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Athlete A: un documentario Netflix original

Athlete A: un documentario Netflix original

Cinema | Netflix Di Elena Genero Santoro. Athlete A, un documentario Netflix original: violenza e abusi sessuali nel mondo della ginnastica artistica USA.

Il mondo della ginnastica artistica mi ha sempre affascinata moltissimo, tanto che a un certo punto della mia giovinezza l’ho praticata in prima persona, pur senza mai raggiungere i risultati eccelsi delle atlete che si vedono in TV. E anche se so ancora fare la ruota, so che volteggiare su una trave e atterrare in equilibrio su un piede solo è parecchio difficile.
La televisione, tra i vari Tu si que vales, Cirque du soleil e Italia’s got talent ci ha abituato a numeri acrobatici di livello altissimo, sempre diversi, sempre stupefacenti, per cui quando vediamo uno che cammina sulle mani senza aggiungere altre acrobazie, ci sa di già visto. Ma quanti di noi sarebbe in grado di camminare sulle mani o mettersi anche solo a testa in giù? E quanta fatica e quanto sforzo sono necessari a chi spera di arrivare addirittura alle olimpiadi?

Athlete A è un documentario di Netflix che racconta uno scandalo sessuale che nello scorso quinquennio ha investito le atlete della ginnastica artistica americana.

Quelle che sono arrivate nel 2016 alle olimpiadi di Rio de Janerio e hanno vinto e stravinto, portandosi a casa ceste intere di medaglie.
Chi non ha presente Simone Biles, atleta nera allora diciannovenne, che divenne il mito delle ultime olimpiadi?
Bene, tutte queste atlete, e centinaia di loro compagne, per decenni, sono state vittime di abusi sessuali da parte di Larry Nassar, il loro medico sportivo.
Si parla di almeno cinquecento vittime, eppure questi abusi si sono protratti per molti anni senza che nessuno fiatasse, finché nel 2015 Maggie Nichols - l'atleta A - denunciò (giocandosi probabilmente la convocazione a Rio) e dopo di lei altre ragazze, finché la facciata di perbenismo non franò tutta insieme.
Attualmente Larry Nassar rischia 175 anni di carcere.

Ma come è stato possibile tutto questo? E perché questo silenzio? Perché le vittime non hanno denunciato prima?

Concorrono a questa spiegazione una serie di fattori e concause che hanno reso possibile il protrarsi degli abusi con l’insabbiamento da parte della USA Gymnastics che ha coperto Nassar a lungo.
Ma facciamo un salto indietro. Un salto (mortale) di qualche decennio. Fino all’inizio degli anni Sessanta, se si riguardano i vecchi filmati d’archivio, le atlete olimpiche che praticavano la ginnastica artistica avevano l’aspetto di donne adulte. Erano donne adulte. Facevano una ruota aggraziata, si mettevano in posa, et voilà, la prova era terminata.

Il mito della ginnastica artistica attuale si consolidò alle olimpiadi del 1976 quando la quattordicenne Nadia Comaneci, con i suoi perfect ten, si esibì in numeri tanto graziosi quanto complicati.

Nadia Comaneci era snella, elastica, flessuosa, con una tecnica impeccabile. Non sbagliò una virgola, né una presa. I suoi atterraggi furono perfetti. Dieci in tutto. Vittoria.
Divenne un mito per molte ragazzine, me compresa, e da quel momento la ginnastica artistica si fece largo nel cuore della gente e delle giovani atlete.
Ma cosa c’era dietro Nadia Comaneci, dietro alla sua leggerezza, dietro all’apparente naturalezza con cui volava da una parallela all’altra? C’era il regime di Ceausescu. C’erano allenamenti durissimi, sfinenti. C’era la ricerca ostinata della perfezione a qualunque costo. C’erano i coniugi Bela e Màrta Karolyi, i suoi allenatori, che operavano con tutta la violenza prescritta dai metodi del regime.
Ed è con i Karolyi che la storia di Nadia Comaneci si intreccia con quella delle atlete americane.
I Karolyi scapparono in America come rifugiati politici. Ottennero la cittadinanza. E iniziarono ad allenare ragazze, forti dei successi di Nadia.
Misero su una scuola, un ranch in cui le ragazze che ambivano alla fama olimpica trascorrevano la maggior parte del loro tempo, separate dai loro genitori. E continuarono con metodi coercitivi, umilianti, violenti, come in Romania. Picchiavano le atlete, le insultavano quando non eseguivano correttamente l’esercizio, imponevano loro regimi dietetici al di sotto delle mille calorie giornaliere, le facevano sentire grasse, incapaci e inadeguate. Continuamente.


Stiamo parlando di ragazzine, bambine o poco più, tutte minorenni, tutte lontane dai genitori.

Giovani donne con una personalità non ancora formata che, divenute vittime dell’abuso quotidiano, presto ne divennero assuefatte. Lo consideravano la normalità, il prezzo da pagare per realizzare il loro sogno.
Ed è qui che entra in scena Larry Nassar. Sposato, con il viso rassicurante del buon padre di famiglia, era il medico sportivo al ranch dei Karolyi. Si presentava come l’amico buono, quello che ascoltava le ragazze, che regalava loro cibo e caramelle. Le atlete si fidavano di lui. E lo lasciavano fare quando, durante i trattamenti, praticava loro penetrazioni anali e vaginali, giustificandole come manovre mediche. Non si ribellavano anche se si sentivano a disagio. Perché lui era quello simpatico. Quello che le difendeva.

Perché l’abuso porta all’abuso, crea terreno fertile per nuovi soprusi.

La violenza praticata con costanza condiziona la mente di chi la riceve, riduce l’autostima, abbassa la soglia di accettazione per altre violazioni.
Crea nella vittima la dissonanza cognitiva. Rende impossibile riconoscere un mostro, tanto più se si nasconde sotto sembianze gentili e affettuose.
Oggi tutte queste donne, molte delle quali ormai adulte, si definiscono delle sopravvissute e stanno cercando di voltare pagina.


Elena Genero Santoro

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