Gli scrittori della porta accanto

Saranno le donne a riscattare l'Africa?

Saranno le donne a riscattare l'Africa?

Di Stefania Bergo. Il decennio 2010-2020 è stato ribattezzato quello della «rivincita delle donne africane». Mai come ora, infatti, l'Africa sta cercando di riscattarsi per uscire da secoli di sfruttamento e diritti negati. E a giudicare dalle impronte lasciate in passato e dal fermento del nuovo millennio, saranno le donne a farlo.

Beppe Gaido, medico chirurgo missionario in uno sperduto ospedale del Kenya – il St. Orsola di Matiri, nell'arida regione del Tharaka – in Africa da 25 anni, ne è convinto. Lo ha ribadito in una intervista live sul nostro profilo Instagram e lo ha scritto nel suo ultimo libro, Madri, pubblicato da PubMe nella collana Gli Scrittori della Porta Accanto: «L'Africa si riscatterà e lo farà grazie alle donne». Ne sono convinta pure io, che in Africa ci ho vissuto due anni e di donne straordinarie che combattono piccole e grandi lotte quotidiane ne ho conosciute tante.

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Di donne che stanno rivoluzionando l'Africa dalle viscere, rivoltando antiche tradizioni che ne negano i diritti, ce ne sono tante. Ma se ne parla poco.

Fanno forse più scalpore i primati raggiunti dalle donne negli Stati Uniti o in Europa. Eppure, la potenza di queste donne africane è indiscussa, perché si scontrano con tradizioni millenarie che sottomettono la donna, quindi partono da presupposti decisamente penalizzanti, molto più che in occidente: non si tratta solo di un contesto discriminante, il più delle volte è proprio repressivo.
Proprio di ieri mattina è la notizia della morte del presidente della Tanzania e della successione della vicepresidente Samia Suluhu alla guida del paese. Dalla sua biografia si sa che è nata a Zanzibar nel 1960 ed è diventata la prima vicepresidente donna della Tanzania nel 2015, rieletta, insieme al presidente John Magufuli, per un secondo mandato nel 2020, e ora è la prima presidente donna del paese. Ha un diploma avanzato in amministrazione pubblica, un diploma post-laurea in economia presso l'Università di Manchester e un Master in Sviluppo economico comunitario. È in politica dal 2000, quando il presidente di Zanzibar, Amani Karume, l'ha eletta ministra del seggio speciale della Camera dei rappresentanti: era l'unica donna nel governo, discriminata dai suoi colleghi maschi. E ora è il loro presidente.

Donne africane: in Sudan e Kenya | Foto ©StefaniaBergo

Contrariamente a quanto pensavo, Samia Suluhu non è la prima presidente donna – o presidentessa, se preferite – di un paese africano.

Come indicato nel Progetto:Africa/8marzo, che ricorda alcune delle donne africane che hanno lasciato il segno nel loro continente, Ellen Johnson Sirleaf, economista, imprenditrice e politica, è stata la prima donna africana a raggiungere il ruolo di capo di stato, diventando presidente della Liberia nel 2005, oltre a essere stata direttrice del dipartimento africano del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite. Nel 2011 ha vinto il premio Nobel per la pace assieme all'attivista liberiana Leymah Gbowee e alla pacifista yemenita Tawakkul Karman.
In Mozambico, Luisa Diogo, economista e politica, è stata eletta nel 2004 Primo ministro del paese e ha dato il via a una campagna rivolta a tutti i governi africani per migliorare la qualità dell'assistenza medica, in particolare per le patologie sessuali e riproduttive, al fine di combattere la diffusione dell'AIDS e ridurre il tasso di mortalità infantile nel continente.
Agathe Uwilingiyimana, professoressa universitaria, una delle donne più influenti della storia del Rwanda, nel ruolo di ministro dell'istruzione ha abolito la differenziazione etnica nel sistema scolastico rwandese. È diventata Primo ministro nel 1993, ma è rimasta in carica un solo anno, fino al suo assassinio, avvenuto all'inizio del genocidio.
In Sud Africa, Lilian Ngoyi, attivista politica, è stata tra le principali promotrici della manifestazione di Pretoria del 1956 – ventimila donne si presentarono davanti al governo per protestare contro la "legge sui lasciapassare" che prevedeva che le donne di colore esibissero un lasciapassare e si sottoponessero a un esame medico preventivo per entrare in un'area urbana bianca. Nkosazana Dlamini-Zuma, medico e attivista politica, ha lottato contro l'apartheid a fianco di Nelson Mandela, si è battuta in favore dei rifugiati di guerra ed è diventata Ministro della Sanità del Sudafrica durante il governo di Thabo Mbeki.

Pace e letteratura: i Premi Nobel delle donne africane.

Nel 2004, Wangari Maathai è stata la prima donna africana a ricevere il Premio Nobel per la Pace, «per il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace». Ambientalista e veterinaria keniota, si è laureata nel 1971 presso l'Università di Nairobi per cui è stata direttrice del dipartimento di veterinaria. È stata anche presidente del Consiglio nazionale delle donne del Kenya, viceministro per l'ambiente del governo di Mwai Kibaki, e fondatrice di un'associazione indipendente dedicata alla salvaguardia del patrimonio forestale del suo paese.
Dopo di lei, nel 2011 hanno vinto il premio Nobel per la pace le già citate Ellen Johnson Sirleaf, Tawakkul Karman e Leymah Gbowee, che ha fondato la Women of Liberia Mass Action for Peace, attivando una serie di iniziative pubbliche non violente per la liberazione dall’oppressione nel suo paese.
Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana, vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Premio Nobel per la letteratura nel 1991, ha vissuto negli agi riservati alla razza bianca fino all'università. Qui, si è scontrata col razzismo del sistema scolastico sudafricano e si è schierata con i neri durante l'apartheid. Gran parte della sua produzione letteraria, infatti, è dedicata alle tensioni morali e umane legate alla segregazione razziale nel suo paese.

Donne africane: in Uganda ed Etiopia | Foto ©StefaniaBergo

Anche nello spettacolo le donne africane non hanno perso occasione di occuparsi di diritti per il proprio paese d'origine.

La celeberrima cantante jazz ed etnica sudafricana Miriam Makeba – che i più ricorderanno per l'indimenticabile Malaika o la frizzante Pata pata –, grazie al suo impegno politico e sociale è diventata delegata delle Nazioni Unite e nel 2001 ha ricevuto la Medaglia Otto Hahn per la Pace per il suo contributo alla lotta all'apartheid.
Un'altra meravigliosa voce africana, nel senso più ampio del termine, è quella di Angélique Kidjo, del Benin, che ho conosciuto musicalmente quando ho vissuto in Kenya, grazie alla sua canzone Emma – che poi è diventato il nome di mia figlia. Attivista per i diritti civili, anche per l'UNICEF, è conosciuta con l’appellativo di “Mama Africa”.
Lupita Nyong’o, giovane attrice cinematografica e teatrale, regista, doppiatrice e produttrice cinematografica di origini keniane, nel 2014 ha vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista del film 12 anni schiavo, di Steve McQueen. La rivista People l’ha nominata «la donna più bella del mondo».

«La rivincita delle donne africane»: le venti giovani donne più potenti dell’Africa secondo Forbes 2012, distinte nello sviluppo economico e tecnologico del continente.

Una lista di giovani imprenditrici e professioniste nel settore dello sviluppo tecnologico.
Tra esse, l'avvocato, programmatrice, blogger e web manager keniota di www.kenyanpundit.com Ory Okolloh, co-fondatrice, insieme a Juliana Rotich – nominata dal Guardian tra le 100 donne più importanti del 2011 e riconosciuta dal World Economic Forum come “Imprenditrice sociale dell’anno” nel 2014 – di Ushahidi, un’impresa sociale digitale che ha sviluppato un software opensource per la raccolta via mail e via sms e l’organizzazione in tempo reale di dati e informazioni relativi alle crisi umanitarie. Ha creato anche il blog Mzalendo, che pubblica e analizza il lavoro del parlamento keniota. Ingaggiata da Google, gestisce la Fondazione Millicom che promuove lo sviluppo digitale.
Marieme Jamme, senegalese, anch'essa blogger, è un'imprenditrice sociale, amministratore delegato di SpotOne Global Solutions e co-fondatrice di Africa Gathering, il primo sito di incontro tra domanda e offerta in ambito imprenditoriale e di consulenza sullo sviluppo in Africa, nominata dalla CNN tra le personalità tecnologiche più importanti del continente, «un must da seguire su Twitter».
Lorna Rutto ha fondato in Kenya l'impresa green Ecopost.co.ke che trasforma i rifiuti di plastica in materiale edilizio sostenibile, creando, oltre tutto, più di trecento nuovi posti di lavoro destinati principalmente alle donne.
Bethlehem Tilahun Alemu, etiope, a vent'anni ha creato una piccola fabbrica di sandali. Col tempo, la sua impresa è diventata un'azienda ecofriendly – SoleRebels – che vende in tutto il mondo calzature confezionate a mano con materiali naturali e riciclati. Ai suoi dipendenti garantisce uno stipendio equo e l’assistenza medica.


Tutte queste donne africane hanno prima di tutto riscattato se stesse, avendo studiato e raggiunto posizioni di prestigio da cui ora provano a riscattare le altre donne del continente.

Hawa Abdi, deceduta l'anno scorso, è stata una ginecologa somala e attivista per i diritti umani. Attraverso la sua fondazione ha salvato la vita a oltre 90mila profughi durante la guerra civile e fornito cure, protezione e istruzione a migliaia di donne e bambini.
Fatou Bensouda è una giurista gambiana eletta nel 2012 Procuratore capo della Corte Penale Internazionale, prima donna africana ad assumere un ruolo così importante nella giustizia internazionale. Oggi, presso il tribunale dell’Aja, che ha accusato in passato di essere «al servizio dell’uomo bianco occidentale», si batte per riuscire a perseguire i mandanti di genocidi e crimini di guerra.
Per la libertà di stampa si è battuta la pluripremiata giornalista congolese Solange Lusiku Nsimire, morta per una breve malattia nel 2018. È stata la prima donna a dirigere un giornale scritto nella provincia orientale del Sud Kivu, insignita di diversi riconoscimenti internazionali, tra cui il premio Courage in Journalism della International Women's Media Foundation (IWMF).
Nawal Al Saadawi, psichiatra, scrittrice e femminista egiziana, nota per la sua battaglia contro le mutilazioni genitali femminili, incarcerata come dissidente dal governo di Anwar al-Sadat, ripetutamente minacciata di morte, è emigrata negli Stati Uniti, dove ancora oggi, malgrado i 90 anni, si impegna per i diritti delle donne nel mondo arabo e non solo.
Mentre le donne accudiscono la famiglia e la casa, cucinano quello che loro stesse sono andate a comprare al mercato dopo ore di cammino, scendono al fiume a prendere l’acqua caricandosi le taniche gialle sulla schiena, percorrono chilometri interminabili o lavorano nei campi con i figli legati ai lombi, la maggior parte dei mariti siede comodamente nei pub, sorseggiando birra calda che entra subito in circolo e li rende sgradevoli, violenti a volte – ma forse, è così per tutti gli alcolisti, non solo qui.
Stefania Bergo, Con la mia valigia gialla

L'elenco di donne straordinarie è ancora lungo e molte di queste non sono nemmeno note al pubblico.

Sono donne come quelle che ho conosciuto in Kenya: madri di una moltitudine di figli, spose di mariti violenti o assenti, donne che reggono interi villaggi sulle spalle senza spezzarsi mai, anche se schiacciate da tradizioni tribali che le vogliono utero, forza lavoro e sostegno famigliare senza riconoscere loro anche diritti. Ma ho visto nel tempo anche queste tradizioni scalfirsi, ho visto donne fiere battersi forse non per se stesse, ma per le loro figlie.
Soprattutto qui, le donne sono semplicemente uteri. Hanno valore solo se riescono a mettere al mondo dei figli, perché i figli sono ricchezza. Se una donna non ne può avere, non è una buona moglie, non è un investimento per il proprio futuro. Ecco perché generalmente queste donne scelgono di salvare l'utero a tutti i costi e non danno il permesso di cambiare i piani operatori per nessun motivo: nemmeno in caso di emorragia grave e pericolo di vita.
La maggior parte delle volte non si tratta nemmeno di una scelta, ma di un loro dovere. La verità è che troppo spesso queste donne non hanno diritti. Beppe Gaido, Madri
Beppe Gaido ha ragione, l'Africa è in mutamento, sta cercando di riscattarsi da secoli e secoli di sfruttamento e diritti negati, rafforzando le gambe per partecipare alla corsa al pari degli altri paesi del mondo. E le gambe sono quelle belle e forti delle donne.

Stefania Bergo


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