Gli scrittori della porta accanto

Le origini del male: 3 libri a confronto

Le origini del male: 3 libri a confronto

Professione lettore Di Elena Genero Santoro. Quanto un individuo è cosciente del male che fa? La malattia mentale può sgravare dalle colpe? Si può trasformare un criminale in una brava persona? Il male è sempre frutto dei traumi pregressi, di genitori anaffettivi, di famiglie disfunzionali? Tre libri, tre diversi approcci alla psicopatia.

Le origini del male sono un argomento oscuro e affascinane a cui nel tempo sono state fornite molteplici quanto parziali interpretazioni.
Quanto un individuo è cosciente del male che causa? Quanto è responsabile delle proprie azioni? In che modo la malattia mentale può fare agire un individuo, sgravandolo delle sue colpe? È possibile un recupero? Si può trasformare un criminale in una brava persona? Il carcere, luogo di contenzione, è anche un luogo di riabilitazione? E se, per esempio, un bambino – o un adolescente – commette un reato, è sempre colpa dei genitori che lo hanno educato male o delle situazioni negative che ha vissuto? Il male è automaticamente il frutto dei traumi pregressi, delle madri anaffettive, delle famiglie disfunzionali?
La risposta non è univoca nemmeno tra gli addetti del settore. Ve lo mostrerò parlandovi di tre libri.

Ascolta l'editoriale su soundcloud.com


La psicoterapeuta britannica Gwen Adshead, con esperienza trentennale e molti anni di operato presso l’ospedale psichiatrico di Broadmoor in Inghilterra, non riesce a considerare i suoi pazienti dei mostri.

Nel libro Il diavolo in noi, viaggio nelle menti criminali ai confini tra bene e male (Mondadori) riporta undici storie, molto diverse, con i percorsi terapeutici di vari criminali a lei affidati.
Il suo approccio, molto europeo e garantista, è sempre rivolto all’invito al cambiamento e alla riabilitazione, partendo dal presupposto che – cito – «Ogni crimine è una tragedia tanto per le vittime quanto per i loro colpevoli, che sono sopravvissuti a un disastro, dove loro sono il disastro».
E quindi conosciamo Gabriel, che soffrendo di paranoie per traumi di guerra riportati durante la sua giovinezza, è arrivato ad aggredire un uomo in un bar e quasi a ucciderlo.
O Kezia, che ha ucciso un suo tutor perché schizofrenica e in preda a feroci allucinazioni.
Il diavolo in noi

Il diavolo in noi
Viaggio nelle menti criminali ai confini tra bene e male

di Gwen Adshead, Eileen Horne
Mondadori
Saggio
ISBN 978-8804723929
cartaceo 20,90€
Ebook 11,99€

L’origine del male in queste due persone è, diciamo, “semplice”: la malattia mentale vera e propria, il cervello disturbato, in corto circuito, in preda a psicosi, a deliri.

Insomma, la mostruosità del loro gesto, con cui, ora che sono più lucidi, dovranno comunque fare i conti, è esterna alla loro volontà. La successiva elaborazione, la presa di coscienza della malattia e del trauma, è un lavoro lungo e laborioso, ma alla fine proficuo.
E possiamo anche simpatizzare per Charlotte, che da ragazzina ha partecipato all’aggressione gratuita di un senza tetto che è morto a causa delle percosse. Il gesto di Charlotte e del suo gruppo di amici è ingiustificabile, ma Charlotte era adolescente, con una personalità ancora in formazione, e inoltre aveva una situazione famigliare complicata. Insomma, una persona come Charlotte, con un opportuno iter terapeutico, prenderà coscienza dei suoi sbagli, potrà avere un percorso di maturazione, di consapevolezza, di redenzione.

Su un aspetto il libro di Adshead è molto all’avanguardia: racconta la violenza commessa dalle donne.

Il commento più illuminante lo fa raccontando di Zahra, giovane piromane che per sfogare la propria frustrazione verso il rifiuto da parte della madre dà fuoco all’appartamento in cui vive, mettendo a rischio anche la vita di terzi. Zahra ha problemi di controllo della rabbia e Adshead scrive: «Il nostro atteggiamento diverso nei suoi confronti (la compassione che proviamo per lei) suggerisce che abbiamo una visione di genere del male, in base alla quale la violenza degli uomini ci appare sostanzialmente diversa da quella delle donne. Questo modo di pensare non è vantaggioso per nessuno, anzi, non fa altro che rafforzare la perniciosa idea che per un uomo sia in qualche modo “normale” essere distruttivo e violento e che la condizione di vittima sia una parte essenziale dell’identità femminile».
Insomma, anche se statisticamente le donne sono meno violente degli uomini, quando devono commettere atti illeciti non sono da meno.

La faccenda inizia a complicarsi quando i criminali che Adshead descrive sono pedofili o stalker.

Ian, Lydia, David: il loro percorso terapeutico non va a finire bene. Ian ha tentato di abusare dei figli in un momento in cui era sotto pressione: la moglie aveva avuto una promozione, lui restava in casa a badare ai figli e questo lo frustrava. Lydia era diventata la stalker del suo psicoterapeuta, il medico che l’aveva assistita quando aveva perso il padre a cui era legatissima ma che aveva abusato di lei. Aveva una visione radicalmente distorta della realtà. David, cresciuto con il mito del figlio perfetto, ai suoi tempi era stato un ragazzo modello. Sport, buoni voti, una laurea in medicina. La moglie lo aveva lasciato quando aveva scoperto che era solito guardare sul computer siti pedopornografici. Mostrava un’affettività superficiale anche nei confronti dei suoi due figli e una capacità di introspezione quasi nulla.
Con loro l’approccio possibilista – qualcuno direbbe “buonista” – la mano tesa, lo sguardo alla persona oltre al crimine, non ha portato a nulla.

Adshead spiega che all’origine di un reato ci sono una serie di circostanze che si devono verificare perché l’evento accada.

Lei lo paragona alla combinazione che fa aprire un lucchetto.
Sia Ian che Lydia che David hanno avuto delle frustrazioni e subito dei traumi prima di trasformarsi in criminali non recuperabili – pur senza aver materialmente ucciso nessuno.
La frustrazione è un leitmotiv ricorrente nelle esplosioni di violenza.
Eppure, ci deve essere qualcosa di intrinseco e congenito nelle personalità di Lydia, David e Ian che li porta a essere irriducibili nel loro errore.

E qui entra in gioco la psicopatia, cioè ciò che spiegherebbe a livello medico l’origine del male.

Adshead menziona la psicopatia come mera possibilità, ma non calca la mano. Non la attribuisce a nessuno dei suoi pazienti, nemmeno a Tony, omicida seriale di omosessuali senza una ragione apparente. La volontà di Tony di capirsi e di ammettere infine i suoi crimini basta ad Adshead per escludere che si tratti di uno psicopatico.
Adshead non riconosce la psicopatia nemmeno in quei medici e operatori sanitari che uccidono sistematicamente i pazienti. Anziché parlare di psicopatia, parla di burnout di chi lavora in certi settori.
Menziona il libro La psicopatia di Robert D. Hare (Casa Editrice Astrolabio), professore emerito di Psicologia alla British Columbia, ma poi passa oltre.
Vuole continuare a guardare la persona oltre l’atto criminoso.
La psicopatia

La psicopatia
Valutazione diagnostica e ricerca empirica

di Robert D. Hare
Casa Editrice Astrolabio
Saggio
ISBN 978-8834015582
cartaceo 23,75€
Ebook 17,99€

Quando si parla di psicopatia, si deve proprio valutare la persona. Ma cos’è la psicopatia?

Il testo La psicopatia, scritto negli anni novanta dopo un’esperienza trentennale di Hare nello studio in materia, è ancora indiscusso e inconfutato: il punto di partenza per ogni ulteriore valutazione.
La psicopatia, che non è ancora nemmeno menzionata nel manuale dei disturbi psichiatrici dove si parla solo di disturbo sociopatico di personalità, è un disturbo della personalità presumibilmente innato.
I crimini di un adulto possono essere spiegati con traumi pregressi, ma a volte ci sono individui “difficili” per non dire “impossibili” già in tenera età. Bambine che picchiano i fratellini senza pietà e sbattono la loro testa sul pavimento. Gemelle dizigoti molto simili di cui una “tranquilla”, l’altra ingestibile, tanto per citare un paio di casi riportati nel libro di Hare. Pare che uno dei serial killer più famosi ed efferati, Ted Bundy, mostrasse comportamenti inquietanti dall’età di tre anni e un sadismo inspiegabile verso le compagne già alle elementari. Di certo gli omicidi da lui compiuti in seguito non possono essere giustificati solo dal fatto di avere avuto un patrigno e dei fratellastri o che la fidanzata l’avesse rifiutato, altrimenti saremmo tutti serial killer.

Gli individui psicopatici sono strutturalmente carenti di empatia. In generale sono carenti di emozioni e sentimenti.

Il che li porta a non provare paura nella maggior parte delle situazioni e a non provare rimorso per le proprie azioni sbagliate. Possono essere individui intelligenti e affascinanti, ma usano le loro abilità per manipolare e mentono. In pratica, sono individui privi di scrupoli e di morale. A volte sono talmente abili da riuscire anche a imbrogliare gli psichiatri – Angelo Izzo docet, anche se non viene menzionato da Hare.
Gli psicopatici possono investirvi accidentalmente con la macchina, scendere e preoccuparsi del loro paraurti ammaccato più che delle vostre ginocchia rotte. Questo perché, nella loro mancanza di empatia, non hanno nessuna ragione per occuparsi per voi.
Egocentrici, narcisisti, loro sono l’unico centro del loro stesso universo. Diane Downs, che nel 1984 aveva sparato ai suoi tre figli, uccidendone uno e rendendo gli altri due invalidi, si lamentava di avere un braccio ferito. E riteneva di essere una buona madre.
Gli psicopatici possono essere dei sadici, ma, se arrivano a uccidere, spesso non lo fanno con malanimo, per rabbia o rancore: più probabilmente perché in quel momento ritengono l’omicidio la via più semplice per liberarsi di un problema. Se però necessitano di emozioni – visto che sono in cerca di qualcosa di forte che li liberi dall’apatia della loro coscienza –, e magari sono anche dei frustrati in vena di esercitare il loro potere su qualcuno, possono trasformarsi in predatori e diventare serial killer.
A conti fatti, uno psicopatico può essere un criminale perfetto, perché non ha coscienza morale.

Non tutti i criminali, sono psicopatici. E non tutti gli psicopatici sono criminali.

Robert D. Hare riporta che il 50% crimini gravi è commesso da psicopatici.
Posto che la psicopatia può avere diversi livelli – secondo la Psychopathy Check-list messa a punto da Hare –, ci sono psicopatici che vivono secondo la legge, se non altro per convenienza, e si mimetizzano per tutta la vita in mezzo alle altre persone. Magari sfogano le loro compulsioni esercitando una professione prestigiosa, come l’avvocato o il genio della finanza o il dirigente aziendale. Si dedicano a un mestiere in cui avere pochi scrupoli può portare molto in alto.
Uno degli esempi riportati da Hare è quello dell’avvocato Norman Russell Sjonborg, condannato per omicidio, che nonostante la sua aura di rispettabilità è stato considerato uno dei più pericolosi sociopatici in circolazione. «Sembrava un bravo ragazzo, parlava in maniera educata e aveva molto fascino» c’è scritto. Ma aveva ucciso a bastonate una cliente e, nella lista degli scenari con cui affrontare la propria crisi coniugale aveva elencato l’ipotesi di uccidere la moglie e/o le figlie. La moglie Terry diceva che Russell non aveva una vita affettiva autentica e leggeva libri di psicologia e di auto-aiuto per imparare le risposte emotive da fornire al bisogno.
Lo psicopatico Jack Abbot spiega nel libro di Hare: «Ci sono emozioni, un intero spettro di emozioni, che conosco solo attraverso le parole, attraverso la lettura e la mia immaginazione immatura. Posso immaginare di provare queste emozioni, (so, quindi, che cosa sono), ma non le provo».

Due cose restano al momento ancora indiscusse sulla psicopatia: che è intrinseca, indipendente da educazione, traumi e vissuto esterno e che, allo stato attuale, è incurabile.

Uno psicopatico che vada da un terapeuta può solo imparare nuove tecniche manipolatorie.
Di fronte a una diagnosi di psicopatia e di sadismo, l’approccio del guardare la persona oltre il crimine pare fare poca strada. Pare che gli psicopatici abbiano una differenza strutturale nell’amigdala.
Ma allora è una colpa essere psicopatici?

Il terzo libro che tenta di spiegare i meccanismi che conducono ad azioni criminose è quello di John Douglas, che non è uno psicoterapeuta, ma un Profiler dell’FBI.

Nel libro Faccia a faccia con l’assassino: alla scoperta dei segreti dei serial killer con l’originale Mindhunter dell’FBI (HarperCollins ) racconta i casi di quattro individui condannati all’ergastolo negli Stati Uniti per i loro crimini efferati. Alla sua attività si è infatti ispirata la serie Netflix Mindhunter.
Douglas spiega che, nel suo mestiere, attraverso il movente e le modalità del crimine, lui traccia il profilo del criminale per dirigere le indagini e scovare il colpevole. Il come più il perché danno il chi.
Faccia a faccia con l'assassino

Faccia a faccia con l'assassino
Alla scoperta dei segreti dei serial killer con l'originale Mindhunter dell’FBI

di John Douglas, Mark Olshaker
HarperCollins
Saggio
ISBN 978-8869055751
cartaceo 17,10€
Ebook 6,90€

Gli individui di cui si parla sono Joseph McGowan, Joseph Robert Kondro, Donald Harvey e Todd Kohlhepp.

Joseph McGowan ha ucciso una sola bambina, una scout, sua vicina di casa, che voleva vendergli i biscotti. L’omicidio, dopo uno stupro, era già nella mente dell’assassino prima che aprisse la porta. Il suo istinto predatorio ha trovato un pretesto per scatenarsi contro una bambina innocente. McGowan era un frustrato che pativa la presenza della madre, con cui viveva nonostante fosse adulto. Sentendosi represso, doveva sfogare la sua esigenza di dominio verso qualcuno. Ne ha fatto le spese una bambina, la prima persona debole che quel giorno gli fosse capitata sotto tiro.
Una storia simile è quella di Joseph Robert Kondro, che ha ucciso, in più occasioni, bambine figlie di amici. Bambine innocenti e ingenue che si fidavano di lui come di uno zio acquisito.
Né McGowan né Kondro hanno mai mostrato rimorso per quello che hanno fatto, anzi, hanno sempre cercato di spiegare l’inevitabilità delle loro azioni, spostandone l’origine su qualcosa di esterno a loro. Questo è il motivo per cui Douglas non ha mai supportato l’ipotesi di concedere a questi individui una libertà vigilata, dopo un certo numero di anni di detenzione.
Donald Harvey invece è uno di quegli individui, se possibile, ancora più inquietanti. Infermiere dall’aspetto gentile e rassicurante, ammazzava i suoi pazienti. Il suo genere di delitto è particolarmente atroce perché Harvey si accaniva contro persone deboli, inermi, innocenti e lo faceva in modo assolutamente casuale.

Quello che per Adshead è il burnout della professione sanitaria, per Douglas è il massimo delle perversioni, l’espressione di un male distillato, sadico, inspiegabile con parametri di giudizio ragionevoli.

Harvey, e altri come lui, non procurava la dolce morte a individui in fin di vita. Harvey uccideva anche persone guaribili dalla loro patologia. Lo faceva in modo sistematico, strutturato, organizzato. Premeditato. E non per pietà, ma per esercitare un potere. Queste le conclusioni di Douglas.
Douglas non scrive un saggio sulla psicopatia, ma i tre individui sopra menzionati, per come sono descritti, sposano molto bene la definizione di psicopatici data da Hare: assassini che hanno rivolto la loro ferocia predatoria contro vittime inconsapevoli e incolpevoli, dopo averne tradito la fiducia, che non hanno mai provato rimorso per le loro azioni e che erano mossi solo da un istinto prevaricatore col quale compensare le loro frustrazioni.

Douglas non insiste sulla psicopatia, ma ritiene questi tre individui non recuperabili.

E alla domanda «Si tratta di malati mentali?», risponde: «Sono malati mentali, nel senso che una persona normale non si comporterebbe così, ma agiscono in modo lucido e consapevole e per questo devono essere giudicati e pagare per le loro azioni».
Douglas non è un terapeuta, non va a caccia di giustificazioni o di redenzione. È persino favorevole alla pena di morte. Il suo ruolo è quello di assicurarsi che questi assassini non commettano altri crimini.
Essere psicopatici non è una colpa, c’è chi nasce sordo, chi nasce cieco e chi nasce senza sentimenti e con un difetto dell’amìgdala. Ma commettere reati, infischiarsene della legge, sentirsi superiori a quella morale per loro incomprensibile ma che tutti dovremmo rispettare è un reato. E questi criminali sono lucidi a sufficienza per capirlo, secondo Douglas.
Struggente è invece il caso di Todd Kohlhepp, che ha ammazzato più persone, ma che presumibilmente non è uno psicopatico né un predatore. Oggi ammette le sue colpe. Fin da piccolo ha avuto problemi seri a gestire la rabbia. La famiglia disgregata, la madre che non riusciva a contenerlo, il padre che si disinteressava di lui. A quindici anni violenta una coetanea. Viene condannato a quindici anni di galera, senza una riabilitazione, senza qualcuno che si prenda cura di lui. Esce a trent’anni senza un percorso di assistenza, intelligente ma psicologicamente fragile. Ha la maturità di quando è entrato in carcere da adolescente. Vede l’omicidio come unica via per vendicare i torti subiti. Lo stesso Douglas, che sui primi tre criminali è tranchant, riconosce che se Kohlhepp fosse stato aiutato al momento giusto, quando la sua personalità era ancora in formazione, forse si sarebbe salvato, e con lui le sue vittime.
Forse per Todd Kohlhepp un percorso con Gwen Adshead sarebbe stato di grande aiuto.



Elena Genero Santoro


Ti siamo davvero riconoscenti per il tempo che ci hai dedicato. Se sei stat* bene in nostra compagnia, che ne dici di iscriverti alla NEWSLETTER SETTIMANALE per restare sempre aggiornat* sui nostri argomenti? Oppure potresti offrirci UN CAFFÈ o sostenerci acquistando i GADGET ispirati ai nostri libri. Te ne saremmo davvero grati!
Oppure potresti lasciarci un commento per farci sapere che ne pensi di questo articolo, il tuo feedback è davvero importante per noi.
NB: Gli autori non sono responsabili per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Tuttavia, verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi della immagine o della onorabilità di terzi, razzisti, sessisti, spam o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy e, in ogni caso, ritenuti inadatti a insindacabile giudizio degli autori stessi.

About Elena Genero Santoro

Il webmagazine degli scrittori indipendenti.
0 commenti

Posta un commento

<< ARTICOLO SUCCESSIVO
Post più recente
ARTICOLO PRECEDENTE >>
Post più vecchio
Home page

Parole chiave


Pubblicità
Abbonamento Audible Amazon




Libri in evidenza