The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 10 e il 23 ottobre? Il Nobel per la pace e la situazione in Ucraina, la questione energetica, le proteste in Iran e il terzo mandato di Xi Jinping.
Molte le notizie internazionali di questo The Week: dalle novità sul campo in Ucraina alle ultime decisioni europee in merito alla crisi energetica; dall’inasprimento della repressione in Iran alla definitiva consacrazione al potere cinese di Xi Jinping.- Nobel per la pace, controffensiva a sud e la minaccia nucleare
- La questione energetica
- Terrorismo interno iraniano
- Il trionfo di Xi Jinping
Nobel per la pace, controffensiva a sud e la minaccia nucleare
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Il premio Nobel per la pace di quest’anno è quanto mai connotato dalla politica internazionale, e non potrebbe essere altrimenti.
Tre i destinatari del premio: l’attivista bielorusso per i diritti civili Ales Bialiatski, l’organizzazione non governativa russa Memorial e il Centro per le libertà civili ucraino. La motivazione della Commissione è relativa al loro impegno «in difesa dei diritti umani e del diritto di criticare il potere; di difesa dei diritti dei cittadini per i diritti dei cittadini e contro gli abusi di potere; per aver documentato crimini di guerra». In particolare, la ONG Memorial ha una storia importante, essendo stata fondata in Russia, nel 1987, da Andrei Sacharov, già premio Nobel per la pace nel 1975. Al fronte sud dell’Ucraina, l’esercito difensore sta avanzando da settimane ed è giunto nei pressi della città di Kherson.
Una crisi dell’esercito russo che ormai è riconosciuta dagli stessi mezzi di informazione della Federazione, che parlano di una situazione «difficile».
Sul fronte orientale, l’Ucraina ha ripreso il controllo di Lyman, importante snodo dei trasporti e può ora avanzare verso Svatove. A livello strategico, però, è possibile che gli ucraini scelgano di fermarsi a est, avendo anche ottenuto territorio in profondità, per evitare il rischio di essere accerchiati da un attacco da nord, direttamente dal confine russo. Più opportuna la liberazione delle terre a sud, dal momento che la riconquista di Kherson infliggerebbe un duro colpo ai russi, peggiore di quello inferto con l’attacco al ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea. L’infrastruttura è stata in parte danneggiata, rallentando il traffico d’armi e di merci verso la Crimea e l’obiettivo ucraino è di rendere il ponte inaccessibile, in modo tale da costringere i russi a seguire la via di Mariupol’, più lunga e sotto il tiro dell’artiglieria ucraina. Il ponte era stato inaugurato nel 2018, quattro anni dopo l’annessione illegale della Crimea, ed era stato definito da Putin un miracolo di ingegneria.
Non essendo capace di riprendere l’offensiva, l’esercito russo ha ripreso a bombardare obiettivi strategici.
Come le centrali elettriche, anche nelle regioni occidentali, e non strategici, come abitazioni civili, in una nuova serie di crimini di guerra che mira a sfiancare il morale del fronte interno.
In queste settimane, si è tornati a parlare anche della minaccia nucleare, un tema, in realtà, molto diffuso nei media italiani e meno in quelli internazionali, con il Cremlino stesso che, per bocca del ministro degli Esteri Sergej Lavrov, ha dichiarato che la dottrina nucleare russa preveda l’impiego del nucleare quale ultima scelta possibile per evitare l’annientamento della Federazione.
Bisogna intendersi su questo: l’impiego di armi nucleari tattiche rimane una possibilità per l’esercito russo, ma se questa strada venisse percorsa, la Federazione andrebbe incontro a un danno irrimediabile. Prima di tutto, nelle relazioni internazionali, perché è verosimile che persino la Cina prenderebbe le distanze da questa soluzione; per non parlare delle ripercussioni – le radiazioni – che potrebbero coinvolgere la stessa Russia. In ultima analisi, l’uso di armi nucleari segnerebbe una ulteriore rottura con la popolazione colpita e la necessaria reazione della NATO. A fronte di queste gravi conseguenze e di un guadagno tutto da quantificare, è molto improbabile che Putin le impieghi.Sul lato dei negoziati, il presidente Recep Tayyip Erdoğan continua a tessere la tela degli interessi turchi tra il Mar Nero e il Mediterraneo.
Dopo aver sentito Putin in occasione dei settant’anni di quest’ultimo, Erdoğan ha dichiarato di mantenere contatti costanti tra lui e Zelens’kyj. I due leader si sono incontrati ad Astana, in Kazakhstan, al margine del summit della CICA, ente per l’interazione e il rafforzamento della fiducia in Asia. Secondo il portavoce russo Dmitrij Peskov, però, non si è parlato della risoluzione del conflitto, ma Ankara si è preoccupata di coltivare i propri interessi tramite l’esportazione di prodotti russi.
Nel frattempo, Putin ha attuato un nuovo giro di vite ai vertici e ha nominato il generale Sergej Surovikin, soprannominato “il macellaio di Aleppo”, nuovo comandante per le operazioni militari in Ucraina. Esponente dell’ala nazionalista e oltranzista, la nomina “forte” di Surovikin dà l’idea di come la guerra, per i russi, sia giunta a una fase critica.
Un rinnovato sostegno ai russi è giunto dal presidente bielorusso Aljaksandr Lukašėnka, che ha annunciato lo schieramento di nuove truppe in un commando congiunto con Mosca.
L’assurdo pretesto: le voci su un potenziale attacco di Kyïv contro la Bielorussia (!).
D’altra parte, l’alleato cinese si è esposto, attraverso la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning, chiedendo una de-escalation immediata. All’invito si è unito anche il corrispettivo politico indiano.
A seguito dei nuovi attacchi russi nelle retrovie ucraine, l’UE si è compattata dopo giorni di contese sul tema dell’energia. In particolare, la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha usato parole dure in un tweet: «L’unica via di uscita che il Cremlino dovrebbe cercare è quella di lasciare l’Ucraina. I miei genitori mi hanno insegnato presto come comportarmi con i bulli: la pacificazione non funziona. La pacificazione non ha mai funzionato. La pacificazione non funzionerà mai».
Sul fronte degli alleati dell’Ucraina, il presidente statunitense Joe Biden ha annunciato l’invio di due sistemi avanzati di difesa aerea noti come NASAMS.
Altri sei verranno consegnati più avanti. Anche la Germania si sta preparando a fornire quattro sistemi IRIS-T. Il Dipartimento di Stato statunitense ha inoltre commentato gli effetti delle sanzioni: tra le conseguenze per la Russia, la necessità di depredare le compagnie aeree per recuperare le componenti che non può più acquistare sul mercato estero. Dai semiconduttori ai missili balistici ipersonici, la produzione interna è quasi cessata, costringendo i russi, nel secondo caso, ad attingere alle scorte dell’epoca sovietica.Ora, l’attenzione sul campo è rivolta alla controffensiva ucraina per la liberazione di Kherson, che sembra imminente.
L’evacuazione della città è durata giorni e ha coinvolto oltre cinquantamila civili tra Kherson e le zone occupate a ovest del fiume Dnipro. L’Ucraina ha ribadito il carattere violento e forzato di questi trasferimenti di persone. Inoltre, secondo il capo ucraino dell’amministrazione militare regionale di Mykolayiv, Vitaly Kim, i russi starebbero evacuando l’area per poterla bombardare. Più che la minaccia atomica, il pericolo reale è che Kharkiv possa fare la fine di Groznyj, capitale della Cecenia rasa al suolo nel 1999 proprio dai russi.
Per il Cremlino, Kharkiv rappresenta più una questione di prestigio interno che una posizione chiave da mantenere. Non a caso sembra che la Russia stia progettando di spostare la capitale della regione a Henichesk, città vicina alla Crimea e più facile da difendere.
Nel contesto del riassetto organizzativo e amministrativo della Federazione, e quale reazione all’attacco al ponte di Kerch, Putin ha firmato un nuovo documento che prevede tre livelli aggiuntivi di sicurezza interna. La Crimea e le regioni di Belgorod, Kursk e Krasnodar rientrano nel livello più alto. Le autorità regionali avranno maggiori poteri discrezionali, a partire dalla difesa territoriale, e potranno ordinare evacuazioni e restrizioni ai viaggi. Nel testo ufficiale si usa l’espressione «dislocare la popolazione»; in una parola: deportazione, che – per presunte ragioni di sicurezza – potrebbe coinvolgere i territori occupati, considerati territorio della Federazione a seguito dei referendum farsa.
Ucraina
di Argyros Singh |
La questione energetica
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Nello scorso The Week avevo accennato alla portata storica del vertice di Praga, che sarà quantificabile solo negli anni a venire.
Al Consiglio europeo del 20-21 ottobre, sono state sintetizzate alcune delle proposte avanzate in Repubblica Ceca.
Il confronto più aspro c’è stato tra la posizione francese, al fianco dell’Italia nell’adozione di un tetto ai prezzi del gas, e quella tedesca, supportata da altri Paesi nordici, per il timore che l’UE ricevesse meno gas. Il presidente Emmanuel Macron ha invitato i tedeschi ad agire negli interessi dell’Unione, riferendosi in particolare allo scudo da duecento miliardi sull’energia che i tedeschi hanno adottato in solitaria. Il cancelliere Olaf Scholz ha però risposto che la Germania aderisce già alla solidarietà europea tramite il Recovery Fund e il RePowerEU.
Distante da ogni convergenza, come di consueto, l’Ungheria, che ha parlato di un suicidio economico, pretendendo che l’UE esentasse gli ungheresi dal tetto, come fatto con il petrolio.
Il premier Mario Draghi, al suo ultimo vertice, è intervenuto per ribadire l’urgenza delle misure energetiche, incentrate su price cap e Sure, chiedendo inoltre che il mandato dei Paesi membri dell’UE fosse più chiaro e concreto.
Draghi ha proposto che l’UE raggiunga una capacità di spesa comune per ridurre le disparità tra quei Paesi che hanno o meno lo spazio fiscale per finanziare misure anticrisi. A tal fine, servirebbe un fondo comune per mitigare l’effetto dell’aumento delle bollette. Sulla stessa linea, Metsola ha auspicato che l’UE studi un meccanismo di approvvigionamento congiunto.
Alla fine, dopo quasi dodici ore di riunione, il Consiglio europeo è giunto a un’intesa. I ventisette Paesi hanno dato pieno mandato alla Commissione per adottare decisioni sul price cap al Ttf di Amsterdam, a patto che si tratti di misure temporanee e che non mettano a rischio le forniture. È stato confermato l’acquisto congiunto di gas e la creazione di un nuovo benchmark complementare che rifletta le condizioni del mercato del gas. Sul tavolo della Commissione, quaranta miliardi di euro inutilizzati dal bilancio 2014-2020, che andranno probabilmente integrati con ulteriori fondi.
Venendo al nostro Paese, secondo le simulazioni ISPI che cito in fondo, l’Italia dovrebbe arrivare a marzo in sicurezza ma, a quel punto, dovrà utilizzare le riserve strategiche nazionali.
Per prevenire le conseguenze di un inverno rigido, però, è necessario accelerare con le infrastrutture necessarie a facilitare l’importazione di gas liquido e non solo. In parallelo, privati cittadini e comuni hanno già adottato misure per il risparmio, dovute anche al costo elevato delle bollette energetiche. Negli ultimi tre mesi, i consumi di gas italiani hanno registrato un calo dell’8,5%, arrivato al 13,8% solo a settembre, rispetto all’anno scorso.
Il cosiddetto Decreto Riscaldamento varato dal governo Draghi ha posticipato il periodo di accensione autunnale e ha ridotto le ore di possibile utilizzo dei sistemi di riscaldamento per giornata. Ora questo pesante tema passa nelle mani del nuovo esecutivo, guidato da Giorgia Meloni. Uscendo dall’Italia, l’incontro ad Astana tra Putin ed Erdogan si è concentrato anche sulla proposta russa di trasformare la Turchia nel più grande hub del gas in Europa.
L’obiettivo dichiarato di Putin è cercare un luogo in cui reindirizzare le forniture dei gasdotti Nord Stream e fare in modo che questo hub possa determinare i prezzi del gas a livello globale. L’incontro tra i due leader è ormai il quarto degli ultimi quattro mesi, dopo quelli di Tehran, Soči e Samarcanda.
Spostandoci a sud della Turchia, vale la pena segnalare l’accordo tra Libano e Israele, che mira a risolvere la disputa sui confini marittimi con giacimenti di gas. L’intesa, mediata dagli USA, permetterà ai due Paesi di avviare l’esplorazione energetica offshore, portando sollievo soprattutto alla disastrata economia libanese. Il giacimento di Karish è sotto controllo israeliano, mentre le riserve di Cana, ancora da esplorare, verranno spartite: il controllo dello sfruttamento rimarrà al Libano, con la licenza della francese Total e una quota dei ricavi riservata a Israele.
Rimane ancora esclusa la questione dei confini terrestri, dopo decenni di scontri armati tra l’esercito israeliano e Hezbollah: il leader politico di quest’ultimo gruppo, Sayyed Hassan Nasrallah, ha comunque fatto sapere che rispetterà la posizione ufficiale del governo libanese. A oggi, però, il Libano non riconosce lo Stato di Israele e lo considera un nemico. Nella politica interna israeliana, il premier Yair Lapid è stato criticato dagli ultraortodossi di estrema destra, che sostengono Benjamin Netanyahu, per aver concesso troppo al Libano. Questa stabilizzazione ha comunque il pregio di poter assicurare all’Europa una nuova alternativa energetica.
Terrorismo interno iraniano
In queste settimane si è tornato a parlare del supporto iraniano alla guerra in Ucraina, con forniture all’esercito russo.
Si tratta in particolare dei droni Shahed-136, impiegati per colpire le infrastrutture energetiche, ma anche gli edifici residenziali. Diversi analisti, e lo stesso Zelens’kyj, ritengono che questo sia un ulteriore segnale di come la Federazione stia esaurendo le alternative militari e politiche.
Il rappresentante iraniano alle Nazioni Unite, Amir Saeid Iravani, ha affermato che il Paese non fornisce droni alla Russia: per poter trasferire materiali e tecnologie militari, l’Iran avrebbe bisogno dell’approvazione dell’ONU. Il vice ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Dmitrij Polyanskiy, ha sostenuto che i droni fossero stati fabbricati in Russia. In queste dichiarazioni potrebbe esserci del vero e si tratterebbe semplicemente di un meccanismo bilaterale inteso ad aggirare il divieto. D’altra parte, in un tweet, lo stesso Ali Khamenei ha dichiarato che le imprese produttrici, espressione dell’élite iraniana, portino onore al Paese.
Avendo dunque violato la risoluzione 2231 dell’ONU, Stati Uniti, Francia e Regno Unito intendono affrontare il discorso al Consiglio di Sicurezza.
Secondo il New York Times, la fornitura dei droni sarebbe solo una parte del coinvolgimento iraniano nella guerra russa, dal momento che in Crimea ci sarebbero membri delle Guardie della Rivoluzione islamica in veste di istruttori per l’impiego di queste armi.
L’Unione Europea si è mossa con veloci sanzioni a personalità e società iraniane interessate dall’affare; l’Iran ha risposto con azioni speculari. Anche Israele sembra si stia smarcando dalla sua iniziale neutralità: secondo il ministro israeliano per la Diaspora, Nachman Shai, a fronte dell’assistenza iraniana alla guerra, è giunto il momento che l’Ucraina riceva aiuti militari dal Paese. Oltre a Israele, molti sarebbero interessati dall’indebolimento della Repubblica islamica, attore scomodo nelle dispute in Medio Oriente, dall’Iraq al Libano, fino allo Yemen.Sul fronte interno, la repressione delle proteste si è fatta ancora più dura. Cresce il numero di morti e feriti.
Ha fatto parlare l’uccisione di una sedicenne ad Ardabil, nel nord-ovest dell’Iran: si chiamava Asra Panahi, ed è morta in ospedale per le percosse ricevute dalle forze di sicurezza. L’azione violenta era scoppiata a seguito del rifiuto di molti studenti di cantare un inno che elogiasse il leader supremo. Come nel caso di Masha Amini, i funzionari hanno addotto il pretesto di un problema di salute, in questo caso cardiaco.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha espresso le sue preoccupazioni per la feroce repressione, che avrebbe già portato alla morte di almeno ventitré bambini, secondo la portavoce dell’Ufficio, Ravina Shamdasani. Alcuni bambini sono stati arrestati insieme ai dirigenti che hanno rifiutato di collaborare: sembra che verranno mandati in “centri psicologici”, ovvero luoghi di indottrinamento.
Un altro simbolo di questa protesta è diventata Elnaz Rekabi, l’atleta iraniana che ha gareggiato senza velo ai Campionati asiatici in Corea del Sud.
Si erano perse le sue tracce dopo la gara; aveva poi dichiarato che il velo le fosse caduto inavvertitamente. Rientrata nel suo Paese, all’aeroporto di Tehran è stata comunque accolta da una folla acclamante.
A oggi, secondo l’ONG Iran Human Rights, si stimano oltre duecento vittime dall’inizio delle proteste. Oltre ottocento sarebbero i manifestanti arrestati nella sola provincia settentrionale di Gilan, stando alle parole del vice comandante delle forze di polizia della provincia, Hossein Hassanpour.
Il trionfo di Xi Jinping
Si è svolto a Pechino il ventesimo Congresso Nazionale del Partito comunista cinese (PCC), che si tiene ogni cinque anni: duemilatrecento i delegati, che hanno assistito alla conferma di un inedito terzo mandato per il segretario generale Xi Jinping, che diverrà così il leader cinese più longevo dai tempi di Mao Zedong.Nel 2018, il segretario aveva fatto approvare una riforma che eliminava il limite di due mandati per la presidenza e, al congresso dell’anno precedente, non aveva indicato un possibile successore, com’era consuetudine tra i vertici di partito.
Xi, in carica dal 2013, ha attuato una politica di accentramento del potere, partendo da una massiccia campagna anticorruzione, che aveva portato alla rimozione di un milione e mezzo di funzionari, compresi membri del Politbjuro e alti generali. Il segretario ha ridotto la condivisione delle scelte politiche ai vertici, che si sono così trasformati in semplici organi per la ratificazione delle decisioni.
Nel suo discorso al Congresso, il segretario ha parlato di «tempeste pericolose» che minacciano la Cina, a partire dal rallentamento dell’economia a causa della politica “zero Covid”, che ha di fatto relegato in casa una larga fetta della popolazione, con metodi di repressione durissimi.
Xi ha parlato dell’importanza dell’innovazione scientifica e tecnologica per garantire una crescita duratura al Paese. Per ora, i ripetuti lockdown e la lotta alle imprese private hi-tech come Alibaba, ha portato a un secondo trimestre con un PIL al +0,4%. Il segretario ha promesso il raddoppio dei dati sull’economia entro il 2035, ma per farlo ci vorrebbe una crescita media annuale del 5%: secondo il FMI, nel 2022 la Cina non supererà il +3%.In politica estera, il segretario ha affermato di voler raggiungere un’unificazione pacifica con Taiwan, al centro di tensioni internazionali: non ha comunque escluso l’utilizzo della forza per risolvere quella che è considerata una questione del popolo cinese. Proprio questa aggressività espansionista sta creando molti dubbi tra i possibili alleati asiatici. D’altra parte, la stessa alleanza con la Russia sembra piuttosto debole: posto che la Cina abbia ribadito più volte l’importanza del rispetto della sovranità nazionale, gli interessi economici del gigante asiatico si stanno concentrando a sud della Russia. Solo per citare un esempio, la Cina ha firmato accordi per sedici miliardi di dollari con l’Uzbekistan, cifra ben al di sopra degli accordi da 4,6 miliardi di dollari concordati con la Russia. Intese analoghe sono state raggiunte con il Kazakhstan.
L’idea di una nuova Via della Seta, che si snodi dal Pacifico al Mediterraneo, sta quindi prendendo strade alternative alla Federazione, non senza la reazione degli Occidentali.
Molti Paesi, tra cui gli USA, hanno negato ai cinesi le loro tecnologie, proibendo l’esportazione di chip lavorati con tecnologie americane. A Oriente, Giappone e Sud Corea sono tra i principali promotori del contenimento economico-militare cinese.Al Congresso, Xi Jinping ha introdotto ufficialmente la propria filosofia politica in seno al comunismo: un atto rilevante, dal momento che in passato solo Mao Zedong e Deng Xiaoping avevano attuato modifiche al modello costituzionale cinese. Al centro del suo pensiero, la sicurezza nazionale, espressione impiegata per ben ventisei volte nel suo discorso: pur non nominando gli Stati Uniti, i riferimenti sono stati molteplici e inequivocabili. Sulla Cina – ilpost.it, nytimes.com, cnn.com, ilpost.it, corriere.it e formiche.net
Argyros Singh |
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