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[Libri] “Kallocaina” di Karin Boye, recensione di Paola Casadei

Kallocaina-Karin-Boye-recensione

Kallocaina, di Karin Boye, Iperborea, 1993 (prima edizione 1940). Un romanzo distopco, violento, angosciante, stravolgente. Ma anche satira politica, che si ispira all'Unione Sovietica di Stalin o al Terzo Reich di Hitler.

Devo confessare: fino a venti giorni fa non sapevo chi fosse Karin Boye. Non si finisce mai di imparare! E di certo non posso parlare di Kallocaina senza spiegare chi ne sia l’autrice.
Karin Boye è una donna, una poetessa, una scrittrice nata a Göteborg nel 1900 da una famiglia benestante. Nel 1909 si trasferisce a Stoccolma, e a soli 15 anni riceve un premio per un racconto. Nel 1921, iscritta all’Università di Uppsala, entra in contatto col movimento pacifista Clarté. Nel 1922 pubblica la sua prima raccolta di poesie, Nuvole.
Karin Boye viaggia parecchio, visita l’Unione Sovietica, la Germania e la Grecia. Si sposa, ma il matrimonio naufraga presto. Scopre presto la propria omosessualità, o bisessualità, in un’epoca in cui l’omosessualità era un reato in Svezia e lo resterà fino al 1944. Deve aver vissuto dei conflitti interiori pazzeschi e si è ritrovata, giovane, piena di angosce, pessimismo, dolore. Anche le sue relazioni amorose sono sempre tormentate.
Durante la permanenza a Berlino, quando ha poco più di 30 anni, Karin si sottopone a una terapia psicanalitica. È qui che conosce una giovane di origine ebrea, Margot Hanel, che la seguirà in Svezia e rimarrà a vivere con lei fino alla sua morte.
Nonostante le cure, la Boye non riesce a superare l’angoscia esistenziale, ed è in questo contesto che scrive Kallocaina nell’estate del ’40. La stesura del libro è dolorosa, il soggetto la terrorizza, pare che sia stata influenzata anche dalla lettura di Kafka, oltre che dai viaggi in luoghi come la Germania nazista e l’Unione Sovietica.
Karin Boye si toglie la vita con dei sonniferi nell’aprile del 1941. Un mese dopo anche la sua amica Margot, si suicida. Poche settimane prima si era tolta la vita anche Virginia Wolf.
Anime simili, forse, egualmente straziate, che cercano e trovano la morte in un bosco, in un fiume, come se la Natura fosse un grembo che accoglie e consola con una tenerezza che il mondo civilizzato non ha saputo riservare.
Luisella Pacco (luisellapacco.wordpress.com)

Karin-Boye

Di cosa parla Kallocaina di Karin Boye? Si potrebbe leggere come la storia di un conflitto interiore...

Per venire al romanzo, vorrei ricordare altri tre  libri del genere distopico: potrei citare Noi di Zamjatin (1921), Il mondo nuovo di Huxley (1932), 1984 di Orwell (1948).
Ho deciso di leggere Karin Boye appena ho visto il libro tra le mani di un’amica francese proprio perche’ lei mi aveva fatto leggere anche Noi, di cui avevo già parlato e il libro mi aveva intrigata, sorpresa, affascinata. Questa volta si trattava di un libro dello stesso genere e per di più scritto da una donna! Ed è proprio a Noi che fa pensare il libro, più che agli altri due citati.
Il protagonista, anche qui, è uno scienziato, un chimico, nonché narratore della storia, un uomo che all'inizio vive solo per servire lo Stato Mondiale, una nazione spietata governata con pugno di ferro da una rete di burocrati-dittatori la cui sola preoccupazione è quella di assicurare il bene comune. Lo Stato è tutto, il singolo non è niente, pensa e si ripete Leo Kall all'inizio del libro.
Leo Kall è l'inventore della kallocaina, (un nome stupendo!), una droga, un siero della verità che dovrebbe assicurare piena sicurezza, stabilità e controllo assoluto allo Stato Mondiale. Privando l’individuo di qualsiasi “angolo” segreto, la kallocaina permette di smascherare i sogni di libertà che ancora si annidano dentro certi individui.
Grazie al siero di Kall, la polizia individua i traditori del regime, quelli che sognano ideali proibiti, la libertà, tutti quelli che potrebbero portare alla caduta della nazione. La kallocaina si rivela essere più efficace di ogni telecamera o microfono nascosti, permette di scoprire i traditori dello spirito, del pensiero, agendo più in profondità di qualsiasi tortura o propaganda. E questo grazie a un sentimento forte: la paura. La paura sempre, costante. La paura che ti costringe ad eliminare chi potrebbe metterti in guai seri.
Una tale droga tra le sue mani, un tale potere, sarà alla base di una crisi personale, che gli farà rimettere in discussione molte delle sue certezze.

Lo scienziato dunque ci racconta la sua storia, la sua vita e l’impatto della sua scoperta: si tratta di una sorta di diario segreto grazie al quale viene raccontato l’orrore dello stato totalitario. 

Un orrore rappresentato dalla società, un mondo dove tutto è regolamentato, fino ai sentimenti più elementari, come l’amore o il dolore. Si assiste sconvolti a una successione di scene e di riflessioni dove non è l’uomo che parla, ma una macchina, un automa svuotato dai sentimenti, che non pensa più per se stesso ma per quello che gli hanno insegnato a credere. È la disumanizzazione portata all’estremo. Kall, tra l'altro, in svedese significa freddo, ma anche vocazione, chiamata.
Leo quindi è il personaggio principale, ma anche sua moglie assume un ruolo fondamentale, ed è proprio sua moglie che lo farà tornare uomo e non solo automa.
Sull’amore Leo si interroga spesso. Si ha un bel parlare dell’amore come di un concetto antiquato e romantico, ma io temo che esista, fin dall’inizio, anche un elemento di indicibile dolore.
In tutte le pagine del romanzo c'è un'atmosfera cupa, ogni sentimento e modo di vivere sono alterati e stravolti, non esistono dialogo o complicità tra marito e moglie, eppure grazie a uno stratagemma pensato da Kall e che non vorrei rivelare, è proprio lei che riesce a fargli capire qualcosa di molto importante.

Cosa fa cambiare Leo Kall? 

Qui appare tutta la bravura di Karin Boye che riesce a far scivolare l’umanità dentro un racconto dove tutto è sotto controllo, perfino il desiderio di stringere la mano a un amico.
Un altro personaggio fondamentale è Rissen, ricercatore, un chimico all'opposto. È Rissen a rendersi conto per primo che il lavoro svolto nella nuova sede limiterà la loro libertà di scienziati, portando i due colleghi a diventare schiavi del regime: con la kallocaina, dice Rissen, l’ultimo resto della vita privata se ne va.
Nel complesso è un romanzo violento, angosciante, stravolgente. Ma si può leggere anche come una satira politica, ricorda sia il Terzo Reich dei nazisti e l'Unione Sovietica di Stalin. O come una meditazione sulla interiorità e la confessione. Contiene passaggi molto suggestivi e inquietanti, come doveva essere la vita anche nella Svezia dei tempi della guerra, con i militari per le strade e le conversazioni sussurrate per la paura di essere scoperti.
Il romanzo viene raccontato come un racconto autobiografico, scritto in prima persona dallo scienziato Kall, poi, alla fine, interviene un secondo narratore, Hung Paipo, censore dello Stato Universale, che redige invece il poscritto a conclusione del romanzo. Il censore spiega che, piuttosto che distruggere il manoscritto di Kall, ha ritenuto utile conservarlo nell’Archivio Segreto tra i documenti considerati pericolosi solo perché il testo potrebbe, un giorno, servire «da documento di studio per fidati ricercatori».
Un romanzo intenso e forte. Mi sento davvero di suggerirlo!

Kallocaina

Chi non ha mai sognato di possedere il siero della verità e penetrare nel segreto della mente e del cuore degli altri e di se stesso? Quale giudice non lo vorrebbe, quale potere non lo riterrebbe l’ideale strumento di controllo? Kallocaina è appunto il nome del siero della verità che lo scienziato Leo Kall ha inventato per garantire allo Stato sicurezza e stabilità. Ma la verità sfugge alla strumentalizzazione, i suoi effetti sono sconvolgenti, rivelando la complessità dei rapporti umani e portando il germe della disgregazione nel sistema. Scritto nel 1940, quando era difficile nutrire grandi speranze nell’avvenire, Kallocaina ha in comune con Noi di Zamjatin, Il mondo nuovo di Huxley, 1984 di Orwell l’allucinata visione di una società spersonalizzata, dominata da uno Stato poliziesco che arriva a invadere anche la sfera privata dei cittadini sopprimendo ogni libertà. Benché le distopie appaiano spesso ingenue e superate dalle atrocità del reale, le questioni sollevate dal romanzo suonano di allarmante attualità. La continua violazione dei diritti umani, l’uso strumentale della giustizia, la disinvolta interpretazione delle leggi, la delazione eretta ad atto civico, l’acquiescente conformismo fanno parte del nostro panorama quotidiano. Ma l’originalità di Kallocaina, rara voce di donna in questo genere letterario, sta altrove: nella progressiva presa di coscienza del protagonista che verità e ragione, verità e controllo, verità e potere restano inconciliabili, nel suo lento processo di liberazione dal proprio super-io, fino all’accettazione delle esigenze più profonde che aveva negato e soffocato dentro di sé: quel bisogno di amore, di libertà e di fiducia, senza i quali l’esistenza e la persona umana perdono di valore e di significato.

di Karin Boye | Iperarborea | Distopico
ISBN 978-8870910346 | cartaceo 10,63€


Paola Casadei
In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia.
L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore.
Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni.
Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore.


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