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Il veganesimo: una scelta di vita cruelty free

Il veganesimo: una scelta di vita cruelty free

Lifestyle Di Stefania Bergo. Il veganesimo è una scelta alimentare e di vita, non solo più rispettosa degli animali ma anche più consapevole e lungimirante, pensando al futuro del nostro pianeta. A patto che sia davvero cruelty free, dalle parole ai fatti. 

Ormai è diventata una moda alimentare. Anzi, di più, un fenomeno sociale che spesso si incrocia con l’essere hipster e fa tendenza. Sto parlando del veganesimo, cioè di quel movimento filosofico basato su uno stile di vita che rifiuta ogni forma di violenza e sfruttamento degli animali, perché mira a eliminare ogni loro derivato non solo dalla dieta, ma anche dall'abbigliamento (pelle, lana e seta, ad esempio), dagli spettacoli di intrattenimento (come i circhi e gli zoo), dalla sperimentazione medica, dai prodotti cosmetici e ogni altro ambito.

Il veganesimo ha avuto inizio a Leicester il primo novembre 1944, il giorno in cui Donald Watson, insegnante inglese, fondò la Vegan Society, dopo essere uscito dalla Vegetarian Society.

Vegetariani e vegani, infatti, si erano divisi proprio sul tema dei diritti degli animali, in quanto, i vegani erano, e sono tuttora, contrari a qualsiasi forma di sfruttamento, dato che questo avviene quasi sempre in condizioni di estrema crudeltà. Nella filosofia vegana si parla anche di antispecismo, ovvero: tutte le specie animali viventi sono moralmente uguali e hanno pari dignità.
E per i vegani, la scelta di vita cruelty free inizia proprio dal piatto (e dovrebbe proseguire, se non essere preceduta, anche con i rapporti umani... ma ci ritorno poi): si astengono da tutti i cibi che contengono prodotti di derivazione animale, quindi anche latte, formaggi, uova e miele.


Ma perchè eliminare anche uova e latticini dalla tavola quando questi non presuppongono l'uccisione degli animali? 

Perché solitamente non c'è Haidi a mungere le mucche, tanto meno Banderas a chiedere gentilmente un uovo alle galline. La differenza sta appunto, sempre nel modo in cui gli animali vengono trattati, conoscendo i metodi di allevamento intensivo e la competizione che gli allevatori devono affrontare se vogliono rimanere in attività.
«C'è più crudeltà in un bicchiere di latte che in una bistecca al sangue», non ricordo chi l'abbia detto per primo, ma mi è rimasta impressa e ho iniziato a documentarmi, a leggere articoli (come ad esempio sul  sito della LAV, Lega Anti Vvisezione) e guardare video di forte impatto emotivo, almeno per me (è facile trovare in rete filmati di bestiame al macello, in batterie disumane di stalle lager, animali da pelliccia scuoiati vivi, pulcini tritati, oche ingozzate fino a scoppiare). Ed è proprio partendo da questo che ho maturato la mia personale scelta, semplicemente etica, di voler contribuire il meno possibile alla crudeltà del mondo.

In generale, negli allevamenti intensivi gli animali – mucche, maiali o polli che siano – sono tenuti sempre al chiuso, in gabbia, stipati o in spazi ristretti, trattati come semplici macchine da produzione.

Questo è un dato di fatto: l’allevamento intensivo è la più grande causa di maltrattamento animale sul pianeta, spezza il loro legame con la terra, li toglie dal pascolo, tipico di un allevamento tradizionale, e li ammassa in capannoni e recinti fangosi, nutriti e infarciti di farmaci per produrre e ingrassare a nostro usufrutto.
Inoltre, il bestiame industriale viene in genere nutrito con alimenti commestibili, come cereali, soia o pesce, che dovrebbero essere destinati alle persone, e le risorse alimentari consumate dagli animali sono maggiori di quante essi ne producano sotto forma di carne, latte e uova destinati al mercato. Per non parlare del consumo di acqua e delle emissioni di gas serra. Anche tralasciando l'aspetto, tutt'altro che secondario, del maltrattamento degli animali, l'impatto ambientale degli allevamenti intensivi è decisamente notevole e il rapporto costi/benefici svantaggioso sotto tutti punti di vista. Dal sito della FAO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, si legge:
Il settore zootecnico è il più grande consumatore mondiale di terreni agricoli, attraverso il pascolo e l'uso di colture per l'alimentazione degli animali. Inoltre, è la principale causa di cambiamento climatico.

Latte vegetale e avocado non mancano mai in una dieta vegana.

Ma la dieta vegana fa bene o ha delle controindicazioni mediche?

La stragrande maggioranza degli studiosi e degli esperti di nutrizione concorda nel ritenere auspicabile una diminuzione generale del consumo di carne, e in generale di proteine di origine animale, per motivi di salute e benessere individuali. Ed eliminarle completamente potrebbe apparire come un estremismo inutile. Ma infatti, dal punto di vista strettamente medico, credo che non ci siano studi oggettivi sufficienti, né in un senso, né nell'altro, se si eccettua il celeberrimo, controverso e sempre citato studio epidemiologico condotto in Cina negli anni ’70 e ’80 per individuare il rapporto tra alimentazione e malattie (The China study).

In generale, mangiare vegano è salutare, a patto che nella scelta degli alimenti si faccia attenzione a garantire il giusto apporto delle sostanze nutrizionali necessarie a un’alimentazione equilibrata.

Ecco perché i vegani, come me, fanno ampio uso di frutta secca e semi oleosi, in grado di garantire un apprezzabile apporto di grassi e proteine vegetali, così come di legumi, preziosi e gustosi alleati in cucina e a volte anche di integratori naturali, a base di alghe o vitamine del gruppo B.
Attenzione, però, i vegani non sono una banda di auto-lesionisti che ha deciso di mangiare solo tofu, mirtilli rossi e semi di sesamo! Togliere le proteine animali non significa togliere anche il gusto dai piatti. Ci sono anche chef stellati che hanno abbracciato questa filosofia di vita, o che forse cavalcano semplicemente l'onda, e sfornano pranzetti invitanti per tutti i palati.


Il tema diventa più delicato quando si parla di bambini. 

I bambini che osservano, per decisione dei genitori, una dieta cruelty free già al di sotto del primo anno di età hanno bisogni particolari. La comunità scientifica ancora sta dibattendo sull'alimentazione dei neonati, per cui riservano le maggiori diffidenze, soprattutto sulle alternative al latte materno, che comunque dovrebbero essere prese in considerazione solo nel caso in cui la mamma non avesse la possibilità di allattare al seno il proprio piccolo, cosa che rimane ancora il miglior modo per prendersi cura della sua salute.
Lo svezzamento, invece, non sembrerebbe presentare particolari problemi, a patto che i genitori si informino e vengano seguiti da un pediatra specialista in alimentazione vegetariana e vegana: è infatti richiesta una maggiore attenzione per sostituire, ed è possibile, in modo consapevole e sicuro le proteine animali, tenendo presente le necessità individuali, che possono contrastare con la scelta etica. E, quando si tratta dei nostri figli e della loro salute, si sa, si finisce col chiudere un occhio sul resto, nel caso in cui non ci siano alternative.

Studi scientifici, che di scientifico hanno solo il nome, bufale, false credenze e congetture.

Oltre all'analisi dell'arcata dentaria, che secondo alcuni è tipica degli erbivori, secondo altri degli onnivori, o alle elucubrazioni sulla lunghezza dell'intestino tenue, una questione non così nota, ma che è stata comunque presa in considerazione dalla comunità scientifica, è quella della salute mentale di chi osserva una dieta vegetariana o vegana. Finora, nessuno studio è riuscito a stabilire scientificamente che vegani e vegetariani tendano ad avere più disturbi mentali degli onnivori, dato che alcune conclusioni sembrano confermarlo, altre portano a una verità opposta.
Non credo sia così difficile, comunque, pensare che i vegani siano più soggetti all'ansia o alle paturnie. Se la scelta è dettata dalla moda, i sedicenti vegani vivono perennemente sul piede di guerra, con ansia, appunto, per convertire chiunque entri nella loro sfera sociale e non la pensi come loro. Ma, personalmente, trovo difficile pensare che lo siano davvero, che abbiano cioè abbracciato una scelta di vita che, di fatto, professa la non violenza.

Ma quando la scelta è davvero etica e consapevole, si presume che si tratti di persone estremamente sensibili, che tendono ad essere più empatiche verso persone e animali.

Ma sono anche le più esposte ai disturbi dell’ansia perchè hanno, per così dire, più nervi scoperti. Oppure sono soggette a stress perchè devono continuamente giustificare la loro scelta alimentare a chi cerca, in tutti i modi, di minimizzarla a mania (ciò non avviene con chi ha scelto, ad esempio, di mangiare solo riso in bianco per pranzo o di seguire la fantomatica dieta del limone, come mai?).
È altresì un dato di fatto che i disturbi nevrotici siano più diffusi tra le donne rispetto agli uomini, eppure (quasi) nessuno si sognerebbe di dire che ci sia qualcosa di male o di inferiore nell’essere donna, o che, dato che i malesseri psichiatrici sembrano essere più diffusi tra gli studenti universitari iscritti a facoltà umanistiche, la Filosofia causi nevrosi. Sarebbero mere, sbagliate, congetture.

Go vegan

Go vegan: la scelta, libera e personale, di far entrare nella mia vita meno crudeltà possibile. Un veganesimo senza pregiudizi o presunzioni. 

In definitiva, il veganesimo può essere visto come una scelta alimentare, e di vita, non solo più rispettosa degli animali ma anche più consapevole e lungimirante, pensando al futuro del nostro pianeta. Ciò non significa che sia l'unica e che i vegani siano esseri umani migliori di altri che non seguono il loro esempio, perchè, appunto, di scelta personale si tratta. E magari non è nemmeno quella più efficace. Ognuno, quindi, è libero di scegliere il proprio modo per contribuire a ridurre lo sfruttamento indiscriminato degli animali e salvaguardare il pianeta – può persino scegliere di fregarsene.
Molti pensano che il sottotitolo dei vegani – e forse dipende da come loro stessi si pongono – sia: "Chi mangia la carne non ha la mia stessa sensibilità", è, per così dire, un insensibile. In realtà non è sempre così. Non sempre la scelta vegana è un dito puntato contro gli onnivori. Nel mio caso, e per molti cari amici che conosco, non lo è. Lo dimostra il fatto che a mia figlia non imponga la mia scelta, pur curando la sua alimentazione, introducendo il meno possibile le proteine animali nella sua dieta, ma credo che certe scelte vadano maturate in autonomia. Quando sarà grande, quindi. Per il momento, mi limito a raccontarle le mie motivazioni, supportandole con una verità che spesso la fa riflettere.

Ma a volte, sono proprio i vegani a ergersi a giudici, dimenticando che magari fino a qualche anno prima sono stati onnivori pure loro. E forse il problema di comunicazione nasce proprio da lì.

Non condivido l'aggressività di chi si scaglia con rabbia contro gli altri. Ognuno matura le proprie scelte in tempi diversi, pure io fino a sette anni fa non ero attenta a questi aspetti, pur dedicandomi ad aiutare, nel mio piccolo, il prossimo, ed ero tranquillamente carnivora. Non possiamo sapere in che altro modo ogni individuo stia contribuendo a rendere il mondo un posto migliore. Il veganesimo è uno stile di vita che dovrebbe abbracciare anche i rapporti umani, il rispetto per la diversità e le idee altrui, e l'intolleranza, pur sempre una forma di violenza, non dovrebbe essere contemplata. Nessun può vivere senza macchia. Oppure, al contrario, essere (apparentemente) così puri credo sia una mera, ulteriore, forma di fanatismo.
Questo non significa che non dobbiamo portare le nostre ragioni, anzi. Ma se anche il nostro approccio fosse davvero cruelty free, non pensate sarebbe maggiormente compreso e più efficace?

Stefania Bergo


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