Gli scrittori della porta accanto

Recensione: Il silenzio della collina, di Alessandro Perissinotto

Recensione: Il silenzio della collina, di Alessandro Perissinotto

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. Il silenzio della collina (Mondadori). Alessandro Perissinotto ha scritto un libro potente, che scava nelle budella, lento ma inesorabile, ci apre gli occhi, crepa il muro dell'ipocrisia, con la speranza che certi abomini non si ripetano più. Il finale è struggente e dolcissimo.

Scrivo questa recensione poche ore dopo aver terminato la lettura del libro, perché Il silenzio della collina di Alessandro Perissinotto è talmente denso, ricco di contenuto che devo per forza scaricarmi di tutto ciò che ho assorbito, altrimenti scoppio.
Premetto, come sempre, che sono piemontese come l’autore, quindi quando leggo il suo Piemonte, riconosco il mio Piemonte. In questo caso so di che cosa parla quando descrive la mentalità contadina provinciale e ristretta.
Alessandro Perissinotto, anche in questo romanzo, utilizza la sua abilità a strutturare una trama gialla, con la suspense che regge per molti capitoli e la verità che emerge solo alla fine, ma, come sempre, usa il pretesto di un omicidio per raccontare molto di più.
L’altro elemento caratteristico della scrittura di Alessandro Perissinotto è partire da qualche fatto di cronaca reale per innestare una storia di fantasia.


In Il silenzio della collina siamo ad Alba. 

Domenico Boschis è un cinquantenne che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove ha avuto un buon successo come attore di serie televisive. È tornato nella città natia perché il padre Bartolomeo (Tomé, che si pronuncia Tumé) è ricoverato in un hospice dove attende la morte. Ha infatti un tumore al cervello, trascorre le sue giornate sonnolento, quando parla smozzica le parole e non è neanche certo che sia del tutto lucido. Domenico non sapeva neppure che fosse ammalato, quando i medici lo hanno cercato: non è stato un figlio devoto, ma nemmeno Tomé è stato un padre esemplare. In gioventù era un uomo burbero, poco incline al sentimento e molto attaccato a denaro. La madre di Domenico, Carla, si è separata quando Domenico era bambino ed è andata a vivere a Torino con Franco, un architetto, un cittadino di larghe vedute che si è occupato di Domenico come di un figlio e che ancora vive con Carla. Quindi Domenico è molto affezionato al patrigno, lo considera davvero come un padre: è cresciuto a Torino con lui e ha avuto una vita serena, felice. D’estate però tornava ad Alba dal padre biologico e in quelle occasioni riusciva a creare con lui anche qualche bel ricordo.

Ora Tomé sta per morire e Domenico si trova spiazzato. Non sa nemmeno se la morte di quel padre sgradevole gli procurerà del dispiacere.

Il padre non è del tutto svanito. Lo riconosce, nei pochi attimi in cui è sveglio. Quando Domenico cerca di riportargli alla memoria gli episodi felici della sua infanzia, tipo quando correvano insieme su una moto Jawa, Tomé si mostra indifferente. La sua unica gratificazione pare essere quella di mangiare il budino o, meglio ancora, il gelato al cioccolato. Però, in certi momenti, sembra perseguitato da un incubo, da un’ossessione. «La ragazza…», ripete Tomé, senza spiegare a chi si riferisca.
Domenico, che nel frattempo ha ritrovato Caterina e Umberto, i suoi amici di infanzia, inizia a indagare e collega i vaneggiamenti del padre a un caso di cronaca (reale) accaduto nel 1968: Maria Teresa Novara, una ragazzina di tredici anni, sparisce. Inizialmente si pensa che sia scappata in Svizzera con un uomo e che faccia la bella vita – la famiglia ha ricevuto delle lettere di rassicurazione. Sette mesi dopo, Maria Teresa viene ritrovata morta in una cantina. Era stata tenuta prigioniera, con una catena, dai suoi aguzzini che l’avevano fatta prostituire, l’avevano abusata, l’avevano venduta. Eppure, quando i giornali avevano riportato i fatti, all’epoca, si era parlato della ragazzina come di una poco di buono, di una dedita al vizio, quasi che la colpa di tutto ciò fosse sua.
Tomé sa qualcosa e Domenico cerca di capire se quel padre gretto e misero abbia delle responsabilità nel rapimento o nell’omicidio.


Nella realtà è ancora sconosciuta la mano che, ostruendo con dei giornali le bocchette d’aria della cantina, causò la morte della povera ragazza per asfissia. Alessandro Perissinotto inventa un finale, tutto sommato plausibile.

Io voglio ringraziare Alessandro Perissinotto per avere scritto questa storia in cui intreccia molteplici temi.
C’è la morte. La morte di un padre che nella vita è stato quasi sempre assente. La morte che è un tabù dei giorni nostri, per raccontare la quale abbiamo bisogno di fiction, perché non sappiamo più affrontarla nella vita quotidiana. La morte ingiusta di una ragazzina, anzi, di una bambina, che strazia il cuore.
C’è la banalità del male. Ci viene sbattuto in faccia che l’aguzzino più atroce potrebbe essere il nostro vicino di casa e questa è un’idea che tutti rifiutiamo. E forse è il motivo per cui Maria Teresa non è stata salvata: la rimozione. Qualcuno doveva pur sapere che lei fosse lì, perché il suo corpo veniva venduto agli uomini del circondario. Invece è stato più semplice dimenticarsi di lei che correre in suo aiuto. All’epoca persino la parola “pedofilia” veniva evitata: se qualcosa non ha un nome, allora non esiste. I meccanismi di negazione compaiono in tutte le famiglie rappresentate in questo spaccato di realtà contadina: non c’era abuso che non si potesse sanare semplicemente evitando di menzionarlo. E, sempre parlando di negazione, i cattivi non possono mai essere nel proprio paese o nella propria frazione. Sono sicuramente dei napoli (pronuncia: napuli), quelli che arrivano dal sud, oppure, al limite, dal comune di fianco. Sarebbe insostenibile ammettere che il pedofilo, il puttianiere è uno di famiglia.


Ma soprattutto, vorrei ringraziare Alessandro Perissinotto per aver parlato della condizione della donna, che è uno dei leitmotiv più sottili, ma più persistenti di tutto il libro, e, come la tela di un ragno, unisce tutti gli snodi del romanzo  Il silenzio della collina.

Tra le colline delle Langhe la donna è un corpo, è una proprietà, la donna viene «USATA» (così scrive l’autore). Maria Teresa è stata trattata dai suoi stupratori come un oggetto, nessuno si è preoccupato di lei come persona. Certo con lei si è toccato il punto più basso, ma in tutta la narrazione trasuda la stessa concezione, anche se negli altri casi gli esiti sono meno drammatici. Si parla di donne fatte sposare per diventare serve in casa e per appagare sessualmente il marito e forse anche qualche altro parente di lui.
Donna «USATA».
Carla, la madre di Domenico, ha dovuto sposare Tomé perché lui «l’ha presa con la forza», si è approfittato di lei. E benché lei non lo ami, viene costretta dalla madre a prenderlo come marito perché ormai, non essendo più vergine, nessuno l’avrebbe più voluta come moglie. Tomé è un marito gretto, che non risparmia sberle alla sua sposa né al suo bambino. Beninteso, non li massacra di botte, ma è convinto di essere in diritto di punire moglie e figlio come e quando vuole. In fondo li considera una sua proprietà. Il fatto che Carla dopo qualche anno abbia deciso di separarsi e di vivere come una cittadina libera e indipendente ha creato scalpore nel paese. Agli occhi di molti è diventata una donnaccia.


L’abbandono del tetto coniugale, che oggi è quasi una condizione normale, (dico quasi dato il gran numero di uomini che uccidono le mogli che si vogliono separare), all’epoca era un moto di insurrezione inconcepibile. 

La donna delle Langhe tra Asti e Alba era considerata come una bestia, non aveva diritto di parola negli affari del marito e molto spesso si ritrova a coprire le sue scappatelle e i suoi vizietti (il gioco d’azzardo, per esempio) per amore di quieto vivere e per salvare l’apparenza. Anzi, per un negare i problemi e smettere così di farli esistere.
Mi viene in mente mia nonna, che rimasta vedova con un figlio piccolo (mio padre) ricevette una proposta di matrimonio di un tale, forse pure benestante. Avrebbe risolto molti dei suoi problemi, lei che ogni giorno percorreva in bici dieci chilometri per andare a fare l'operaia ai telai. Invece doveva aver subodorato che una volta là avrebbe fatto la sguattera a una famiglia composta da molti uomini che avevano bisogno di una serva in casa. Rifiutò e lavorò ai telai fino alla pensione.
Tutto questo accadeva negli anni Sessanta, ma oggi è tutto diverso?

Domenico e i suoi amici sembrano più evoluti dei loro genitori, ma è chiaro che Alessandro Perissinotto sceglie di raccontare il passato per mettere in luce i problemi del presente, per rappresentare un fenomeno di ben più ampio respiro.

Per come conosco io le Langhe, non tutti gli abitanti sono progrediti quanto Domenico.
Qualche anno fa ero da quelle parti con un ragazzo, assistevo a una partita di carte (manco a dirlo) e a un certo punto mi lamentai di qualcosa, tipo che era ora di andare. Uno dei presenti mi disse: «Una donna che dice una cosa del genere a casa mia sarebbe già morta». Mi alzai sdegnosa, con il fuoco negli occhi, e li piantai tutti in asso. Il ragazzo mi inseguì. Per prendere le mie difese? No, per rimproverarmi di essere stata tanto cafona con il suo compare. Gli avevo fatto fare una figuraccia, avevo minato la sua autorità. Non ero abbastanza sottomessa alla figura maschile.
Ma anche le Langhe de Il silenzio della collina diventano l’emblema di un machismo che in Italia purtroppo supera di parecchio i confini della provincia piemontese.
Alessandro Perissinotto ha scritto un libro potente, che scava nelle budella, lento ma inesorabile. Non lascia scampo ai meccanismi di negazione e di rimozione: ci apre gli occhi, crepa il muro dell'ipocrisia, con la speranza che certi abomini non si ripetano più.
Nelle ultime pagine, quando la verità è finalmente rivelata, Tomé chiude gli occhi per sempre. Il finale è struggente e dolcissimo.

Il silenzio della collina

di Alessandro Perissinotto
Mondadori
Narrativa
ISBN 978-8804708049
cartaceo 16,15€
ebook 9,99€

Domenico Boschis è nato nelle Langhe, ma da molti anni ormai la sua vita è a Roma, dove ha raggiunto il successo come attore di fiction TV. Una notizia inaspettata, però, lo costringe a tornare tra le sue colline: il padre, col quale ha da tempo interrotto ogni contatto, è malato e gli resta poco da vivere. All'hospice, infatti, Domenico trova un'ombra pallida dell'uomo autoritario che il padre è stato: il vecchio non riesce quasi più a parlare, ma c'è una cosa che sembra voler dire al figlio con urgenza disperata. «La ragazza, Domenico, la ragazza!» grida, per scoppiare poi in un pianto muto. Dentro quel pianto Domenico riconosce un dolore che viene da lontano. Chi è la ragazza che sembra turbarlo fino all'ossessione?
Mentre Domenico riprende confidenza con la terra in cui è cresciuto e cerca di addomesticare i fantasmi che popolano i suoi ricordi d'infanzia, si imbatte in un fatto di cronaca avvenuto cinquant'anni prima a una manciata di chilometri da lì. La protagonista è proprio una ragazza: ha tredici anni quando, una notte di dicembre del 1968, viene "rubata" da casa sua. Di lei non si sa nulla per otto mesi, poi la verità emerge con tutta la sua forza. È possibile che sia il ricordo della tredicenne a perseguitare il padre di Domenico? E se così fosse, significa che il vecchio ha avuto un ruolo nella vicenda della ragazza? Lui l'ha sempre considerato un cattivo padre; deve forse cominciare a pensare che sia stato anche un cattivo uomo? Domenico ha bisogno di trovare una risposta prima che il vecchio chiuda gli occhi per sempre.
Nel solco del romanzo-verità tracciato da Carrère con L'avversario, Alessandro Perissinotto prende le mosse da una storia realmente accaduta, raccontata dai giornali dell'epoca e poi colpevolmente dimenticata, innestandola però su un impianto romanzesco. Così facendo, rompe il silenzio sul primo sequestro di una minorenne nell'Italia repubblicana, in un libro feroce e al tempo stesso necessario per capire da dove viene la violenza sulle donne, per comprendere che, contro quella violenza, sono gli uomini a doversi muovere.
Elena Genero Santoro

Elena Genero Santoro
Ama viaggiare e conoscere persone che vivono in altri Paesi. Lettrice feroce e onnivora, scrive da quando aveva quattordici anni.
Perché ne sono innamorata, Montag.
L’occasione di una vita, Lettere Animate.
Un errore di gioventù, 0111 Edizioni.
Gli Angeli del Bar di Fronte, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione).
Il tesoro dentro, Gli Scrittori della Porta Accanto Edizioni (seconda edizione).
Immagina di aver sognato, PubGold.
Diventa realtà, PubGold.
Ovunque per te, PubMe.
Claire nella tempesta, Leucotea.


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