La conquista dell'Etiopia del 1935-1956, di Franco Mieli, Monetti Editore, 2017. Dalle memorie di Umberto Guidarelli, un romanzo storico sulla guerra d'Etiopia.
La guerra d'Etiopia si combatté tra l'ottobre del 1935 e il maggio del 1936. Nel suo genere fu una guerra coloniale a seguito della quale il re d'Italia Vittorio Emanuele III poté fregiarsi del titolo di Imperatore d'Etiopia. I territori così conquistati sarebbero stati definitivamente perduti con il Trattato di Parigi del 1947.
Quella degli anni Trenta, consegnata alla nostra memoria, tra la terribile crisi del '29 e il secondo conflitto mondiale, è l'Italia dei nostri nonni. Al di là delle ricostruzioni successive, si provi soltanto a immaginare cosa abbiano affrontato le generazioni nate tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, che hanno vissuto gli ultimi scampoli del Risorgimento e l'avvento del Fascismo.
Intorno alla politica coloniale dell'epoca non difettavano né il consenso popolare, né ragioni discutibili (si pensi a un concetto quale Lebensraum o spazio vitale). Se la Francia e la Gran Bretagna, e in misura minore Germania e Belgio, possedevano un pezzo d'Africa, perché non l'Italia?
In Etiopia vi erano strade da rassodare, suolo da coltivare e da distribuire. Significava ricchezza. Per chi vi partecipò in quanto volontario o perché chiamato, voleva dire servire la Patria e caldeggiare l'aspirazione a conquistare la terra d'Africa, accomodando la sconfitta di Adua del 1896.
Era normale, quindi, quel maggio del 1936 festeggiare l'impresa abissina. La Storia avrebbe tuttavia presentato i conti. L'Italia non aveva strumenti né per gestire, né per difendere il suo Impero. Si pensi solo che per raggiungere l'Etiopia nel corso della Seconda Guerra Mondiale, la marina italiana doveva attraversare il canale di Suez, in mano agli Inglesi.
In Etiopia vi erano strade da rassodare, suolo da coltivare e da distribuire. Significava ricchezza. Per chi vi partecipò in quanto volontario o perché chiamato, voleva dire servire la Patria e caldeggiare l'aspirazione a conquistare la terra d'Africa, accomodando la sconfitta di Adua del 1896.
Era normale, quindi, quel maggio del 1936 festeggiare l'impresa abissina. La Storia avrebbe tuttavia presentato i conti. L'Italia non aveva strumenti né per gestire, né per difendere il suo Impero. Si pensi solo che per raggiungere l'Etiopia nel corso della Seconda Guerra Mondiale, la marina italiana doveva attraversare il canale di Suez, in mano agli Inglesi.
Il diario di Umberto Guidarelli fotografa un momento, che allora non era ancora storia, ma che presto lo sarebbe diventato. Tra sentimenti e avvenimenti reali, le memorie diventano un tesoro.
Il diario del soldato Umberto Guidarelli assume, per la sua natura, particolare rilevanza.Chi visse quegli anni ed ebbe modo di registrare eventi e impressioni, non aveva la visione d'insieme, quella del senno di poi in grado di classificare, distinguere, distribuire torti e ragioni. Non vi era modo di prendere parte alle dinamiche o alle decisioni delle alte sfere che stavano dietro.
Come va letto questo diario? Il volume rappresenta una fotografia, una presa diretta di avvenimenti che nel loro farsi e disfarsi non sono ancora storia, ma lo diverranno presto. Vi si aggiungono i sentimenti, la partecipazione emotiva del testimone che la penna distaccata e fredda dello storico di solito passa sotto silenzio.
Chi si avvicina a queste memorie scritte a caldo diventa uno spettatore senza filtri. Ci immaginiamo tutto. Quel che viene dopo, o che sappiamo dai libri di scuola, per il momento è messo da parte, non ci interessano i profondi nessi tra gli eventi nelle loro alterne vicende, non del tutto chiariti neanche oggi.
Paradossalmente il presente, col suo corredo di emozioni, sembra più conoscibile del passato sul quale lavora il tempo e l'inevitabile selezione delle fonti.
Il punto di vista privilegiato è quello del soldato Umberto Guidarelli, a esso non dobbiamo aggiungerne altri. È il punto di vista di chi sente il dovere e accorre in difesa della nazione. Non ha voce in capitolo, né possibilità di scelta. La retorica non è di casa nella misura in cui rischiava del proprio lasciando moglie e figlio, sopportando con rassegnazione i sacrifici che ciò comportava, affrontando aspri giorni di combattimento, o ore di marcia sotto la canicola del sole somalo.
Cosa avrebbe significato, per il soldato Umberto Guidarelli, la mancata adesione agli ideali del tempo infusi dall'autorità costituita e legittima, che non mancava del consenso internazionale?
Siamo negli anni Trenta, quando ancora Churchill o persino Roosevelt avevano parole di lode per Mussolini (sul punto ho presente Luciano Canfora, La democrazia, storia di un'ideologia, e Simona Colarizi, Storia del Novecento Italiano). Che dietro poi vi fosse un vero e proprio bluff, non era possibile averne contezza. Né si poteva supporre che il modello imperialistico ottocentesco fosse prossimo a venire meno, e non in maniera indolore. Di lì a poco non si sarebbe più parlato di imperi ma di superpotenze, con tutti gli annessi e connessi, riproponendo su un altro piano la medesima serie di problematiche, non ultimo la produzione e l'utilizzo di armi chimiche.Da che parte stare, insomma, non è una domanda da poco. Nell'esperienza e nella vita dei singoli non si possono che citare le parole del commissario Kim:
Basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte
(Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno).
La conquista dell'Etiopia del 1935-1936
Un giovane romano, sposo da appena due anni con Eleonora e padre di un figlio piccolissimo, Aldo, parte volontario per il fronte, seguendo i suoi ideali di fedeltà alla patria, nella guerra di conquista coloniale che l'Italia intraprese contro l'Etiopia nel 1935/36. Già nei primi giorni in Africa si trova ad affrontare terribili fatiche, la fame, la sete, il caldo atroce, le spaventose piogge tropicali, le malattie e prima tra tutte, l'angosciosa e strisciante paura della morte e del nemico, affrontando tutto con abnegazione e coraggio. Assegnato al plotone destinato a usare armi chimiche, partecipa a una delle fasi più terribili e atroci di quella lontana guerra, uscendone segnato nei ricordi e nello spirito. Il fatto di trovarsi dalla parte degli invasori non gli impedisce tuttavia di provare compassione e misericordia per quella povera gente, prima sfruttata dai Rais, i signori della guerra e poi dagli italiani "conquistatori".di Franco Mieli | Monetti Editore | Romanzo storico
ISBN 978-8899881214 | cartaceo 10,20€
Davide Dotto Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie. Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni. |
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