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Rileggendo Madame Bovary di Gustave Flaubert

Rileggendo Madame Bovary di Gustave Flaubert

Professione lettore Di Davide Dotto. Rileggendo Madame Bovary di Gustave Flaubert, pubblicato per la prima volta nel 1856. Il capolavoro della letteratura francese in cui l’indole dei personaggi conduce e fatalmente sorregge il racconto.

Tra brani antologici, articoli, libri, riproduzioni cinematografiche, i protagonisti di Madame Bovary tornano spesso.
Nel rileggere il romanzo di Gustave Flaubert, si ritrova una storia che riteniamo – forse a torto – metabolizzata e acquisita. Tuttavia non è raro imbattersi in qualcosa di nuovo, per esempio in una parola che ricorre piuttosto spesso, e che assume diverse sfumature: fatalità. Essa si fonde con le scelte dei vari personaggi.
Emma acconsente a sposare Charles perché così può allontanarsi dalla casa paterna. Charles chiede in moglie Emma per porre fine alla recente vedovanza.

Si tratta di scelte che potevano non avvenire, solo che in quel determinato contesto, non sembra che le cose potessero andare diversamente.

Charles è responsabile dei malesseri di Emma più per quello che è e rappresenta che per ciò che fa, dice o vuole. Emma lo detesta per il modo di portare il cappello (calcato sulle sopracciglia), per le labbra tremolanti che aggiungono al viso qualcosa di stupido.
Pure la Anna Karenina di Tolstoj, a far mente locale, è infastidita dal modo di portare il cappello di Aleksej Karenin (di cui le orecchie sorreggono le falde).
Se è l’indole dei personaggi a condurre e sorreggere il racconto una volta avviato, si può ben parlare di fatalità.
Madame Bovary di Gustave Flaubert

Madame Bovary

di Gustave Flaubert
Feltrinelli
Narrativa
ISBN 978-8807900983
Cartaceo 9,50€
Ebook 1,99€
Leggi online gratis o Scarica PDF Pubblico Dominio

Emma si sente un’eletta.

Dà per scontato di consacrarsi al lieto fine, libera dai lacci della monotonia campestre o conventuale.
Solo in seguito impara (a sue spese) che la felicità che intende perseguire è una cosa mostruosa. Ma anche qui la sorprendiamo in attesa, nell’esito incerto delle sue traversie, di qualcosa di che giunga magicamente a toglierla dagli impicci: «E poi chi sa, quando meno te l'aspetti, potrebbe accadere un fatto straordinario, no? Poteva anche morire Lhereux…»
La lettera d’addio che Rodolphe verga di propria mano per liberarsi di lei, ricorre a questo vocabolo per autoassolversi: «È stata colpa mia? Accusi soltanto la fatalità».

"Fatalità" viene utilizzato da Charles Bovary più volte, con un’accezione simile e volta a discolpare se stesso, Emma e persino Rodolphe.

Nel suo caso, tuttavia, le implicazioni sono assai più drammatiche. Charles si discolpa per l’esito catastrofico dell’operazione compiuta al fine di correggere il piede equino di Hippolyte, lo stalliere dell’albergo di Yonville. Difende Emma da qualsiasi biasimo e rifiuta, fino all’ultimo, di muoverle il minimo rimprovero. Giustifica Rodolphe che non esita a considerare la sua bonarietà comica e vile.
Saremmo liberi di aderire al verdetto emesso da Charles Bovary se non contrastasse con quello di Flaubert. A ben vedere, il suo impeto a perdonare tutti, incolpando una presenza impersonale superiore, non collima con il giudizio del narratore. Il quale è lungi dall’assolverlo dell’amputazione della gamba del povero Hippolyte, né sembra intenzionato a prosciogliere Emma da ogni responsabilità. Se scusa qualcuno, ciò avviene nel corso del drammatico incontro tra Emma e Rodolphe: qui il narratore prende le difese di quest’ultimo precisando in tutta fretta che non mentiva nel dichiarare di non possedere gli ottomila franchi che l’avrebbero salvata dalle grinfie del merciaio Lhereux (o chi per esso).

Madame Bovary è pieno di interventi del narratore (se non di Gustave Flaubert stesso) che emendano le opinioni espresse dai suoi personaggi.

Un esempio. La suocera, che molto avrà da ridire su Emma, la trova raffinata. Il marchese di Andervilliers la considera graziosa e tutt’altro che contadina. Il farmacista Homais non è da meno: la ritiene una donna di grandi qualità che non avrebbe sfigurato in una sottoprefettura.
Di altro registro Rodolphe: «Com'è carina questa moglie del dottore, bei denti, occhi neri, piedino civettuolo…»
Se, come si dice, le borghesi ammirano la sua economia, i clienti la sua gentilezza, i poveri la sua carità, il narratore si affretta a precisare che il suo cuore era colmo di bramosia e di odio.
Emma, solo Emma è causa delle proprie traversie. È responsabile nella misura in cui si lascia abbindolare dalla peggiore letteratura dell’epoca, imbevendosi di romanzi dozzinali che parlano d’amore, di foreste cupe, cuori infranti, giovani forti come leoni, dolci come agnelli, corrompendo così la facoltà di giudizio non più affidabile. Quando si legherà a Léon o a Rodolphe interpreterà una parte, reciterà battute di un canovaccio mandato a memoria.
Di Rodolphe dirà: tu sei il mio re, il mio idolo, tu sei bello, tu sei buono, tu sei intelligente, tu sei forte. Neanche fosse, quello che leggiamo, un romanzo d’appendice.

La voce narrante ha da ridire un po’ su tutti.

Di Léon afferma che, se si è astenuto dagli eccessi, l’ha fatto per pusillanimità oltre che per delicatezza. Di Hippolyte dice che gira intorno gli occhi stupidamente, o ridacchia stoltamente a chi cerca di circuirlo per convincerlo della bontà dell’operazione al piede. La figura di Homais assume tratti ridicoli e pedanteschi.
Non mancano apprezzamenti nei riguardi di Charles Bovary: il suocero riconosce che è un brav’uomo anche se per Emma non rappresenta un gran partito; ha un buon aspetto, una discreta reputazione ed è ben voluto; Emma alla fine ammetterà la sua superiorità, ne avrà addirittura paura. Rimangono in piedi tutti i suoi difetti: è stato un bambino viziato e lento di comprendonio, nonché ottuso; la sua conversazione è piatta come un marciapiede e non ha un briciolo di ambizione. Non ci sono gli elementi perché possa divenire un luminare come il dottor Canivait – ed è vano illudersi, sarà capace di mettere al repentaglio la reputazione di ufficiale sanitario.
È nonostante questo che le sue qualità emergono: difende la prima moglie contro i genitori; lo vediamo in collera, alla morte di Emma, verso chi ha abbia da ridire sulle spese del funerale.

La fotografia che fa Dacia Maraini di Charles Bovary gli rende giustizia.

Rozzo, goffo e pigro, si direbbe persino scemo, in realtà si mostra capace di ciò che nessuno dei personaggi flaubertiani sa fare: amare con dedizione materna, con tenerezza protettiva, con generosità infinita, la persona che ha scelto di amare. Dacia Maraini, Cercando Emma. Gustave Flaubert e la signora Bovary: indagini attorno a un romanzo
Probabilmente fa di più. Muove accuse precise contro il narratore stesso. In fondo è lui (e nessun altro) che si nasconde dietro la fatalità.


Davide Dotto


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