Gli scrittori della porta accanto

Roberto Vecchioni: un grande sogno lungo ottant'anni

Roberto Vecchioni: un grande sogno lungo ottant'anni

Musica Di Davide Dotto. Ha compiuto ieri 80 anni, Roberto Vecchioni, eterno esploratore dell'Anima: le sue canzoni sono il regno dell’immaginazione, di metafore, parole per consegnare storie e significati, di ricerca di un senso e del suo stravolgimento.

Un grande sogno lungo ottant'anni, non male per Roberto Vecchioni, instancabile esploratore delle profondità dell'animo umano. Preziose e diverse sono, di sicuro, le esperienze condivise da chi l'ha incontrato, conosciuto, ha assistito ai suoi concerti o l'ha avuto come insegnante.
Non è certo da meno averlo frequentato e trovato nelle liriche e nei testi delle canzoni, o tra le pagine dei libri che ha scritto.
Da bambino (anno 1977) fui affascinato da Samarcanda (con il Prologo di Naimy Hackett e Leona Laviscount), tanto che del disco non si ascoltava che questa. E Vaudeville, con un sottotitolo inquietante (Ultimo mondo cannibale), ispirata alle contestazioni subite da Francesco De Gregori al Palalido di Milano, nel 1976. Ma all'epoca lo ignoravo, e non sapevo nemmeno quale significato si celasse dietro il tormentone «Oh oh, cavallo».

Per anni ho ignorato le altre canzoni (Per un vecchio bambino, Ultimo Spettacolo). Le ho scoperte molto più tardi.

Un po' mi aspettavo che richiamassero le atmosfere di Samarcanda, e parlassero ancora di fuggiaschi e inseguitori. Quando si è bambini, o molto giovani, le idee astratte non catturano l'attenzione, ma scivolano via come l'acqua. Più tardi sono arrivati la lettura, la letteratura, il desiderio di esplorare e scoprire il senso dietro le parole, le immagini, le impressioni ricevute da un testo, un racconto, un romanzo. E le canzoni che scoprivo erano come dovevano essere i romanzi, i racconti, le cose letterarie.

L’incontro vero e proprio è avvenuto nella primavera del 1991 con l'album Per Amore Mio, che doveva intitolarsi Le Donne, i Cavalier, l’Arme, gli Amori.

Che poi è il titolo di un libro di Paolo Jachia del 2001 che fa un po’ il punto di poetica, discografia, liriche, aneddoti, varie ed eventuali.
Da qui è iniziato un viaggio ordinato e sistematico, a caccia di temi e sottotemi, di miti e opere letterarie che prendevano forma di infiniti ritorni, sfumature e incontri ravvicinati con il proprio sé interiore. Da un lato c'era la superficie, l'immagine riflessa, ma anche un significato più profondo, che apparteneva a chi lo trovava.
Si partiva quindi dal disco dedicato a Sancio Panza (Per Amore Mio) per il quale «Niente ha più realtà del sogno», e lo stesso Don Chisciotte, alla fine, si rivelava della stessa consistenza dei Giganti sotto le mentite spoglie di Mulini a Vento. Ma in fondo uno scrittore, un poeta, e il cantautore più di altri, si manifestano sempre sotto le mentite spoglie di qualcun altro.

È stato davvero un viaggio a ritroso, per capire cosa ci fosse stato prima, e cosa sarebbe venuto dopo. Ecco allora la cassetta di Parabola (1971) con Luci a San Siro.

Ecco Saldi di Fine Stagione (1972) con Aiace e La Leggenda di Olaf. Poi è arrivato Il Re Non Si Diverte (1974). Quindi Ipertensione, del 1975, con almeno due canzoni che ancora si sentivano in radio: Irene e Canzone per Laura. E via tutti gli altri, poco alla volta: Elisir del 1976, Calabuig – Stranamore e Altri Incidenti (1978). Montecristo, del 1980, introvabile, è stato ripubblicato in occasione del quarantesimo anniversario nel 2020.

Di album in album, di canzone in canzone, a farla da padrona è il regno dell’immaginazione che rincorre aspirazioni, ma anche metafore, parole per consegnare storie e significati, la ricerca di un senso e del suo stravolgimento.

Tra i numerosi temi ricorrenti, quello del "doppio" ritorna molto spesso, tanto da rivelarsi una costante. Talvolta è evidente, per esempio nel palindromo di Cazonenoznac. In altri casi lo si capisce tra le righe. Ci sono poi Dentro gli Occhi (da Il Grande Sogno, 1984), o Ninni ( da Calabuig - Stranamore 1978), che riprendono le suggestioni di un racconto di Borges contenuto nel Il libro di sabbia. In alcuni brani il riferimento sembra appena un cenno, veloce quanto basta per lasciar spazio ad altro:
E quello che credevi dov'è?
forza inventa qualche scusa
i figli, l'amore, la strada che va
tra i fiori verso casa, non so
eppure io so perché t'ho invitato
a questa cena,
Siamo di fronte adesso io e te
Siamo la stessa persona... Roberto Vecchioni, Ragazzo che parti, ragazzo che vai, Saldi di Fine Stagione (1972)
In Canzonenoznac, invece, si parla di un leader della parte chiara e di un leader della parte scura, quello con la cicatrice e quello con la barba, che si riconoscono e si affrontano allo specchio (come una parola posta davanti a se stessa). Sotto un certo punto di vista, la Alice attraverso lo specchio di Carroll si dimostra più coraggiosa nell'affrontare l'altro lato della realtà (e di sé).

In Pesci nelle orecchie, Vecchioni si rivolge invece al proprio alter ego femminile.

Ragazza mia che invecchi
Lentamente, come Dorian Gray
Ti ho disegnato barba e baffi
Per potermi dire che
Le luci di San Siro sono state solo fatti miei
Dicevo: "Nelle mani quanti sogni ho
Li vuoi contar con me?
Da solo io non so" Roberto Vecchioni, Pesci nelle orecchie, Ipertensione (1975)

Il ricorso a un doppelgänger non è una novità: si va dal Sosia di Dostoevskij, al «Madame Bovary c'est moi» di Gustave Flaubert, segno che un autore è sempre i suoi personaggi, spinto dalla necessità di cambiare pelle, di separarsi e consolidare la propria identità. Tanto che alla fine le varianti non si contano più: l'alter ego diventa La mia ragazza (il mio mestiere), o Milady (la musica, il palcoscenico con le sue luci). Diventa persino Leopardi quando, per la prima volta, «non muore il dì di festa» (L'infinito, 2018).

Nella lunga e prolifica carriera di Roberto Vecchioni, spicca un elemento di particolare rilievo: il suo costante impegno al dialogo, alla condivisione e identificazione profonda.

Non si concentra troppo – se non all’inizio – su solitudini, angosce, le ansie dell'uomo moderno.
Non è un artista che si piange addosso; al massimo esprime un dolore che non prova sul serio (e lo confessa apertamente), finge di avercela con se stesso, o con qualcun altro. Ciò che conta davvero è sempre la ricerca di una qualche forma di simmetria e di reciprocità nelle relazioni umane, soprattutto tra dimensione maschile e femminile. In mancanza di questa corrispondenza, ciascuno si dissocia dall'altro (o dall'altra), rinchiudendosi in una solitudine senza soluzione, o in spazi più angusti, non propri, spesso presi a prestito da altri.
Tante le canzoni che parlano anche di questo, come la già citata Irene, o la dibattuta Voglio una donna (Camper, 1992). Per entrambe il messaggio rivolto alle donne diventa: non cadere nella trappola di uscire da un guscio per rintanarsi in un altro; liberarsi dagli stereotipi di genere che esse stesse utilizzano per giudicare le altre donne. Nulla di diverso, in proposito, emerge dalla lettura di molti romanzi di Dacia Maraini (La lunga vita di Marianna Ucria, La vacanza, L'età del malessere), e sul cui impegno letterario e civile è stato dedicato un apposito studio.




Davide Dotto


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