
Professione lettore | Cinema Di Davide Dotto. (Ri)leggere oggi Il mestiere di vivere di Cesare Pavese, portato al 42° Torino Film Festival nel documentario di Giovanna Gagliardo: il ritratto intimo di uno scrittore inquieto.
Rileggere oggi Il mestiere di vivere di Cesare Pavese significa confrontarsi con un testo di una densità e di una intensità cui non siamo troppo abituati. È un'opera profondamente biografica, una incessante e ossessiva confidenza con sé stesso. Un diario non destinato alla pubblicazione – forse – ma a un percorso estremo di autoconsapevolezza. Qui Pavese è veramente scrittore-autore che si immerge nella propria anima, nelle proprie istanze creative, inabissandosi in un tutto senza distinzioni. E questo tutto (esistenza vissuta o non vissuta, promesse non mantenute, pagine scritte, letteratura, poesia, studio, la professione editoriale) diventa “mestiere”.
![]() Il mestiere di viveredi Cesare PaveseRizzoli | BUR Narrativa autobiografica ISBN 978-8817155656 cartaceo 9,60€ Ebook 0,99€ |
Il rischio è quello di leggere Il mestiere di vivere attraverso una lente puramente autoreferenziale o narcisistica.
La tentazione è forte, specialmente nelle parti iniziali in cui Pavese appare più che mai ripiegato su se stesso, in un circuito chiuso dove la letteratura e l'arte, anziché offrire salvezza, si fanno specchio delle sue contraddizioni. Ma esse, tappe di un viaggio, di una progressione, di una complessità cui non si può ovviare, sono necessarie.Non si può tollerare che una cosa avvenga indifferentemente, per caso, fuori della nostra impronta (17/01/1937). Cesare Pavese, Il mestiere di vivere
Ciò che ci attira e ci conquista nel diario è, nell'ordine, la profondità dell'analisi introspettiva, la capacità di rendere universale l'esperienza personale, la qualità letteraria della scrittura, anche nel raccogliere semplici appunti.
Vita, letteratura, poesia si intrecciano in un modo talmente inestricabile che non ne riesce a uscire. La dimensione spirituale in cui è immerso rende difficile e dolorosa l'esistenza. Gli stessi luoghi cui Pavese sa di appartenere – le Langhe – rappresentano una sfida per il suo stesso mestiere di vivere e di scrivere, oltre a un insanabile conflitto tra aspirazioni intellettuali egregiamente perseguite e le esigenze della vita pratica.Tra giovinezza e maturità: il peso della consapevolezza precoce.
Non si può nascondere che vi siano momenti in cui il sentimento si trasforma in risentimento, e non solo quando si rispecchia nella propria opera. Essa sembra consolidarsi presto in una forma in cui Pavese si sente intrappolato. Forse perché il percorso era già tracciato, e ciò che gli mancava era la spiegazione, il significato, la legge universale. Ma una volta trovata, gli sarebbe bastata?Non è detto che conquistata una dimensione diversa, magari più elevata, si raggiunga la pace dell'anima.
Tutta l'arte è un problema di equilibrio tra due opposti (14/12/1939). Cesare Pavese, Il mestiere di vivere
Si oscilla ma non si cambia la propria natura.
Questa può essere la fonte di certi pensieri oggi scomodi: quelli di chi ha inteso qualcosa di definitivo e importante anzitempo, assai precocemente, fino a considerare che qualcosa a un certo punto si è arenato, nel passaggio dalla giovinezza alla maturità.Certe idee maturano quando si sono fatte strada da tempo: «Aver fiducia che noi siamo più definitivi di quanto noi sappiamo (3/12/1938)». È un'intuizione che suggerisce come la consapevolezza arrivi sempre dopo, quando il percorso è già stato tracciato nell'ombra.
E in effetti nelle prime pagine del diario (datate 1935) ha poco più di ventotto anni - oggi sarebbe un ragazzo, ma allora era un uomo fatto. Sperimentava, con vent'anni di anticipo, la linea d'ombra di Conrad, o il malessere del protagonista dell'éducation sentimentale di Flaubert. A conti fatti: non bastava ancora a sé stesso e non aveva l'età per una simile svolta.
La ricerca di una metafisica: Cesare Pavese cerca un nuovo punto di partenza, uno snodo, il segreto di un altro meccanismo creativo.
Non vuole essere succube di uno schema, di una formula di cui pure si strugge di trovare il senso. Lo si capisce quando confida – abbastanza presto – come si senta nell'aver saccheggiato la vena (15-10-1935).È qualcosa di assai lontano dall'arte combinatoria di Italo Calvino anche se è alla ricerca – se non di spiegazioni – di connessioni.
La differenza sostanziale è che l'attenzione si sposta dall'esigenza di preservare un mondo a quella di crearne uno del tutto nuovo, in cui però è impensabile trovare una qualche unità nello spirito. La letteratura del mondo borghese non lo consente, a meno di vivere a buon mercato, senza pagarne il prezzo, o metterlo in conto a qualcun altro.
Anche il suo malessere è un passo necessario.
Quale sarà il passo successivo? Difficile rispondere, perché sembra mancare del tutto una soluzione, quella che forse scioglierebbe la tensione.Non gliene sarebbe bastata una in apparenza semplice, come quella che anni dopo Italo Calvino avrebbe espresso ne Le città invisibili.
In fondo, sulla carta, Pavese aveva tutti gli elementi. Mancando di questa c'è forse una porta che non ha mai aperto. Ma non è detto che avrebbe potuto - come in un celebre racconto di Kafka - varcarla.
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Italo Calvino, Le città invisibili
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![]() Dal libro al documentario: Il mestiere di vivere, di Cesare Pavese Il mestiere di vivereREGIA Giovanna GagliardoSCENEGGIATURA Giovanna Gagliardo PRODUTTORE/PRODUZIONE Luce Cinecittà, Film Commission Torino Piemonte, Ente Turismo Langhe Monferrato Roero MONTAGGIO Emanuelle Cedrangolo FOTOGRAFIA Roberta Allegrini ANNO 2025 CON Cesare Pavese, Emanuele Puppio |
Il documentario di Giovanna Gagliardo al 42° Torino Film Festival.
È proprio questa complessità che il recente documentario di Giovanna Gagliardo, presentato al 42° Torino Film Festival, cattura con straordinaria sensibilità.Giovanna Gagliardo, evitando la facile tentazione di concentrarsi sul tragico epilogo, sceglie di esplorare quella totalità che per Pavese era "mestiere": i suoi ruoli di scrittore, poeta, traduttore ed editore diventano capitoli di un racconto che rivela quanto profondamente questi aspetti fossero interconnessi nella sua vita.
Non è una scelta casuale: lo stesso Pavese, il 20 novembre 1937, riflettendo sulla poesia pura, si domandava: «Ai fatti concatenati sostituire il paesaggio interiore? Tornare all'idea di dare il pensiero in movimento?» La scelta di una struttura tematica anziché cronologica del documentario rispecchia proprio questa tensione verso un'esplorazione non lineare dell'interiorità.
Il documentario, attingendo a preziosi materiali d'archivio, restituisce le testimonianze di un'autoanalisi spietata e senza compromessi. Non è certo facile ricomporre la stratificazione di esperienze e riflessioni che formano questo vasto mosaico esistenziale.
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Oltre l'individuo. Un mestiere universale.
Il ritratto di Pavese emerge potente fin dalle riprese delle Langhe, a riprova che il mestiere di vivere va ben oltre la dimensione puramente individuale perché le questioni sul tappeto riguardano – o possono riguardare – ciascuno. La scelta di produrre un film per capitoli tematici rivela il tentativo estenuante di attribuire un senso al pesante sentimento di sconfitta interiore che lo tiranneggia. La sua è una battaglia tutta interiore, che lo spinge al di là del contesto storico (anche bellico) in cui il diario è scritto (tra il 1935 e il 1950), rendendo la sua voce più vicina alla nostra sensibilità contemporanea.Il Mestiere di Vivere così inteso si rivela uno specchio in cui si riflette la modernità, che troppo spesso tenta di uscire dall'impasse attraverso facili semplificazioni.
Se si ha un ideale, un principio, questo si sgretola nelle mani dato che la realtà esige di vivere la pesante oscillazione di chi deve fare – per vivere – esperienza di ogni cosa prima di coglierne le connessioni. Questa, alla fine, è la trappola dentro il mestiere di vivere. E non potrebbe essere altrimenti.
Davide Dotto |
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