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Luigi Vanvitelli: un ponte tra barocco e neoclassicismo

Luigi Vanvitelli: un ponte tra barocco e neoclassicismo

Arte Di Argyros Singh. A 250 anni dalla morte, Luigi Vanvitelli, l'architetto della Reggia di Caserta: un ponte tra barocco e neoclassicismo.

La Reggia di Caserta è uno dei palazzi più noti al mondo, ma non tutti ricordano il suo ideatore, l’architetto Luigi Vanvitelli, del quale, il 1° marzo 2023, ricorrono i 250 anni dalla morte.
Napoletano di nascita, al principio del Settecento, era figlio d’arte del pittore fiammingo Caspar van Wittel. Si racconta che fin da bambino, il figlio fosse un appassionato disegnatore e che un giorno disegnò un ritratto talmente realistico che il padre si convinse della genialità del giovane. Dopo i primi studi incentrati sul disegno e sulla matematica, si trasferì a Roma, a sedici anni, per studiare architettura presso la celebre Scuola di San Luca.
Nell’ambiente romano ebbe modo non solo di approfondire le opere degli antichi architetti, ma fu apprezzato anche da uno dei più grandi del suo tempo, Filippo Juvarra, che progettò edifici come la basilica di Superga, sull’omonima collina torinese.

Completati gli studi e compiuti i primi lavori, la carriera di Vanvitelli decollò.

Il primo vasto approccio all’architettura risale al 1728, quando gli venne commissionato il restauro di Palazzo Albani, a Urbino, appartenuto alla famiglia del pontefice Clemente XI. Da Clemente XII ricevette invece la commisse per i lavori tra Loreto e Ancona, con la creazione del Lazzaretto e il rifacimento del porto di quest’ultima città.
Negli anni successivi fece lavori minori al Palazzo Reale di Capodimonte e alla cappella di San Gennaro. Si occupò in quei due decenni di altri cantieri nel napoletano, quali la costruzione del Foro Carolino all’odierna piazza Dante e di Palazzo Doria d’Angri a via Toledo, oltre al restauro di Villa Campolieto a Ercolano e del teatro San Carlo.
Nel 1751, Vanvitelli fu nominato architetto reale di Ferdinando IV di Borbone. Questo gli permise di accedere ai cantieri più prestigiosi nel Regno delle Due Sicilie, non solo nei citati lavori nel napoletano, ma anche a Castellammare di Stabia, Benevento, Foggia e Barletta.

Nel 1752 ricevette la commissione più importante della sua carriera: la progettazione del Palazzo di Caserta, residenza reale che avrebbe dovuto competere con il francese Palazzo di Versailles.

Un aneddoto racconta che la cura dell’artista era tale per cui faceva testare la qualità dei mattoni facendoli cadere da un’altezza di venti metri. Certo non dipese da questo, ma l’opera richiese comunque tutta la vita dell’architetto per essere completata, e occorsero ulteriori anni dopo la morte.
Avviato il cantiere di Caserta, l’architetto si impegnò in numerosi altri progetti, oscillando tra i Borbone e il papato. A Roma aveva svolto importanti lavori, fino a divenire architetto della Fabbrica di San Pietro, l’incarico più prestigioso che potesse ricevere in città. Tra i vari impegni, lavorò al consolidamento della cupola di San Pietro, che aveva destato preoccupazioni già al tempo di Michelangelo.
In tarda età, Vanvitelli tornò alle scenografie, che avevano interessato la prima parte della sua carriera, accanto alla pittura paesaggistica. Nel 1769, fu poi chiamato a Milano per il restauro del Palazzo vicereale e propose anche un’armonizzazione urbanistica della zona circostante il Duomo. L’idea non piacque e l’architetto lasciò l’incarico all’allievo Giuseppe Piermarini, futuro costruttore del Teatro alla Scala.
Tornato al Sud, Luigi Vanvitelli morì il 1° marzo 1773, a Caserta, all’età di settantatré anni: le spoglie furono sepolte nella chiesa di San Francesco di Paola, una delle sue opere più significative.

La Reggia di Caserta | © Flaviafors
La Reggia di Caserta Flaviafors

Dagli edifici religiosi a quelli della nobiltà: quel capolavoro che è talvolta più noto del suo creatore è la Reggia di Caserta.

Benché fosse sua la progettazione e la prima realizzazione, alla struttura parteciparono diversi artisti anche dopo la sua morte. Il Palazzo è una delle più grandi residenze reali mai costruite, un immenso edificio in stile barocco, con un giardino monumentale che si estende per centoventi ettari.
Il cantiere prese avvio nel 1752; l’anno seguente erano conclusi i lavori di fondazione. L’architetto fece realizzare negli anni diversi modellini lignei, che – più dei disegni – mantenevano vivo l’interesse dell’aristocrazia e contrastavano le critiche provenienti, per esempio, dal primo ministro Bernardo Tanucci.
La facciata della reggia fu interamente progettata da Vanvitelli, che la realizzò in laterizi, travertino di Santo Iorio e marmi di Carrara, della Sicilia e del Meridione. Piano terra e primo piano presentano un basamento in bugnato; piano nobile e secondo si distinguono per le semicolonne e le lesene, con le finestre dell’ultimo piano inserite in una trabeazione.
Sul lato destro del vestibolo, la scala d’onore che conduce all’interno del palazzo rappresenta una delle parti più spettacolari dell’edificio. Lo scalone consta di centosedici scalini in marmo bianco di Carrara ed è composto da una rampa centrale che termina su un pianerottolo, con due leoni ai lati; da lì si aprono due rampe parallele, che giungono al vestibolo superiore. Ventiquattro finestre consentono l’illuminazione dell’ambiente, decorato con marmi policromi.

In un edificio tanto colossale, non poteva mancare la cappella palatina, con la consueta pianta centrale e una cupola affrescata.

Costretto a seguire le indicazioni del re, che si ispirava a Versailles, Vanvitelli riportò, in una lettera, il suo fastidio: «La Cappella mia di Caserta certamente sarà il miglior pezzo e quella di Versaglies è così cattiva, sproporzionata in tutto, quantunque piena di bronzi dorati, che assolutamente è una pessima cosa, [...]».
Oltre alla cappella, venne aggiunto in un progetto successivo il teatro di corte interno, a forma ellittica. Gli elementi decorativi furono ridotti per migliorare l’acustica e i palchi affacciati sulla platea erano pensati per favorire la visibilità, nell’ottica di un’architettura che mescolasse estetica e funzionalità.
La Reggia non presentava problemi solo di ordine meramente estetico o architettonico, ma anche urbanistico e di funzionalità: l’acquedotto che venne creato non doveva soltanto portare acqua alle fontane e alle esigenze della reggia, ma doveva rifornire il centro di Caserta e persino Napoli. È lo stesso artista, in una lettera, a ricordare di aver condotto l’acqua per «quarantacinque miglia, traforando monti, e quindi traversando un Gran Valle con un altissimo Ponte di tre contignazioni di Archi. Ho piantato i Giardini e i Viali di Essi».

Un’opera in cui interagiscono arte e ingegneria, ma che non fu mai completata nella sua forma progettuale originaria.

La partenza di Carlo III pregiudicò infatti la realizzazione di alcune parti, come le quattro torri angolari e la grande cupola. Anche i progetti per il giardino subirono rallentamenti e semplificazioni. L’ultima parte della canalizzazione venne comunque completata nel 1762 e, l’anno seguente, ci fu l’inaugurazione delle cascate e dei giochi d’acqua, di fronte allo stupore generale.
Come è chiaro da queste descrizioni, Vanvitelli si occupò anche di urbanistica. Diversa destinazione avevano infatti i lavori per il Lazzaretto e per il porto di Ancona, complesso costruito da diversi architetti, tra cui Vanvitelli. La commissione giunse propriamente dal cardinale Neri Corsini, nipote di Clemente XII.

La scala d’onore della Reggia di Caserta | © 	Carlo Pelagalli
Reggia di Caserta: scalone d'onore Carlo Pelagalli

Luigi Vanvitelli si occupò anche di urbanistica: il Lazzaretto e il porto di Ancona.

Costituito da una poderosa cinta muraria in mattoni, materiale umile rispetto alla pietra bianca d’Istria del portale maggiore e della chiesa di San Rocco, che si trova all’interno, dedicata al protettore contro la peste e le malattie infettive, il Lazzaretto di Ancona è di forma pentagonale e si struttura sull’ordine dorico. All’esterno, le lesene si addossano a dei pilastri angolari; l’architrave a due fasce armonizza l’intero edificio e chiude le cinque aperture rettangolari comprese nei pilastri. All’interno, la cupola è cassettonata a esagoni e le colonne, tramite leggeri costoloni, convergono nella figura di un pentagramma. La calotta esterna si appoggia su un tamburo, che si raccorda alla trabeazione dorica sottostante tramite elaborate volute decorate con foglie d’acanto.
Il Portale d’ingresso del Lazzaretto fu invece progettato come collegamento tra l’isola dei malati e il porto di Ancona: la forma trapezoidale è analoga agli esempi vitruviani in merito all’architettura etrusca, e offre una maggiore stabilità, anche a livello simbolico, rispetto alla consueta porta rettangolare. La porta è inquadrata dentro due lesene, affiancate da mezze lesene e lesene angolari, ed è caratterizzata dall’impiego del bugnato.
Infine, il Faro: la torre, alta quasi trenta metri e costruita in pietra bianca, oggi è andata distrutta e rimane solo parte del basamento fortificato.

Con la sua opera, Vanvitelli ha generato un ponte tra barocco, rococò e svolta neoclassica.

Egli fu un grande amante delle antichità: era, per esempio, un grande bibliofilo, in possesso di una ricca collezione di libri antichi. Curò inoltre le illustrazioni per l’edizione del 1736 delle Commedie di Terenzio, nonché i disegni delle scenografie per le rappresentazioni del Tito Manlio, al teatro della Pace di Roma.
Così vicino agli scavi di Pompei ed Ercolano, scoperti proprio nel corso della sua vita, Vanvitelli non poteva non occuparsi anche di questo. Mentre operava alla Reggia di Caserta, fu chiamato a supervisionare i lavori di scavo e di ricerca archeologica a Ercolano, insieme a figure come Karl Weber e a Francesco La Vega. L’impegno durò circa un decennio e portò alla scoperta di numerose opere d’arte e alla cura per la ricostruzione degli affreschi e delle decorazioni architettoniche rinvenute negli scavi.

I giochi d'acqua del parco della Reggia e il progetto del Vanvitelli per la Fontana di Trevi
Reggia di Caserta, parco Pierfelice Licitra
Progetto di Luigi Vanvitelli per la Fontana di Trevi

Vanvitelli si dedicò anche al restauro del notevole patrimonio della Penisola.

A partire dal 1748, si occupò della Basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma. Vi aveva operato anche Michelangelo, e questo poneva la questione nei termini di un confronto. Anni dopo l’inizio dei lavori, Vanvitelli scrisse una lettera al fratello, in cui dichiarava di non saper comprendere la logica del predecessore. In effetti, anziché adagiarsi a un ritorno alla struttura michelangiolesca, l’architetto operò in chiave barocca, ricevendo le critiche – peraltro isolate – di monsignor Giovanni Gaetano Bottari, che lo accusò di aver introdotto stravolgimenti sacrileghi all’impianto originario.
Il sobrio interno michelangiolesco fu decorato da Vanvitelli nel tentativo di ricreare un’uniformità nella struttura, perduta a causa dei ripetuti interventi. Con l’installazione di otto colonne in muratura, l’architetto creò un passaggio ordinato tra il vestibolo, la crociera e il presbiterio. Sulla piazza dell’esedra creò una facciata con portale a timpano, rifacendosi alla tipica forma delle terme romane, collegata alla chiesa attraverso una serie di lesene. Oltre a ciò, Vanvitelli curò anche il nuovo allestimento: vi dispose alcuni quadri e pale d’altare provenienti da altre chiese vaticane, dove erano minacciate dall’umidità, e trasformò così Santa Maria degli Angeli in una pregevole pinacoteca, con opere dal XVI al XVIII secolo.

Molti sono i lavori non citati dell’artista, ma qui ho presentato alcuni dei principali.

Come spesso accade in àmbito architettonico, tanti sono i disegni e i progetti mai concretizzati, tra cui quelli per la facciata di San Giovanni in Laterano, dove già aveva operato Francesco Borromini, e per la fontana di Trevi.
L’opera di Luigi Vanvitelli non è inscrivibile soltanto nello stile del tardobarocco e del rococò, poiché i suoi interessi furono rivolti anche all’archeologia e al restauro. Egli maturò inoltre uno stile personale, caratterizzato dall’attenzione per la simmetria e per la proporzionalità delle forme, per l’impiego sapiente di materiali di pregio come i marmi policromi e per la ricerca luministica volta a enfatizzare la monumentalità degli edifici. Vissuto in un’epoca, per certi versi, di transizione, Luigi Vanvitelli ha saputo combinare le innovazioni del suo tempo agli elementi della tradizione classica. Una testimonianza e un’eredità che vennero raccolte dalle generazioni successive, a partire dall’allievo Giuseppe Piermarini.


Bibliografia e consigli di lettura

Costanzo S., La scuola del Vanvitelli. Dai primi collaboratori del Maestro all’opera dei suoi seguaci, CLEAN, Napoli, 2006.
de Seta C. (a cura di), Luigi Vanvitelli e la sua cerchia, Electa, Napoli, 2000.
Vanvitelli L., Manoscritti di Luigi Vanvitelli nell’archivio della reggia di Caserta, 1752-1773, Ministero per i beni e le attività culturali, Roma, 2000.
Varallo F., Luigi Vanvitelli, Skira, Milano, 2000.

Per info sugli eventi della Reggia di Caserta e per acquistare i biglietti d'ingresso, potete consultare il sito ufficiale reggiadicaserta.cultura.gov.it


Argyros Singh


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