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The week: focus sugli eventi tra il 18 e il 24 luglio

The week: focus sugli eventi tra il 18 e il 24 luglio

The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 18 e il 24 luglio? Biden in Medio Oriente, la guerra nello Yemen e in Ucraina, i rapporti di forza tra Arabia Saudita e Iran, l'adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord e Draghi in Algeria.

Questa settimana entro nel merito del viaggio in Medio Oriente del presidente Biden. Il tema mi permette di volgere uno sguardo alla tragica situazione dello Yemen e ai rapporti di forza tra Arabia Saudita e Iran. Nel mezzo, l’incontro di Tehran tra Russia e Turchia.
Nella seconda parte, mi concentro sull’Europa, passando dalla guerra in Ucraina al processo di adesione all’UE di Albania e Macedonia del Nord. Per finire, evidenzio la possibilità dell’Italia, nei prossimi anni, di diventare il perno centrale nella distribuzione dell’energia dall’Africa all’Europa orientale.



Penisola arabica e asse Mosca-Tehran

  1. Il viaggio in Arabia Saudita del presidente statunitense Joe Biden ha fatto molto discutere.

    Per una semplice premessa: in campagna elettorale, l’aspirante POTUS aveva definito l’Arabia Saudita un “paria” e aveva individuato nel principe ereditario Mohammad bin Salman, detto MbS, il mandante dell’omicidio di Jamal Khashoggi, editorialista del Washington Post. Il regno sostiene di aver già condannato i responsabili dell’assassinio, benché lo stesso presidente neo-eletto avesse reso pubblico il rapporto dell’intelligence americana sul fatto.

    Veniamo così al viaggio di luglio, iniziato il 13 in Israele e terminato tre giorni dopo con il summit tra Stati Uniti e Paesi del Gulf Cooperation Council (GCC), allargato a Egitto, Giordania e Iraq.

    Per la prima volta un presidente statunitense si è recato da Israele all’Arabia Saudita senza passaggi intermedi, data la riapertura dello spazio aereo saudita per i voli tra i due Paesi. Un dato simbolico che riflette però la rinnovata e precaria intesa tra i tre Stati in funzione anti-iraniana. Biden ha motivato la missione proprio sulle pagine del Washington Post, facendo emergere la ragione di Stato: gli USA hanno infatti bisogno di riaffermarsi in Medio Oriente, di fortificare l’alleanza con Israele, pur aprendo uno spiraglio al popolo palestinese (un modello che già il premier Draghi ha anticipato alcune settimane prima), riproponendo la soluzione dei due Stati, ma senza voler riaprire le trattative. Soprattutto, Biden sperava di poter discutere del caro-benzina nel suo Paese, aumentando la produzione di petrolio nei Paesi del Golfo per fronteggiare l’aumento dei prezzi. Su questo, però, non ci sono stati annunci pubblici.

    L’altro intento, quello di mettere in difficoltà i russi con una nuova proposta di mercato saudita, non sembra essersi tradotto in decisioni concrete.

    Secondo il ministro saudita per gli Affari esteri, Adel al-Jubeir, non ci sarebbe l’intenzione di rompere l’accordo OPEC+ con la Russia: infatti l’Arabia Saudita ha raddoppiato le importazioni di greggio russo per uso interno e ha esportato il proprio petrolio a prezzi più elevati. Inoltre, se è vero che gli Stati Uniti rimangono il principale partner per la sicurezza degli Stati del Golfo, i sauditi mantengono già rapporti commerciali con la Cina, dopo che una società saudita ha firmato un accordo con un’azienda statale cinese per costruire droni in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti.

    I rapporti con l’Iran si giocano su un’apparente incoerenza: punirlo con sanzioni, se necessario, ma riaprire il dialogo sul programma nucleare, dopo il ritiro degli USA dall’accordo (JCPOA) sotto la presidenza Trump, nel 2018.

    L’approccio vuole essere multilaterale, ma rimane sempre su una linea “cerchiobottista”. D’altra parte, a smentire la timida apertura a Tehran, c’è proprio il fronte anti-iraniano, restio a ogni concessione.
    Biden ha poi rivendicato di aver fermato le stragi in Yemen (ma al contempo, in Israele, non ha mosso critiche sulla Cisgiordania occupata, limitandosi a versare milioni di aiuti ai palestinesi) e di aver parlato chiaro con MbS sulla morte di Khashoggi. Lo stesso MbS ha però rilanciato con il ricordo delle violenze inflitte dai soldati americani ai prigionieri del carcere di Abu Ghraib e la recente morte di Abu Akleh, giornalista di Al Jazeera, uccisa dall’esercito israeliano. Il pugnetto di saluto tra i due leader, immortalato in uno scatto, ha creato più scalpore di qualsiasi giustificazione di realpolitik.
    Vero è che nelle relazioni diplomatiche non si possa sempre avere a che fare con partner ideali e che purtroppo nascano di continuo necessità che impongono un compromesso. Si può però discutere dell’opportunità di certe scelte, entrando nel merito e valutando quanto sia alto il loro costo morale e che cosa, eventualmente, possa compensarlo. Sul viaggio di Biden in Medio Oriente e sull’Arabia Saudita – treccani.it, eastwest.eu, formiche.net, bbc.com, aljazeera.com, cnn.com e foreignpolicy.com

  2. La guerra in Yemen dura dal 2015.

    Ho citato poco fa lo Yemen e, in questo sguardo in Medio Oriente, vale la pena ricordare la situazione critica di questo Stato.
    La guerra dura dal 2015: l’Arabia Saudita era intervenuta dalla parte del governo, fallendo l’operazione, e il conflitto è ormai degenerato in una sorta di guerra civile, in cui si mescolano molti fattori. Ad aprile 2022, l’ONU ha mediato una tregua, rinnovata fino al prossimo 2 agosto. Riyadh ha spinto il presidente yemenita Hadi alle dimissioni, seguite dalla costituzione di un Consiglio presidenziale di otto membri. In particolare, i sauditi stanno combattendo gli Houthi, che controllano territori come la capitale Sana’a, con ricchi siti petroliferi, e le sponde del Mar Rosso. Gli Houthi rappresentano una milizia sciita, sostenuta dall’Iran, che controlla il nord-ovest dello Yemen. Il loro dominio autoritario ha portato negli anni a confiscare proprietà, imporre dazi su petrolio e telecomunicazioni, alimentare la tortura verso i dissidenti, arruolare bambini-soldato, per un totale di oltre diecimila bambini dal 2014.

    La tregua ha permesso l’arrivo di aiuti umanitari, di alimenti (importati per il 90%) e carburante, ma gli Houthi tengono ancora chiuse alcune aree, come Taiz, terza città del Paese e capitale culturale-religiosa, in cui risiede il governo riconosciuto, tenuto sotto assedio.

    L’Arabia Saudita ha però rinunciato, per il momento, a riprendere i bombardamenti sullo Yemen.
    Negli altri territori formalmente tenuti dal governo, si assiste a una frammentazione del potere, motivo per cui i sauditi hanno sostenuto la creazione di un consiglio al posto di una nuova presidenza. Inoltre, nel meridione, in città come Aden, sono nate proposte popolari a causa dell’aumento del costo della vita, per la disoccupazione e per l’inefficienza dello Stato. In queste proteste, spesso si infiltrano gruppi estremisti islamici, tra cui il partito Islah (Fratelli mussulmani e parte dei salafiti), che peggiorano la situazione. A livello di vertici politici, invece, si innestano gli interessi degli Emirati Arabi Uniti, pur schierati al fianco dell’Arabia Saudita.
    È per queste ragioni critiche che il dossier sul nucleare iraniano si rivela urgente, dato che l’Iran mantiene questa guerra per procura con lo scopo di indebolire i sauditi. Oltre all’ONU, su spinta statunitense, anche l’Oman sta mediando tra sauditi e Houthi, che hanno così ripreso timidi colloqui. Sullo Yemen – affarinternazionali.it e formiche.net

  3. Vengo infine proprio all’Iran. Josep Borrell, Alto rappresentante europeo agli Affari esteri, ha incontrato Hosei Amir Abdolahian, ministro degli Esteri iraniani, per discutere della ripresa dei negoziati in merito all’accordo sul nucleare del 2015.

    La trattativa è destinata a protrarsi a lungo, anche a fronte della risoluzione del Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), che ha accusato l’Iran di scarsa trasparenza. In risposta, Tehran ha spento ventisette telecamere di sorveglianza installate nei siti dell’AIEA: il direttore, Rafael Grossi, ha affermato che lo Stato potrebbe dotarsi dell’atomica in poche settimane.
    Intervistato da Al Jazeera, Kamal Kharrazi, consigliere del leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato che l’Iran possiede la capacità tecnica per costruire la bomba nucleare. Perché non l’ha già costruita? Il Paese utilizza questo strumento per fare leva sulla revoca delle sanzioni. La dichiarazione è giunta proprio quando Biden stava tornando negli Stati Uniti e prima che si svolgesse l’incontro tra i presidenti Ebrahim Raisi, Recep Tayyip Erdoğan e Vladimir Putin.

    Tra i temi trattati, anche la questione del grano ucraino.

    Già a Istanbul si erano confrontate le delegazioni ucraina, russa, turca e delle Nazioni Unite e di recente è stato firmato un primo flebile accordo. In secondo luogo, l’evento si svolge sulla scia del rafforzamento dell’asse Mosca-Tehran e ha segnato la firma di un accordo con cui Gazprom si impegna a investire quaranta miliardi di dollari nel settore petrolifero iraniano. L’Iran potrebbe a sua volta fornire droni da ricognizione e da combattimento ai russi.
    La scorsa settimana citavo però la questione siriana. Se Russia e Iran sono allineate a difesa del regime di Damasco, la Turchia sostiene invece i miliziani che si oppongono al presidente Bashar al Assad, a Nord della Siria. I turchi fanno riferimento a una zona di sicurezza, lunga trenta chilometri, in cui vorrebbero inviare centinaia di migliaia di rifugiati siriani. Per approfondire il ruolo geopolitico della Turchia in questo momento storico, il consiglio di lettura di questa settimana è La Turchia di Erdoğan (Il Mulino, 2022) della professoressa Valentina Rita Scotti. Sull’incontro trilaterale in Iran – ansa.it, euronews.com e saudigazette.com


Guerra in Ucraina

In settimana ha fatto discutere la decisione del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj di licenziare la procuratrice generale, Iryna Venediktova, e il capo dei servizi segreti, Ivan Bakanov.
Secondo le sue parole, una sessantina di dipendenti degli uffici che essi dirigevano stavano collaborando con i russi nei territori occupati. Sono stati così aperti oltre seicento casi di alto tradimento.
Di Venediktova avevo in realtà già parlato indirettamente in questa rubrica, quando scrissi dei primi processi per crimini di guerra contro i soldati russi. Ora il suo lavoro passa nelle mani del vice, Oleksy Symonenko. Di Bakanov non si conosce ancora il successore. Questi è un ex attore comico e amico del presidente, che era già stato accusato di essere inadatto al ruolo. Questo cambio ai vertici risponde infatti non a un loro personale tradimento, ma all’esigenza di cambiare linea: nel caso di Venediktova, verso indagini per crimini di guerra più attente al raccogliere prove che al voler emanare sentenze premature; nel caso di Bakanov, per accrescere il grado di competenza in un settore chiave della difesa del Paese.

Serghei Lavrov ha annunciato che gli obiettivi militari russi riguarderanno altri territori.

Sempre per coloro che non credono alle “cattive intenzioni” russe, il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, a Russia Today, ha annunciato che gli obiettivi militari russi non saranno più concentrati solo sull’Ucraina orientale e il Donbass, ma riguarderanno altri territori, confermando una situazione già in atto dal primo giorno di conflitto. Ha inoltre affermato che al momento non abbia alcun senso riprendere i colloqui di pace. La first lady ucraina, Olena Zelens’ka, ha così chiesto al Congresso statunitense di inviare nuovi sistemi di difesa aerea. Al momento, secondo il segretario alla Difesa Lloyd Austin, gli Himars statunitensi e gli altri sistemi alleati stanno facendo la differenza sul campo e i russi, negli ultimi trenta giorni, sono avanzati di appena quattordici chilometri. Sui servizi segreti ucraini – ilpost.it | Sulle ultime dichiarazioni russe sull’Ucraina – ansa.it e adnkronos.com

Negoziati di adesione all’UE: Albania e Macedonia del Nord

Spostandoci ai Balcani, in settimana sono stati aperti i negoziati di adesione all’Unione Europea per l’Albania e la Macedonia del Nord. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, lo ha definito un momento storico, sottolineando la fiducia dei due Paesi e l’impegno nell’aver rafforzato lo stato di diritto, combattuto la corruzione e realizzato riforme economiche.
Il presidente albanese Edi Rama, in una dichiarazione alla stampa a Bruxelles, ha commentato che senza l’impegno della presidente della Commissione, dell’ex cancelliera Angela Merkel e del presidente Emmanuel Macron questo processo era destinato ad arenarsi.
I colloqui di adesione erano già stati rallentati dai dubbi sollevati da alcuni Paesi membri, tra cui la Grecia, per ragioni economiche o storiche, queste ultime legate alla denominazione della Macedonia, la cui dicitura “del Nord” è stata aggiunta per soddisfare una richiesta greca. Ma anche la Bulgaria si era messa di traverso, chiedendo che la Macedonia del Nord modificasse la costituzione per riconoscere una minoranza bulgara. Con la mediazione francese, Sofia ha infine rinunciato al veto. Su Macedonia del Nord e Albania – ansa.it e ilsole24ore.com

Mario Draghi in Algeria

L’ultimo tema di questo The Week riguarda il nostro Paese. Non entro nel merito della crisi di governo, ma riporto quanto realizzato dal premier Mario Draghi nel suo viaggio in Algeria.
Il quarto vertice intergovernativo di Algeri ha portato a un’intesa che non riguarda soltanto il gas, di cui l’Algeria diventa il primo esportatore per l’Italia, scalzando la Russia, ma anche accordi industriali e tecnologici.
L’Algeria fornirà quattro miliardi di metri cubi di gas in più all’Italia e sono previsti futuri accordi per allargare la fornitura, che al momento prevede un contratto per trenta miliardi di metri cubi all’anno. L’accordo ha coinvolto Eni, Occidental e Total. Toufik Hekkar, amministratore delegato della Sonatrach, ha commentato che la Penisola potrebbe diventare la porta d’ingresso del gas algerino verso i mercati dell’Europa orientale. Ricordo che altri accordi simili potrebbero coinvolgere Spagna e Italia (ne ho parlato in un precedente post), rendendo di fatto l’Italia il perno centrale nella distribuzione di questa materia.

Oltre al gas, risultano accordi per le infrastrutture stradali e marittime e per le imprese, con lo sviluppo di startup, la condivisione di informazioni per la promozione di investimenti, gli incentivi alle microimprese italiane a investire in Algeria.

E ancora, vengono coinvolti altri settori, tra cui la cooperazione scientifica e di ricerca in settori come l’industria metallurgica, chimica e agroalimentare, e la cooperazione nella protezione e promozione del patrimonio culturale.
In sostanza, quel processo di posizionamento geopolitico dell’Italia nel Mediterraneo potrebbe prendere forma proprio grazie ad accordi come quello algerino e con i futuri sviluppi spagnoli. L’occasione è rara e molto promettente, nella speranza che i governi dei prossimi anni sappiano coglierne la portata. Sugli accordi con l’Algeria – adnkronos.com e ilsole24ore.com


Argyros Singh


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