Gli scrittori della porta accanto

Intervista a Domenico Imperato: rock, pop e world music nel nuovo album Bellavista

Intervista a Domenico Imperato: rock, pop, elettronica e world music nel suo nuovo album Bellavista

People |  A cura di Ornella Nalon. Esce oggi "Bellavista", il secondo album di Domenico Imperato: minimale nella scrittura e sensibile verso i suoi sconfitti, essenzialità di scrittura quasi alla Raymond Carver con il senso di nostalgia di De Gregori e la solidarietà umana di De Andrè.

Ciao e benvenuto sul nostro web magazine. Più avanti parliamo di Domenico Imperato musicista, ma ora ci fai conoscere un po' dell'uomo che ci sta dietro?
Sono nato ad Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, da madre pugliese e padre napoletano, ma poi sono cresciuto in Abruzzo, a Pescara. A diciannove anni mi sono trasferito a Roma dove ho vissuto per cinque anni. Poi per un anno a Lisbona in Portogallo e alla fine sono sbarcato a San Paolo del Brasile, dove ho vissuto per quasi tre anni. Provo ad essere un buon uomo e a sfruttare al meglio questa unica vita che ci è concessa cercando un po’ di bellezza in quello che faccio e che mi capita. La musica credo mi abbia aiutato e forse in qualche modo salvato. Ho una testa particolare, un po’ tempestosa, una testaTempesta suona bene. Da sempre sono molto curioso e pieno di voglia di giocare e inventare cose nuove, altrimenti mi annoio. Non so se sarei stato in grado di fare altro; forse il pittore, o forse l’attore, oppure ancor meglio mi sarei potuto mettere in viaggio con qualche compagnia circense in giro per il mondo e dividermi tra i violini, i trapezi e il naso rosso da clown. Ma in realtà, nei tre minuti di una canzone sola, ci può stare po’ tutto questo, quindi credo che alla fine sia andata bene così.


Nella tua nota biografica si legge che sei «metà uomo e metà chitarra», poiché dall'età di dodici anni non hai mai smesso di suonarla.

In quale occasione ti è stata regalata e su tua richiesta? È stato un amore ereditato da qualcuno in famiglia, oppure è qualcosa di soltanto tuo?
La mia prima chitarra, classica per l’esattezza, mi è stata regalata a 12 anni da mio padre, su mia insistente richiesta. Non ne potevo più del flauto dolce… non riuscivo a suonarlo, mi era antipatico come strumento. Facevo le medie e ogni alunno doveva impara uno strumento per la lezione di educazione musicale. Alcuni miei compagni avevano le chitarre ed io le avevo provate qualche volta. Alla fine mio padre su invito anche della professoressa me ne comprò una. Nessuno suonava strumenti in casa, ma mio padre è un talentuoso tenore napoletano da cerimonia. Ha un gran dono vocale ereditato da suo nonno e ha sempre cantato nelle feste di famiglia e tra amici, ma mai al livello professionistico. Il suo repertorio è composto principalmente da canzoni napoletane tradizionali a cappella. Lui mi faceva cantare da piccolo e mi registrava su delle cassette con un piccolo stereo. La chitarra rimase invece qualcosa di solo mio.
Un episodio che ricordo in particolare è che poco dopo aver imparato i primi tre o quattro accordi, presi carta e penna e scrissi due canzoni. Scrissi il testo con una melodia e gli accordi. Fu una cosa che feci dal nulla, per gioco… ma i miei genitori non erano artisti e quando cantai loro i brani rimasero interdetti come a dire: "ma come gli è venuto a questo di scrivere delle canzoni a soli 12 anni?"
Abbandonai la carriera prematura del cantautore e tornai a correre per strada dietro al pallone. Solo verso i 18/19 anni ho ricominciato a scrivere canzoni.

Domenico, qual è stato il momento in cui hai deciso che avresti fatto il cantante? Quant'è difficile vivere di musica ai nostri tempi e nel nostro paese?
Ci sono stati vari momenti, non credo solo uno specifico. È stato un percorso lento, di anni. Forse durante l’anno vissuto a Lisbona si è messa in moto un'accelerazione brusca tra me e la passione musicale. Ho iniziato a suonare chitarra e voce nei locali della città cantando in portoghese, italiano e inglese e sono arrivati i primi cachet. A metà anno suonavo fisso ogni settimana in tre posti diversi del Bairro Alto. Praticamente suonavo tutti i mercoledì, giovedì e venerdì. Cercavo di risparmiare qualcosa da quei primi cachet per comprare una nuova chitarra più professionale che avevo provato in un negozio appena ero arrivato a Lisbona. A fine anno la riuscii a comprare e la uso ancora oggi, insieme però ad altre tre!
È molto difficile vivere di musica, lo era già prima ma con la situazione attuale è diventata una piccola impresa per masochisti e avventurieri. Oggigiorno è dura per tutti, il precariato ci divora e inoltre credo che la deriva culturale sia ben visibile agli occhi di tutti. Se decidi di provare a fare musica di qualità, nel mio caso musica d’autore, diventa ancora più difficile. Ma come direbbe un mio amico: il cantautore deve soffrire! La sofferenza fa parte della sua deontologia e va accettata. La cosa bella è che anche se si fa fatica, alla fine, si fa musica. Ti alzi e ti metti al piano o alla chitarra a studiare un pezzo oppure a rileggere dei versi, a pensarci su e trovare una nuova canzone. Non facciamo i minatori e quindi non possiamo lamentarci. Di questa impresa di fare il cantautore ne ho parlato proprio nel testo di “Bellavista”, la canzone che chiude il disco:
tocca andare, tocca partire, macinare, calpestare / bere vini piemontesi e sfidare i peggiori / i peggiori bevitori, gli scassaminchia dei paesi / masochismo speso a iosa con il rischio della resa / che ci si arrende al tempo e al viaggio, ma tra i denti riesci ancora / a cantarla un’altra nota, a cantarne un’altra ancora / ci vorrebbero tre vite per farla tutta questa vita / che una sola è troppo poca e non si riesce mica
Mi sembra che tu abbia reso perfettamente l'idea!



Sei un artista poliedrico, non solo canti ma componi anche i testi delle tue canzoni e scrivi le musiche. 

Come nascono le tue canzoni? Parti dal testo o dalle musiche? Hai qualche altra alchimia di combinazioni?
Le ispirazioni sono tante, passano e bisogna saperle cogliere. A volte rimangono anche per un po’ nella testa e poi esplodono. È Il caso di alcune storie, soggetti, personaggi particolari su cui magari ti ritrovi a pensare e interrogarti per giorni fino a quando capisci che è il caso di scriverci una canzone. Altre volte una canzone nasce di getto, dettata da una forte emozione che hai dentro, sono le canzoni che escono di pancia e forse in realtà sono le migliori, ma sono anche un po’ più rare. In questo caso scrivi insieme testo e musica. Secondo me è il metodo migliore ma anche il più difficile. Poi si può partire dalla musica, mi è successo più volte, questo metodo è quello preferito dal Maestro Paolo Conte ad esempio. La terza traccia del disco “Nino” è nata così. La musica è stata composta quando vivevo in Brasile ed è rimasta per anni senza un testo. La melodia e armonia si muovono in maniera jazzistica, elaborata, con varie modulazioni, su una metrica precisa e curiosa che complica un po’ il lavoro del paroliere. Alla fine, dopo vari tentativi, sull’ostinato melodico è spuntato fuori:
Nino lui, lui già lo sa! Lui guarda il rosso in cielo e spera!
In altri casi si parte dal testo, magari appunti dei versi o delle pagine intere di quaderno in prosa, oppure in un mix libero di prosa e poesia, poi prendi lo strumento e provi a musicare un verso interessante. Diciamo che il cantautore è lì che strimpella la chitarra o il piano, appunta pensieri, aspetta, cerca, fiuta fin quando non esce quel verso con quella melodia precisa che dà il via alla scrittura.


Come ti arrivano le ispirazioni per comporre le tue melodie? Hai degli orari oppure dei posti particolari in cui la musa ti raggiunge?
Se il testo è qualcosa di più pensato e ragionato, forse la melodia è qualcosa di molto istintivo e viscerale. Mi sembra come se sia qualcosa che arrivi da molto più lontano. Non ho degli orari prestabiliti. Devi essere come un'antenna pronta a captare. Ci sono giorni e periodi in cui senti maggiormente un fermento creativo. Ecco forse più che gli orari ci sono lune favorevoli… la luna un po’ ci aiuta. Ultimamente ci ho fatto caso di più. Negli ultimi tre anni, dopo molto vagare e dopo tante case cambiate, mi sono stabilito in una casa/studio dove si è creata una bella energia e le ultime canzoni sono nate quasi tutte qui.

Quanto c'è di te e quanto invece della realtà che ti circonda nei tuoi testi? 
C’è molto di me e del mio vissuto chiaramente. Poi c’è tanto anche di quello che osservo intorno. Il cantautore deve descrivere anche la realtà che lo circonda e andare a fondo, cercare di emozionare le persone ma forse ancora di più dare coraggio attraverso l’arte. Deve dire la verità sulle cose cercando la forma più bella possibile in canzone.



Le tue musiche hanno una sonorità che riconduce alla musica popolare brasiliana, grazie alla tua permanenza di tre anni in Brasile, per l'appunto, ma per quanto riguarda il genere dei tuoi testi, Domenico, presumi di avere subito l'influsso di qualche cantautore?

Sicuramente. In realtà anche in Brasile la canzone d’autore è molto sviluppata e ci sono alcuni Maestri enormi che hanno scritto capolavori, penso a Chico Buarque, Caetano Veloso, Cartola e molti altri. Sono entrato nei testi brasiliani in un secondo momento quando ho imparato la lingua portoghese a Lisbona e sono ricchi di Poesia e spunti. Però è un mondo poetico a tratti un po’ diverso dal nostro, forse in alcuni passaggi più antico e ancestrale.
Nel mio primo disco si sente l’influenza di questo mondo nei testi delle canzoni, c’è qualcosa di epico in alcuni brani. Questo tipo di scrittura appartiene soprattutto al mondo più popolare e del folklore, un universo molto ricco, che a me piace molto, in Italia penserei a un Modugno o tra i cantautori più recenti a Capossela. Nel secondo disco ho fatto di più i conti con la forma canzone italiana. In passato ho ascoltato molto De Andrè, Pino Daniele, Ivan Graziani e in questi ultimi anni mi sono scontrato anche con la scrittura di Paolo Conte, ma anche di Dalla, Battisti e De Gregori. Questi per me sono i nostri grandi maestri. Poi ci sono alcuni cantautori più recenti che secondo me hanno influenzato la mia generazione intera, in primis Vinicio Capossela, all’inizio degli anni zero tutti i giovani cantautori volevano scrivere come lui. Negli ultimi anni anche Niccolò Fabi ha fatto dei lavori strepitosi e delineato una linea cantautorale che molti giovani credo stiano seguendo. Poi c’è il mondo indie, ma lì come si sa è odio e amore, il discorso diventa complicato... Mi piacciono però Brunori, Colapesce e ho adorato l’ultimo album di Dimartino. Sicuramente si sente l’influenza di tutto questo mondo della canzone italiana quando vai a scrivere un brano tuo ma poi ci sono anche le letture che formano tanto. Credo siano fondamentali per un cantautore. Negli ultimi anni il vizio della lettura è ritornato più di prima, ho letto tanto Fante, Hemingway, Celine, Calvino e Dostoevskij.

Il genere di musica che fai è anche quello che preferibilmente ascolti? Quali sono i tuoi cantanti preferiti?
Suono quello che ascolto, ma in realtà anche no… nel senso che poi ascolto anche tanta altra musica che magari non ho occasione di suonare o suono poco: elettronica, musica classica, jazz, musica africana... Sono onnivoro musicalmente. Sento musica che passa per vari generi e soprattutto parecchia musica straniera. Durante il lavoro di Bellavista ho consumato First Mind il primo disco capolavoro di Nick Malvey, e poi ho ascoltato molto i Calexico, Jorge Drexler, Hindi Zahra, Avishai Cohen, Lucas Santanna e Castelo Branco. Non mi ispiro mai a qualche artista in particolare, se intuisco una somiglianza troppo forte con qualcuno cerco di scappare. Gli ascolti aiutano a crescere, ad arricchirsi di idee e donano spunti interessanti, ma poi credo che il tentativo debba essere quello di creare una proprio firma, una propria originalità diversa da tutti gli altri, e questa è anche la cosa più difficile.

Proprio oggi, 2 febbraio, per Lapilla Records/Ponderosa uscirà “Bellavista”, il tuo nuovo album. 

BellavistaC'è un filo conduttore che collega tutti i brani? Quanto ti è costato in termini di impegno e di tempo? Ce ne vuoi parlare un po'?
Postura Libera è stato il disco del mare: protagonista era l’uomo e il suo percorso esistenziale. “Bellavista” è invece un disco terreno, dove c’è una volontà precisa di spostare la posizione dello sguardo, di andare a scavare a fondo in maniera diversa, utilizzando una lente che va ad osservare e raccontare storie minime, storie quotidiane, storie comuni. I protagonisti di queste canzoni sono personaggi ben ancorati alla realtà quotidiana, presentati fin dall’inizio con i loro nomi propri di persona: “Nino”, “Stefano”, “Adele” e il suo cane, o con un nomignolo come nel caso del brano “Il nano”. Il filo conduttore che lega i brani è proprio questa coralità, questo voler parlare di vari personaggi, questo susseguirsi di undici storie-canzoni. Parallelamente a questi personaggi si muove inoltre nel disco una coppia di amanti e la disillusione per la fine della loro storia d’amore. “Bellavista” è un disco duro, a tratti rabbioso, un disco di presa di coscienza della inevitabile disfatta, ma che allo stesso tempo non abbandona la voglia di una ripartenza di slancio. È costato molto impegno e molta fatica, ma devo dire che ne è valsa la pena. È stata una bella avventura e nonostante il grande sforzo si è lavorato in un regime di grande armonia e crescita.
Tutto il lavoro di produzione artistica e arrangiamento è stato realizzato insieme al polistrumentista Francesco Arcuri. Abbiamo cercato di realizzare un lavoro più completo e maturo del precedente, in cui il rock incontrasse il pop e l’elettronica danzasse insieme alla world music. 
“Bellavista” supera i confini ristretti del Tropicalismo in chiave mediterranea di “Postura Libera”. Dopo un lungo periodo di pre-produzione, realizzato in home studio, il lavoro è stato poi registrato e mixato da Angelo Scogno presso Sonus-Factor ad Atessa, un piccolo paesino dell’entroterra abruzzese. In questo spazio intimo, quasi segreto e nascosto, c’è stata la possibilità di lavorare con un fonico giovane e preparato con la giusta voglia e tempo per sperimentare nuove soluzioni e possibilità. Credo di essere cresciuto molto con questo disco, grazie soprattutto all’amicizia e allo scambio reciproco con Francesco, “Bellavista” mi ha lasciato tanta voglia di fare, di nuova musica e di nuove canzoni… 

Il disco lo potremmo trovare ovunque, ma dove e quando possiamo venire ad ascoltarti dal vivo? 
Sono state fissate le prime date del tour che partirà il 10 febbraio da L’Aquila presso l’Auditorium del Parco per la rassegna Paesaggi Sonori. 
Saremo poi in concerto il 17 febbraio a Pescara, nella mia città, allo Scumm e poi il primo marzo a Roma a ‘Na Cosetta. 
Sono poi in arrivo altre date e basta seguirmi sui miei canali social (ad esempio la pagina Facebook) o sul sito per restare aggiornati. 


A nome di tutto lo staff di questo web magazine, Ringrazio Domenico Imperato per essere stato con noi e gli rivolgo un grosso in bocca al lupo. 
Viva il lupo e grazie a voi!


Ornella Nalon
I miei hobby sono: il giardinaggio, la buona cucina, il cinema e, naturalmente, la scrittura, che pratico con frequenza quotidiana. Scrivo con passione e trasporto e riesco a emozionarmi mentre lo faccio. La mia speranza è di trasmettere almeno un po’ di quella emozione a coloro che leggeranno le mie storie.
“Quattro sentieri variopinti”, Arduino Sacco Editore
“Oltre i Confini del Mondo”, 0111 Edizioni
“Ad ali spiegate”, Edizioni Montag
“Non tutto è come sembra”, da 0111 Edizioni.


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