Gli scrittori della porta accanto

I will find you, di Joanna Connors

I will find you, di Joanna Connors - Libri, recensione

Libri | Recensione di Giulia Mastrantoni. I will find you, di Joanna Connors, una storia vera. Lo stupro è qualcosa che non può essere descritto da chi non lo ha vissuto: «Nessuno potrà mai realmente capire il dolore che si prova a vivere una vita con la costante certezza di essere stata stuprata».

Ho le mie idee, circa la violenza di genere, e dubito che qualcuno riuscirà a farmele cambiare. Penso due cose in particolare: scrivere per sensibilizzare sulla violenza non porta a risultati. Non lo dico per cinismo, quanto perché tre quarti di quello che è scritto è stato messo su carta senza cognizione di causa. Non basta sapere le statistiche e immaginare cosa vuol dire la violenza per poterla spiegare: bisogna averla vissuta, altrimenti quelle che si chiede di versare al lettore sono lacrime di finzione, basate su un racconto che è potenzialmente vero, ma che tutto sommato è fittizio e che non può che suscitare lacrime sfumate di finto. E la violenza è qualcosa di ben troppo reale per essere ridotta a un giro di finzioni, no?
La seconda cosa che penso è che basta. Basta, davvero. Non se ne può più delle riflessioni sterili che sono fatte solo di rabbia e di accoppiamenti quali stupratore = mostro. Non sto dicendo che giustifico lo stupro e non sto sminuendo il crimine, ma vorrei sottolineare che la rabbia non è sentimento educativo. Le vittime hanno tutto il diritto di avercela con chi le ha ferite, con il mondo che non ha saputo essere un posto migliore e con tutto ciò che capita loro a tiro. I commentatori seriali di Facebook, no. Non hanno diritto a usare la rabbia come coccarda per abbellire le loro condivisioni di articoli che parlano di stupro. E cercare di suscitare rabbia in chi legge, come fanno tanti blogger e giornalisti, è altrettanto deleterio per la società: che senso ha? A cosa conduce, se non a una collettività sempre più esasperata e sull’orlo dell’esplosione? La rabbia, in qualunque contesto sociale, è un pericolo che solo raramente conduce a qualcosa di buono.


Quello che penso è questo: la violenza è un argomento troppo delicato e serio per poter essere affrontato da chiunque in qualunque momento. 

Si dice spesso che i social danno diritto di parola a tutti su tutto, ma credo ci siano argomenti sui quali sarebbe bene che non si scrivesse in modo così rapido e impulsivo. Sensibilizzare contro la violenza è cosa difficile e va fatto seguendo una marea e mezza di accorgimenti e regole non dette che devono garantire la sicurezza emotiva degli individui e della società. Scrivo parole facilmente fraintendibili, oggi, e forse non eccessivamente chiare, ma quello a cui voglio arrivare è questo: I Will Find You è la storia di una giornalista che è stata stuprata nel 1984. Si chiama Joanna Connors e ha denunciato l’uomo che ha abusato di lei, David. David è stato condannato ed è morto in carcere. Solo che nella testa di Joanna sono rimaste mille domande alle quali nessuno può dare risposta. Ad esempio, perché proprio David? Perché lui, tra tanti, l’ha stuprata? Perché tra mille uomini è stato proprio lui? Perché?
Lo stupro, racconta Joanna nel romanzo, è qualcosa che inghiotte la tua famiglia intera: vorresti che fosse solo tuo, ma non lo è. Infetta e contagia tutti coloro che ti stanno intorno, facendo sì che tutti cerchino risposte e che nessuno abbia il coraggio di formulare ad alta voce le domande.
Lo stupro è qualcosa che non si può spiegare, o che si può spiegare solo sotto alcuni aspetti: è un punto interrogativo che resta per tutta la vita e che è anche un punto esclamativo, un punto e virgola, un the end seguito da un sequel. Lo stupro è qualcosa che non può essere descritto da chi non lo ha vissuto. Viene affrontato in modi diversi dalle vittime, ognuna gestisce come può la vergogna, la paura, la rabbia, la disperazione. Ognuna ha il suo modo di affrontare questa morte e ognuna ha le sue emozioni, che possono differire da quelle di un’altra vittima, ma che comunque sono ben reali.


Lo stupro è una cosa che non puoi dire fino a che non è lo stupro a raccontare te.

Tutto questo per dirvi che cosa? Non ho una risposta. Però ho questo libro sul comodino, accompagnato da South of Forgiveness di Thordis Elva e Thomas Stranger, una storia molto simile. Sto leggendo tanti racconti di questo tipo: veri, dolorosi, difficili. E più li leggo più mi rendo conto che, in fondo, nessuno potrà mai realmente capire il dolore infinito che si prova a vivere una vita con la costante certezza di una cosa: essere stata stuprata.
Un po’ di tempo fa ho recensito un thriller dicendo che non avrei più letto nulla che commercializzasse la violenza di genere: non lo faccio. Leggo storie vere che mi spiegano quanto noi esseri umani possiamo soffrire e chiederci senza sosta: perché. Quindi, per tutte voi che vi interessate ai diritti delle donne, vi segnalo questi due titoli della Connors e di Elva e Stranger. Perché le storie vere insegnano, le altre sono finzione. E quando si parla di stupro, non è giusto fingere, perché fare arte sul dolore è cosa meravigliosa, ma pericolosa e per pochi.


I Will Find You, by Joanna Connors

I will never be flexible about this: writing novels about rape, in most cases, is pointless. I don’t mean to sound cynical, but there is just so much stuff, online and elsewhere, that has been written by people who have not experienced how it feels to be a victim. Knowing the statistics and using your own imagination to put yourself into a victim’s shoes is just not enough. If you haven’t experienced it, you can’t write novels about it asking your readers to cry for your fictional victims; it would be a lie, empty tears falling for who? Most of all, it would be disrespectful: rape is real and there is no need to seek empty tears falling over a fictional rape. There are people crying real tears for real scars, and the world just doesn’t need extra pain. Fictional rape is in no way an effective method for preventing future real rapes.
I will never be flexible about this either: if you don’t know what you are talking about, just shut up. I have this terribly addictive habit of scrolling my Facebook timeline on a daily basis and every single day I find some post claiming that rapists are monsters and deserve no pity. Is this belief going to help anyone? I don’t think so. I am not siding with rapists, I am not what we call ‘a bad feminist’ and I don’t intend to diminish the gravity of such a crime – rape. But being mad is not going to help anyone. As a victim, I can be mad at my rapist. I can be mad at the world being such a terrible place and I can be mad at anything and anyone, just because I need to be mad. But it won’t help me in the long term. Most of all, posts and comments on Facebook claiming rapists deserve no mercy are not going to help the society I have to live in. It almost feels as if being angry is some kind of fashionable behaviour, the right thing to do. It isn’t, so please just don’t spread more rage.
Journalists play a role in all of this too: almost every article focused on rape is very clearly aligned with someone, be it the ‘young and defenceless’ victim or the rapist because ‘the girl was asking for it’. I honestly don’t know why there is so much hate and partiality surrounding rape related issues. Why do we turn everything into being either a ‘good’ or a ‘bad’ feminist, or even worse, a supporter of the patriarchy? I have no idea why we are all so exasperated about rape related talks and why gender has come to have such a great, yet negative impact on our lives. What I know, though, is that rage had never led to anything good: history offers pretty good proof of that. Instead let’s look for real solutions and not for emotional outbursts.


I feel that gender violence is a very uneasy topic that shouldn’t be commented on in less than two minutes on Facebook. 

It’s a very complex and painful phenomenon that requires more than just empty words. Most of all, finding solutions to such a problem means educating our community; quite a challenging task, which can’t simply be undertaken by anyone. Educated people must educate the society, ensuring each individual’s mental health is not affected by speaking so openly about such a topic.
I Will Find You is the real story of Joanna’s rape. She was raped in 1984, when she was a young, newly married journalist. Joanna Connors pressed charges, so David Francis, her rapist, was condemned to several years in prison. He died soon afterwards, so when Joanna came looking for him, she was unable to speak to the man. She kept asking herself why David had turned into a rapist, why among all of the men in the world he had become ‘her’ rapist. Why was he the way he was and what was his story?
Joanna argues that rape affects your whole family, not just you. A part of you would like to keep it to yourself, but the truth is it isn’t really ‘yours’. It’s a contagious and uneasy feeling, something that shadows everything around it. Everyone starts looking for answers, but no one is brave enough to ask the questions out aloud.In a sense, rape can’t be explained: it remains a big question mark in your head. It is also an exclamation mark, a full stop and a comma; it’s an ending that is supposed to have a sequel.
There are all sorts of reactions to rape: it is so overwhelming and shameful that in the end you have no choice but to lose yourself for a while, and that’s what most victims do. It’s scary. It’s just like dying, but if you are lucky enough maybe you’ll get a second chance at being happy. The truth is you don’t tell the story of your rape: it’s more the other way around.


When I decided to start reading real stories of rape, I told myself I would have to be strong and bear it, no matter how painful it would be. 

I would need to stick to my decision and let it consume me, because only then I would be able to really and finally let it go. But the thing is, the more stories I read the more I see there are victims who are doing something remarkable. It’s not just Joanna. There are other women who are facing their fears and trying to make good use of what happened to them, so that it won’t happen to anyone else. They are seeking real solutions to a real problem. They are digging deeper into rapists’ lives and trying to go beyond the initial sense of guilt and the shame. These are the stories worth reading, because hopefully someday they will change the world. Therefore, as a society, seek real stories and try to go beyond the empty words, just like these women. With a bit of luck, that’s what will make a difference.

Thank you to Heather and Michael, who have been proofreading this article for me.


I will find you

di Joanna Connors
Fourth Estate
Memoir
ISBN 978-0007521869
ebook 5,17€ (lingua originale)
cartaceo 9,60€ (lingua originale)

The powerful, unflinching and deeply humane story of a journalist’s quest to uncover the life of the man who raped her twenty-one years before
Joanna Connors was thirty years old when she was raped at knifepoint by a stranger.
After this horrifying trauma, she became afraid of everything – flying, driving, travelling in a car while someone else drove. She had children, but hovered over them constantly, terrified about what might happen to them as well. Then, when her daughter was sixteen, Joanna began to confront the fear that had ruled her life ever since that day, and decided she needed, finally, to understand.
In an act of breathtaking humanity and pioneering journalistic courage, she went in search of the story of her own rapist, determined to find out who he was, where he came from, what his life was like – and what leads a person to do something as destructive as what he did to her.
The result of her investigation is I Will Find You, a shocking, moving memoir and a brave, timely consideration of poverty, race, class, education – and how life shapes who we become.




Giulia Mastrantoni
Da quattro anni collaboro all’inserto Scuola del Messaggero Veneto, scrivo per il mash up online SugarPulp e per la rivista dell’Università di Trieste Sconfinare.
Dopo aver trascorso un periodo in Inghilterra, ho iniziato un periodo di studi in Canada, ma, dovunque sia, scrivo.
Misteri di una notte d’estate, ed. Montag.
One Little Girl – From Italy to Canada, eBook selfpublished.
Veronica è mia, Pensi Edizioni.
La forma del sole, StreetLib collana gli scrittori della porta accanto.


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3 commenti
  1. Ci sono 2 punti sui quali non sono completamente d'accordo, e sono i due punti che hai presentato tu:
    Non credo che l'"orrore finto" scritto dai narratori sia inutile.
    Tu sei un pò come me: porti avanti delle belle riflessioni, ma spesso, senza accorgertene, non prendi una posizione chiara, dicendo tutto il contrario di tutto. Questo accade sopratutto quando in ballo ci sono temi delicati come lo stupro. Delicati proprio perchè chi non li ha vissuti non può realmente capire (purtroppo).
    Non sto dicendo che questo articolo è meglio non leggerlo perchè non porta avanti nessuna tesi. Anzi: prendi posizioni ben chiare riguardo lo stupro e chi ne parla, facendo distinzione tra chi ne parla e chi lo ha vissuto. E dici che bisogna sensibilizzarlo, ma che a parlarne debbano essere solo coloro che lo hanno vissuto.
    Lungi da chi non lo ha vissuto poter anche solo immaginare cosa davvero si prova, ma sono stato spettatore di fiction e film riguardanti lo stupro (finti) che mi hanno contorto lo stomaco quasi da non reggerne la visione. E se questo "schifo" verso lo stupro viene generato da "finti stupri", ha poca importanza: condannare e combattere per diminuire il numero di stupri sarà, da quel momento, il nostro scopo nella vita.
    Altrimenti, sarebbe come dire che per avere una grande mole di libri, scritti e produzioni per sensibilizzare il pubblico, bisognerebbe (scusami se sto stupidamente osando) che aumentasse il numero di vittime (e, purtroppo, nonostante ciò, questo accade abitualmente).

    Capire perchè qualcuno fa una scelta del genere è il passo successivo che spesso l'umanità non fa. Come ti ho scritto in un'altro commento, il libro sulla droga mi ha colpito perchè, narrato da chi ha vissuto e vive ancora una storia di droga, svela quelle che sono le contraddizioni di chi è all'esterno, è "adulto", e condanna quando dovrebbe essere il primo a venir condannato; e chi la usa, spesso lo fa per motivi diversi da ciò che pensiamo.
    Quindi, semplicemente odiare e condannare, arrestare e relegare lo stupratore fino alla sua morte è, paradossalmente, una azione cieca, perchè si sta solo chiudendo gli occhi sulla questione e non si cerca di capire (questo vale per tutti i misfatti e crimini).
    Ma l'odio (e qui arriviamo al tuo secondo punto) è inevitabile: pretendere di perdonare, di trattare colui che si è macchiato di questo crimine che va oltre alla singola azione e condiziona l'intera vita della vittima (e non solo la sua, molte volte) come un nostro simile, un essere umano, è qualcosa che non puoi pretendere facciano tutti. Similmente alla Legge di Newton, "comprendere" l'orrore genera odio di potenza corrispondente all'angoscia che si pensi abbiano provato (e hanno provato) le vittime. Non supporto le parole sterili e, sopratutto, le parole senza un fine utile; ma non posso biasimare che esista gente, anche lontanissima ed estranea da questa realtà, che senta parole di odio e ribrezzo verso questo tema. Rabbrividirei se ne parlassero solo le VERE vittime e il pubblico restasse in silenzio.

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    1. Mi sono piaciuti alcuni passi del tuo articolo, come: "vorresti che fosse solo tuo, ma non lo è. Infetta e contagia tutti coloro che ti stanno intorno, facendo sì che tutti cerchino risposte e che nessuno abbia il coraggio di formulare ad alta voce le domande" e tutto quello che segue dopo sul "punto e virgola" e il dolore come un sequel dello stupro.
      E lo stesso articolo mi ha portato a pensare che probabilmente (e dico così perchè, appunto, io non so) ogni stupro è diverso, ogni esperienza è diversa: così come la Connors ha cercato risposte dal suo stupratore; qualcun'altra vorrà solo dimenticare o c'è chi non riesce nemmeno a considerare possibile l'idea di parlare con chi l'ha terribilmente umiliata. Ogni esperienza (è brutto dirlo) è diversa e racconta una storia diversa.
      Forse i "finti stupri" non saranno reali e le "emozioni" che raccontano non sono vere: ma sono "diverse", e tante storie diverse, alle volte, fanno una verità. E' la verità è che non si può vivere in un Mondo in cui esiste lo stupro. Forse, più che un mondo senza libri con "finti stupri", sarebbe meglio un Mondo senza libri riguardanti lo stupro. Nessuno. Finti o Reali.

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  2. Caro Andrea, ti ringrazio per i tuoi commenti. Come sai, sono sempre i benvenuti :)
    Rispondo solo a un punto: la parte in cui dico che occorre fare formazione e che non possono farla tutti è da intendersi nel senso che spesso chi parla di educazione sessuale o emotiva a scuola non ha background sufficienti per farlo. Mi spiego: o hai un diploma in counseling, una laurea in psicologia e/o esprienza equivalente, oppure difficilmente sarai in grado di fare in modo che la sensibilizzazione sia effettiva e sicura. Sottolineo sicura.
    Per il resto, leggo i tuoi commenti sempre con grande piacere :)

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