Incipit #177 Assunta stava viaggiando ormai da giorni. Sua madre l’aveva accompagnata in questa impresa impossibile ed era la sua ultima possibilità.
Ed è subito Natale
di Gli Scrittori della Porta AccantoRacconti
Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni
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L’ultima speranza di riportare suo figlio Michele da questa parte. Michele era vivo, sì, ma non era più lì. Ne aveva passate tante, era sopravvissuto al tetano quando i medici lo avevano dato per morto da lì a pochi giorni. Era stato in coma e si era risvegliato che non era più lui. Era un altro. Era il demonio. Questa malattia gli aveva prosciugato l’anima e lo aveva letteralmente trasformato. Il bambino calmo, gentile e premuroso che lei tanto aveva amato da quando l’aveva messo al mondo era sparito. Nel suo corpo adesso si trovava una bestia cattiva e costantemente in cerca di guai. E se si fosse trattato di guai comuni, marachelle da giovanotti, Assunta non si sarebbe preoccupata granché. Il vero problema è che si trattava di guai seri, attentati alla vita degli altri suoi figli. E lei questo non lo sopportava più. Dopo che Giacomo, tredici anni, e Salvo, nove anni, le avevano detto che Michele, che di anni ne aveva solo sette, aveva tentato di accoltellarli una volta e di prenderli a martellate un’altra, si era messa ad osservare il piccolo con maggiore attenzione. Non lo riconosceva più. Irascibile, sempre arrabbiato, pronto al litigio, di cattivo umore. Si rifiutava di andare a scuola, non voleva più aiutare in casa e, soprattutto, si impuntava per non entrare in chiesa la domenica mattina. Ogni volta che ci aveva provato, lui si era rivolto a lei come fosse stata «una cagna senza nome e senza cuore», gridandole contro che lui mai e poi sarebbe entrato «in quel posto di merda». Le parolacce che Michele pronunciava erano infinite.
Così un giorno, dopo averlo visto affermare Giacomo per i capelli, con una forza sovrumana, spintonarlo fino al tavolo della cucina e sbattergli la testa ripetutamente sulla lastra di marmo, si era decisa a portarlo in un convento di suore. Queste stesse suore le avevano consigliato di andare da un certo Padre Rino, che si trovava in Calabria. “E io in Calabria come ci arrivo con questo pazzo?”, si era chiesta subito Assunta. L’idea di viaggiare con quel suo figlio che non aveva più maniere da umano la terrorizzava. Ma doveva farlo. Lo doveva a se stessa, alla sua famiglia, ma soprattutto al povero Michele, vittima di chissà qualche male interiore. Così si era messa in viaggio, con il bambino che più volte aveva cercato di scappare. Lei e sua madre lo braccavano, continuamente. Lo tenevano legato, proprio come una bestia, e facevano voltare tutti quelli che incontravano. Chi mai poteva tenere un bambino legato a una corda e trascinarlo come fosse un asino? Mortificate dagli sguardi delle persone, Assunta e la madre erano comunque determinate ad arrivare a Fiumara, dove Padre Rino operava. Prima il treno, poi la barca, poi un calesse. Michele sul calesse aveva dato un calcio al condottiero e si era messo al posto di guida, costringendo i cavalli a galoppare in maniera troppo veloce fino a far ribaltare la carrozza.
Così un giorno, dopo averlo visto affermare Giacomo per i capelli, con una forza sovrumana, spintonarlo fino al tavolo della cucina e sbattergli la testa ripetutamente sulla lastra di marmo, si era decisa a portarlo in un convento di suore. Queste stesse suore le avevano consigliato di andare da un certo Padre Rino, che si trovava in Calabria. “E io in Calabria come ci arrivo con questo pazzo?”, si era chiesta subito Assunta. L’idea di viaggiare con quel suo figlio che non aveva più maniere da umano la terrorizzava. Ma doveva farlo. Lo doveva a se stessa, alla sua famiglia, ma soprattutto al povero Michele, vittima di chissà qualche male interiore. Così si era messa in viaggio, con il bambino che più volte aveva cercato di scappare. Lei e sua madre lo braccavano, continuamente. Lo tenevano legato, proprio come una bestia, e facevano voltare tutti quelli che incontravano. Chi mai poteva tenere un bambino legato a una corda e trascinarlo come fosse un asino? Mortificate dagli sguardi delle persone, Assunta e la madre erano comunque determinate ad arrivare a Fiumara, dove Padre Rino operava. Prima il treno, poi la barca, poi un calesse. Michele sul calesse aveva dato un calcio al condottiero e si era messo al posto di guida, costringendo i cavalli a galoppare in maniera troppo veloce fino a far ribaltare la carrozza.
Tutti e tre pieni di graffi, con Michele ancora legato, arrivarono a quel paesino abbarbicato su degli aspri monti.
La piazza era deserta e si sedettero sugli scalini di entrata. Michele si sedette lontano di qualche metro, dopo aver discusso con la madre. Assunta era stremata, si guardava intorno e si chiedeva perché fosse arrivata fin lì. La chiesa era chiusa, il portone sprangato, il paese sembrava deserto. Dopo una buona mezzora giunse un piccolo prete, gobbo e minuto. Si presentò e disse che li stava aspettando. Disse che avrebbe prima celebrato la messa e che poi si sarebbe occupato di Michele. Ad Assunta quasi venne da ridere, come avrebbe fatto Padre Rino a condurre Michele in chiesa? E invece, al di là di ogni sua aspettativa, il prete poggiò una mano sulla fronte del bambino e lo fissò negli occhi con sguardo serio: «Adesso tu entri in chiesa con me, ti siedi in silenzio e aspetti». Il bambino non fece una piega ed entrò.
Assunta era sbigottita, senza parole. Non credeva a ciò che vedeva. Sua madre la seguì e, varcata la soglia dell’edificio, s’inginocchiò alla prima panchina e si mise a pregare. Padre Rino celebrò la messa, rivolto a Michele, e quando ebbe finito invitò tutti nella sagrestia. Lì, ad attenderli, c’erano due energumeni vestiti di nero. Il prete si vestì, indossò una talare romana nera e prese in mano la Bibbia. La baciò e la posò dolcemente vicino a Michele, che nel frattempo era stato preso per mano dai due uomini perché aveva iniziato ad agitarsi. La loro stretta si era fatta sempre più forte e il prete disse a tutti di allontanarsi di qualche metro. Iniziò a pregare, col crocifisso in una mano e l’aspersorio nell’altra. Pregava e pregava, sporgendo il crocifisso verso Michele e cospargendolo di acqua santa. Lo benediceva e lui si dimenava. «Bastardo. Figlio di puttana. Vattene. Lasciami in pace» gridava il bambino. «Levati di qui. Smettila di parlare. Lasciatemi andare, brutti stronzi».
“Quello non è mio figlio, quella voce, quelle parole non sono le sue”, pensava Assunta, mentre piangeva e si copriva il volto per non vedere Michele che cercava di liberarsi, come fosse un'anguilla fuori dall’acqua.
La pratica durò quasi una ora, finché Padre Rino, ormai fioco e con le forze ridotte al minimo, pronunciò la frase finale: «Esci da questo corpo, Satana, e lascia in pace questo bambino!». Michele si accasciò, perse i sensi e cadde a terra. Padre Rino si sedette e si asciugò la fronte.
«Che cosa è stato, Padre? Chi c’era dentro mio figlio?» chiese Assunta, anche se sapeva già la risposta.
«Vede, signora, al mondo esistono il bene e il male. Noi non li vediamo, ma esistono. Quello che era dentro suo figlio era il male, il male in persona. Ma adesso non c’è più. Torni in Sicilia e faccia benedire tutta la casa, stanza per stanza. E poi non ci pensi più». Terminata la frase, il prete fece per aprire la porta della sagrestia ma questa non si aprì. La chiave si spezzò.
«Che cosa succede?» chiese la nonna di Michele.
Il bambino nel frattempo era ancora a terra, sembrava addormentato e aveva un'espressione stranamente rilassata.
«Questo è l’ultimo scherzo che mi ha fatto Satana, prima di andarsene…» disse Padre Rino, quasi divertito. Sembrava conoscere bene l’entità con cui aveva avuto a che fare.
I due uomini vestiti di nero, silenziosi e obbedienti, buttarono giù la porta a spallate e portarono Michele fuori dalla chiesa. Una volta che furono alla luce del sole, il bambino si risvegliò. Sembrava calmo, e nel vedere la madre, le corse in braccio gridando: «Mammina!».
Assunta non riuscì a trattenere le lacrime, quel bambino che si era buttato tra le sue braccia era suo figlio, quello vero, quello che l’aveva abbandonata mesi fa.
Era il 20 dicembre del 1960, sapeva che il viaggio di ritorno sarebbe stato lungo e non voleva perdere tempo. Desiderava arrivare a casa in tempo per il giorno di Natale.
Era il 20 dicembre del 1960, sapeva che il viaggio di ritorno sarebbe stato lungo e non voleva perdere tempo. Desiderava arrivare a casa in tempo per il giorno di Natale.
Quarta di copertina
Ed è subito Natale, degli Scrittori della Porta Accanto (Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni), 2017.
La neve, l’albero, le decorazioni, le luci, i pacchetti, i fiocchi, il vischio, il freddo, il pungitopo, Babbo Natale vestito di rosso, il cotechino con le lenticchie, i fichi secchi con le noci, il tiramisù, le lasagne, la tovaglia a quadri, i segna posto, la pancia che scoppia, il vino buono, lo spumante, il camino acceso, il piumone, il divano, il plaid, il pigiama con la renna, il biglietto di auguri, la famiglia, gli abbracci, gli amici, la valigia, la tombola, il mercante in fiera, Mamma ho perso l’aereo, un buon libro, qualche racconto.
Ed è subito Natale.
Tanti auguri da Gli scrittori della porta accanto.
★★★★★
Il buon giorno si vede dal mattino, dicono, e un buon incipit e una copertina accattivante possono essere il perfetto bigliettino da visita di un libro.
Secondo voi, quante stelline si merita il biglietto da visita di questo libro?
Tutti i nostri incipit:
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