo destino, comincia un’esistenza altrove. Sulle prime vorrebbe (e dovrebbe) mandare un telegramma al fine di smentire la notizia uscita sul giornale.
Libero in tutto, si accorgerà di aver inseguito un’illusione. La sfida davanti alla quale si trova non è cosa da poco: «Chi sono io ora? Bisogna che ci pensi» (cap. VII). E in seguito: «Chi sono io, cosa rappresento in questa casa?» (cap. IX).
Mattia Pascal indosserà i panni di Adriano Meis. Di costui immagina la storia, la riempie di personaggi nati dall'assemblaggio di tipi e di ritratti differenti. Ciò non significa raccontare panzane col rischio di venire smascherato? Questa l’altra faccia della medaglia, l’inconveniente della sua fortuna: non gli riuscirà di consolidare l’identità sostituta, per una serie di problemi pratici.
Impacciato nel confidarsi, è impedita qualsiasi intimità e amicizia, non può nemmeno tenere un cane (cap. XI).
Se subisce un torto, non può ricorrere all’autorità e far valere le proprie ragioni. Privo di legge, di un nome, e infine di una famiglia e di un patrimonio, è incapace di difendersi contro un’aggressione o un truffatore. Né può ottenere soddisfazione in duello (cap. XVI).
Può tradirsi ogni momento, qualora intervengano coincidenze diaboliche: imbattersi nello spagnolo visto a Montecarlo quando ancora si chiamava Mattia Pascal; incontrare un parente di Adriano Meis (e lui non è che colui che ha detto o inventato di essere).
Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello

Il fu Mattia Pascal


di Luigi Pirandello
Edizioni Theoria
Narrativa
ISBN 978-8867582310
cartaceo 4,00€
Ebook 0,49€

È in conflitto con se stesso prima che col mondo esterno.

Per non farsi riconoscere da chicchessia si rade la barba e ritrova il suo odioso mento, piccolissimo (cap. VIII). Oltre il mento c’è quel suo occhio che decide di operare, facendo a meno degli altrettanto detestati occhiali colorati, concedendosi, di nuovo, un paio di baffi e la barba. (cap. VIII e XI)
Lascia altre tracce di sé. Non possiede più l’anello nuziale, tuttavia l'abitudine di stropicciarsi l'anulare indica sia stato sposato.
E dire che poteva cavarsela. All'epoca mancavano banche dati da incrociare e non sarebbe stato un problema mantenere l'identità di Mattia Pascal (avendo cura di non imbattersi in facce conosciute). Una situazione, insomma, non molto diversa quando, rientrato a Miragno, il suo paese, decide di non far valere i suoi diritti, se proprio non l’avessero costretto (cap. XVIII).

Alla fine è un’ombra d’uomo, è la prima maschera nuda, vivo per la morte, ma morto per la vita (cap. XV).

Ebbene sì. Torna, ma non è più Mattia Pascal. Il suicida che riposa nella tomba gli ha sottratto il nome. Non è nemmeno Adriano Meis. È il fu Mattia Pascal. Non può fregiarsi delle insegne di Ulisse, né riappropriarsi di quel che gli appartiene: «Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici» (cap. XVII).La sua storia è piuttosto grottesca, tanto da poterne ricavare un libro.
Non mi par più tempo, questo, di scriver libri, neppure per ischerzo. Luigi Pirandello
Alla fine si risolve a raccontare le sue avventure, che di questo si tratta. Lo scopo è dimostrare una tesi, riapparire al mondo dal quale (si) è escluso. Soprattutto a causa di un sogno proibito: quello di ricominciare da capo, tirando una linea su quello che è o ha creduto di essere.
A proposito di scrittura, prendono vita personaggi indimenticabili, i cui ritratti sono degni di una mostra. Nell'ordine appaiono Pinzone, il precettore, il Malagna, l'amministratore disonesto, Guendalina, la prima moglie di lui, e poi Oliva, Romilda, il signor Romitelli, il bibliotecario che Mattia dovrebbe sostituire. Per non parlare di Marianna Dondi, la Vedova Pescatore: «Aveva tutta l'aria di una strega, ma la figliola, ci avrei giurato, era onesta».

Il romanzo intero è intessuto di vere e proprie novelle.

Tanto che non a sproposito gli giunge l'invito - per il tono - di leggerne qualcuna del Boccaccio (cap. III).
A volte tutto sta nel riuscire a dire le cose giuste nel momento giusto.
Potremmo chiederci, per esempio, quale sarebbe stata la sorte e il significato del romanzo se l'avesse scritto qualcun altro, o fosse circolato cinquant'anni prima, o cinquant'anni dopo, in Italia o altrove. Fino a un certo punto sembrano domande peregrine.
Si tratta, in fondo, di un racconto in parte già uscito dalla penna di Collodi, dove Mattia Pascal/Pinocchio si allontana dal suo ambiente, dimorando nella Montecarlo/Paese dei Balocchi, fino al ritorno in seno alla sua famiglia. Il risultato non può apparire così simile e così diverso. In entrambi i casi vi è il riconoscimento che gli affetti, il mondo da cui si è fuggiti, sono l’unico luogo nel quale trovare e ricevere protezione. A cambiare è lo spirito con il quale si perviene a tale conclusione: di sollievo e gratitudine per essere uscito indenne da un bel po' di avventure rocambolesche (Pinocchio), di amarezza e rassegnazione per chi non vede e non trova vie d’uscita alla propria condizione (il fu Mattia Pascal).


Davide Dotto


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