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Finché non saremo liberi, il nuovo romanzo del Nobel per la pace Shirin Ebadi

Finché non saremo liberi, il nuovo romanzo del Nobel per la pace Shirin Ebadi

Professione lettore Di Ornella Nalon. Finché non saremo liberi, il nuovo romanzo dell'attivista iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, avvocata per i diritti umani in difesa di donne e bambini dal regime iraniano. Il racconto di una coraggiosa ribellione: «La storia dell’Iran è la storia della mia vita».

Disponibile nelle librerie dal 10 marzo, il libro Finché non saremo liberi di Shirin Ebadi è stato presentato il 16 maggio all’Auditorium dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e il 17 maggio al Palazzo Congressi di Ravenna in occasione della manifestazione Scrittura festival. E, come prevedibile, sta ottenendo un grande successo di vendite.
Per quanto mi riguarda, è una delle poche volte in cui mi felicito per un libro che raccolga consensi in prevalenza dovuti alla notorietà del suo autore. Infatti, in questo caso, Shirin Ebadi la sua fama se la merita tutta, non fosse altro per il caro prezzo con cui l’ha pagata e che sta ancora espiando.

In un'intervista sull'Huffington post le è stato chiesto: «Perché questo libro?».

E lei ha risposto: «La storia dell’Iran è la storia della mia vita. Ho voluto scrivere queste pagine per rendere testimonianza a ciò che il popolo iraniano ha sopportato nell’ultimo decennio e leggendolo ognuno si renderà conto di quanto uno stato di polizia possa influire sulla vita delle persone e gettare le famiglie nella disperazione. Se un governo si è comportato e si comporta così con me che sono un Premio Nobel ed ho accesso alla piattaforma dei media internazionali, minacciandomi continuamente, immaginate cosa possa fare con gli iraniani comuni che non hanno a disposizione simili mezzi o esperienza».



FINCHÈ NON SAREMO LIBERI

di Shirin Ebadi
Bompiani
ISBN 978-8845281419
cartaceo 17,00€
ebook 9,99€

Nata ad Hamadān il 21 giugno 1947, da una famiglia medio borghese, con questa si trasferì l’anno successivo a Teheran

Conseguita la laurea in giurisprudenza, nel 1969 fu la prima donna del suo paese a essere nominata giudice e qualche anno dopo divenne presidente dell’associazione nazionale dei magistrati.
Nel 1979, a seguito della Rivoluzione Islamica (che trasformò la monarchia in una repubblica islamica, la cui costituzione s’ispira alla legge coranica) fu costretta ad abbandonare i suoi incarichi, così come dovettero fare tutte le donne giudice.
Soltanto nel 1992, le autorità le concessero di aprire uno studio privato dove praticare l’attività di avvocato. Da quel momento cominciò il suo attivo impegno per la difesa dei diritti delle donne che erano (e sono tuttora) fortemente discriminate dal sistema giuridico instauratosi.

Con particolare riguardo, cercò di battersi per ottenere una riforma che prevedesse per le donne condizioni più eque in caso di divorzio e di affidamento dei figli.

Inoltre, si occupava anche della difesa di dissidenti e, spesso, si costituiva parte civile contro membri dei servizi segreti iraniani. Diventò una delle fondatrici del Society for Protecting the Child's Rights e del Defenders of Human Rights Center, associazioni non governative per la tutela dei diritti dei bambini e di quelli umani in genere.
A causa delle sue ferme opposizioni al regime, dovette subire una serie di processi, da uno dei quali venne interdetta per cinque anni (periodo successivamente abbreviato) dalla professione di avvocato. Nel 2003 il Comitato per il Nobel le assegnò il prestigioso premio per la pace, ma questo non la mise al riparo dalle costanti ritorsioni da parte del governo iraniano, anzi, qualche anno dopo, costituirà l’occasione per aggravarla dell’accusa di frode fiscale per non avere versato le tasse sul premio stesso, pur se la legge ne prevede l’esenzione.

Shirin Ebadi si trovava all’estero quando la polizia irruppe nella sua casa, picchiò il marito e le requisì il premio Nobel, per poi spiccare un mandato di cattura nei suoi confronti.

Da quel momento comincerà il suo esilio forzato. Si rifugerà a Londra, sotto scorta, e si vedrà costretta a rinunciare alla carriera di magistrato, alla vita in comune con il marito e con le figlie, anche loro fuggite dal regime e a subire continue minacce di morte.
«Mi hanno preso tutto, ma mi è rimasta la voce» ha detto Shirin Ebadi, ferma sostenitrice del valore della parola e della scrittura come uniche armi in grado di informare, scuotere le anime e creare un fronte di ribellione solidale e generalizzato. La parola sa creare ponti e accorciare le distanze, è il modo più efficace per la conoscenza e questa è il primo passo per la comprensione.

Pur se lontana dalla sua patria, o forse ancora più forte per questo, non smetterà mai di sostenere la sua lotta contro la repressione governativa che terrorizza il suo popolo, impoverendolo economicamente e culturalmente, sopprimendo in particolare modo i diritti della donna, ma anche degli individui più deboli in genere, per ottenere un Iran più democratico.

Oltre al Nobel, Shirin Ebadi ha ricevuto molti premi internazionali e molti riconoscimenti, fra i quali il Premio Rafto Human Rights (assegnato ai difensori dei diritti umani) nel 2001, la Légion d’Honneur, uno dei premi francesi più ambiti, nel 2006, nonché il nostrano Premio Internazionale Vittorino Colombo (assegnato ogni anno a un personaggio di livello internazionale che abbia contribuito allo studio e alla diffusione dei valori autentici della politica diretta alla solidarietà ed alla collaborazione fra i popoli). Inoltre, è stata insignita di numerosi dottorati e lauree honoris causa dalle più prestigiose università nel mondo tra cui quella in Scienze Internazionali e diplomatiche dall'Università degli studi di Genova.

Alcuni stralci di una sua recente intervista apparsa su Marie Claire.

Adesso come e dove vive?
«Dal 2009 non sono più riuscita a tornare in Iran. Per 10 mesi all’anno viaggio per fare arrivare la voce del popolo iraniano a tutto il mondo. Altrimenti mi divido tra le mie due figlie; una è docente universitaria a New York e l’altra avvocato a Londra».

Cosa le manca di più del suo paese?
«I miei colleghi e le persone con le quali ho lavorato per anni; purtroppo alcuni sono ancora in carcere. Ogni sera prego e ogni notte sogno di poter tornare a lavorare con loro in futuro».

Quando pensa che ci saranno le condizioni per il suo rientro in patria?
«L’Iran è il paese delle situazioni inaspettate, accadono cose che neanche le persone che commentano la politica possono prevedere. Noi iraniani siamo abituati a pensare che ogni giorno potrebbe capitare qualcosa di nuovo».

Sul fronte dei diritti civili, gli altri paesi come possono spingere l’Iran verso un’era democratica?
«Quando si stipulano accordi commerciali, molte cose si dimenticano. È importante non aiutare il regime a diventare più forte. Un esempio: in Iran i programmi televisivi, anche quelli in lingua straniera, sono tutti controllati dallo Stato che li usa per fare propaganda, seminare odio e attirare soprattutto i giovani musulmani. Perché permettete l’uso dei satelliti europei, perché prendete petrolio e ci vendete armi e vestiti?»

Lei ha detto che saranno le donne e i giovani a cambiare l’Iran, in che modo?
«Le donne sono le più istruite: oltre il 60% di studentesse e moltissime docenti. Sono in prima fila contro il regime che ha cercato di ricacciarle indietro di 14 secoli e di imprigionare le femministe. I giovani lottano perché la disoccupazione è elevata e anche chi lavora guadagna troppo poco per mantenersi. Più dell’80% degli iraniani vuole un governo laico».

Lei in cosa crede?
«Sono musulmana e praticante. Ma quando la religione arriva al potere usurpa le chiavi del paradiso e dell’inferno. In nome dell’Islam stanno combattendosi anche tra di loro, rovinando tutto l’Oriente». Intervista a Shirin Ebadi, Marie Claire
E ancora, in un altro contesto ha detto:
Nel mondo ci sono milioni di persone che vivono in villaggi poverissimi e sono ridotte alla fame: queste persone sono facilmente strumentalizzabili, non hanno niente da perdere. Gli intellettuali progressisti, e non solo, mettano il loro sapere al servizio delle nuove generazioni: solo così sconfiggeremo i fanatismi e sradicheremo la violenza.

Una donna simbolo, che in poche parole ha fatto comprendere quanto, su ogni paese, gravi la responsabilità di ciò che succede in Iran e in ogni posto della terra in cui le ingiustizie imperversano e ancora, quanto sia più utile la cultura e il dialogo dell'uso sconsiderato delle armi e della violenza.


Ornella Nalon


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