Gli scrittori della porta accanto

Floria Aemilia, colei che loda Dio per i doni della vita terrena


"Vita brevis" di Gaarder Jostein, la lettera che la concubina di Sant’Agostino scrisse al suo ex amato.

Oggi il cielo è cupo a Copenhagen, ma nel mio salotto si fanno strada dita calde di un dio impertinente. Era una mattinata soleggiata anche allora, in quel di Buenos Aires, quando, più di dieci anni orsono, lo scrittore Jostein Gaarder, già consegnato alla fama mondiale, si recò presso il noto mercato delle pulci di San Telmo. Varcata la soglia di un’angusta libreria antiquaria, scorse una cassetta di colore purpureo, contenente una pila di manoscritti in latino.
Magneticamente attratto, lo scrittore ne lesse il titolo: “Floria Aemilia Aurelio Augustino Episcopo Hipponiensis salutem”. In seguito ad una breve contrattazione sul prezzo, Gaarder uscì dalla penombra del locale con in mano un possibile falso o un auspicabile tesoro, ossia una lettera che la concubina di Sant’Agostino scrisse al suo ex amato, nonché padre di suo figlio, in risposta alla stesura delle, tutt’oggi ampiamente rinomate, “Confessioni”.
Il Codex Floriae si rivelò vergato in Argentina alla fine del XVI secolo: se sia copia di un manoscritto originale non lo possiamo sapere con certezza, ma ci piace pensarlo. E ci piace la traduzione dal latino che ne ha stilato Gaarder, la quale ci regala l’impeto e la forza verbale di una donna figlia di un’epoca lontana, eppure così vicina a noi nelle emozioni e nella libertà di pensiero.

VITA BREVIS.
LA LETTERA D'AMORE DI FLORIA EMILIA A SANT'AGOSTINO

di Gaarder Jostein
TEA  
ISBN 978-8878187696
cartaceo 6,00€  | Acquista 


Ed eccola, Floria, bussare alla mia porta e oltrepassare la soglia, con la testa alta, i riccioli d’ebano composti, le sopracciglia folte e arcuate in cui si fondono lunghe e folte ciglia a coprire, se si abbassano, il fuoco di due iridi di ossidiana incastonati su pelle d’ambra.
Floria, che Sant’Agostino abbandonò per abbracciare l’astinenza sessuale, mi racconta quanto scrisse nella sua personale risposta alle “Confessioni”, confutandone le affermazioni in modo puntuale ed arguto, attingendo alla mitologia, alla filosofia, alla letteratura latina e agli scritti evangelici.
Accenna un sorriso sbieco, talvolta, increspando le labbra ben disegnate. Non rifugge commenti ironici o nettamente sarcastici, Floria, e neppure frecciate ben assestate nei confronti della di lui madre, Monica.
Trattiene a stento una lacrima, una sola, ma non le parole che, come torrenti dopo un uragano, sfociano in sfoghi di ira disperata, supportati dai suoi studi o, semplicemente, dettati dal suo istinto di donna abbandonata; eppure, quell’accenno di pianto si frena subito, le iridi si sollevano verso l’alto, a cercare il bacio divino, per intonare un’ode alle bellezze tangibili dell’esistenza, doni di Dio per l’uomo, non contro di esso.

“La vita è così breve che non possiamo permetterci di pronunciare una condanna a morte dell’amore.[…] Possiamo sperare in una vita dopo questa, ma non ci è permesso di trattare male gli altri e noi stessi, quasi fosse un mezzo per raggiungere un’esistenza di cui non sappiamo nulla.[… ] Io mi godo il pensiero che il Dio che ha creato il cielo e la terra sia lo stesso Dio che ha creato anche Venere”.

Ed ecco le ciglia calare come tende. Entrambe siamo consapevoli del ruolo, intriso di misoginia, che la società del tempo, supportata dalla morale cattolica elaborata dai Padri della Chiesa, attribuiva alla donna, quale erede di Eva, causa di peccato ed invito alla lussuria, fonte di tutti i mali come lo fu Pandora. Così, con un suggello profetico che conduce fino ai roghi delle streghe (e forse oltre), Floria mi narra quando avvenne durante un fugace incontro fra i due, dopo due anni di separazione.

“Tu, Aurelio, tu che un tempo eri uno stimato maestro di retorica, quasi mi tramortisti a furia di botte, perché ti eri lasciato tentare dalla mia tenerezza. Così fui io a dover portare la colpa per il tuo desiderio. […] Non è nemmeno il Nazareno che mi trattiene, poiché forse era davvero un uomo di Dio. Non era per di più giusto con le donne? E’ dei teologi che ho paura. Possa il Dio del Nazareno perdonarvi per tutta la dolcezza e l’amore che avete respinto”.

Tremo di rabbia e le tendo la mano. Chissà se il vescovo di Ippona ricevette mai questa epistola. A me è giunta. A noi è giunta.

di Emma Fenu
Nata e cresciuta respirando il profumo del mare di Alghero, ora vive, felicemente, a Copenhagen, dopo aver trascorso un periodo in Medio Oriente. Laureata in Lettere e Filosofia, ha, in seguito, conseguito un Dottorato in Storia delle Arti. Scrive per lavoro e per passione.
Mito e devozione nella figura di Maria Maddalena, Abel Books.
Vite di Madri. Storie di ordinaria anormalità, Echos Edizioni.
Le dee del miele, Milena Edizioni.



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