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Speciale The week: l'Africa occidentale

Speciale The week: l'Africa occidentale

The week Di Argyros Singh. Uno speciale sugli eventi che hanno segnato la geopolitica e l'attualità africana nell'estate 2022: focus su Marocco, Algeria, Burkina Faso, Mali e Niger.

Il continente africano è tornato al centro del dibattito non solo mediterraneo, ma internazionale: vi si intrecciano interessi statunitensi, cinesi e russi, ma anche arabi, indiani ed europei. Il pericolo concreto di una nuova “spartizione dell’Africa” minaccia gli interessi dei popoli che la abitano, già colpiti da gravi problemi ambientali (desertificazione, siccità), economici (depauperamento del suolo, caccia alle risorse) e sociali (terrorismo, conflitto etnico).

  1. Marocco vs Algeria: controllo sul Sahara occidentale
  2. La crisi alimentare e politica nella fascia del Sahel
  3. Burkina Faso: crisi umanitaria e lotta al terrorismo
  4. Il Mali
  5. Il Niger: tra trafficanti di droga e il progetto del nuovo gasdotto e oleodotto


1. Le relazioni diplomatiche tra Marocco e Algeria sono peggiorate, a causa del controllo di un’area a sud del Marocco, definita Sahara occidentale, in cui vive il popolo saharawi.

La situazione è divenuta più tesa quando il premier spagnolo Pedro Sánchez ha deciso di schierarsi a favore del Marocco, fatto che spiega anche il maggiore interesse algerino a stringere accordi con l’Italia.
Il Marocco accusa Algeri di dare supporto logistico al Fronte Polisario, che lotta per l’autonomia. I due Stati hanno storie recenti in parte divergenti: il Marocco più vicino agli Stati Uniti, tanto da stringere accordi con Israele nonostante si tratti di un Paese mussulmano (in cambio, Rabat ha ottenuto l’apertura statunitense sul territorio conteso); l’Algeria, invece, è storicamente vicina all’ex URSS, tuttora acquista molte armi dalla Russia e, in passato, aveva dato rifugio ai profughi saharawi.
Rabat non intende concedere l’autonomia al Sahara occidentale, perché – ça va sans dire – l’area possiede molte risorse minerarie (giacimenti di fosfati in primis) e ittiche. L’Algeria ha d’altra parte abbandonato il Trattato di Amicizia con la Spagna, sottoscritto l’8 ottobre 2002.
Nel Sahara occidentale sembra stia già operando l’esercito marocchino e, al momento, è molto difficile per i giornalisti riuscire a ottenere informazioni.

Nel 1991, era stato siglato un accordo mediato dall’ONU, che poneva fine alle ostilità.

Il governo marocchino aveva occupato l’area già dal 1975, in modo illegale, quando gli spagnoli lasciarono il territorio: la missione delle Nazioni Unite (Minurso), fin dagli anni Novanta, ha lo scopo di proporre un referendum per poter sancire l’autodeterminazione, ma il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite va incontro al veto francese.
I Saharawi sono in parte profughi in Algeria, in parte distribuiti nel deserto del Sahara occidentale, separati dal Marocco da un muro di duemilasettecento metri. Nel 1975, il Fronte Polisario aveva già proclamato la Repubblica democratica araba saharawi (RASD), oggi riconosciuta da ottantasei Paesi, escludendo però l’Unione Europea e le Nazioni Unite. L’Unione Africana, che ammette la RASD al suo interno, aveva espulso il Marocco nel 1984, per poi reintegrarlo nel 2017, stabilendo però una missione che garantisse il rispetto dei diritti civili. A oggi il Marocco continua però a tenere prigionieri politici tra i saharawi; nell’area i giornalisti stranieri non sono ammessi e i locali che tentano di mostrare le violazioni dei diritti rischiano il carcere. Anche per i profughi saharawi in Algeria la situazione non è delle migliori, perché dipendono dagli aiuti internazionali, vivendo in una delle zone più inospitali del mondo.

2. Condizioni precarie anche quelle di quasi dieci milioni di persone, abitanti di Burkina Faso, Mali e Niger.

Nella fascia del Sahel, la crisi alimentare ha raggiunto picchi pericolosi e in Niger sono state superate le soglie di emergenza fissate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in cui spicca il dato sulla produzione cerealicola, ridottasi del 35% rispetto al 2021.
Il Sahel è attraversato da guerre e carestie, alimentate dai gruppi jihadisti. L’escalation di violenza è seguita alla conclusione della missione francese Barkhane, in Mali, e dell’operazione europea Takuba, terminata a fine giugno.
Il pericolo è che l’instabilità si estenda anche a ovest, fino al Golfo di Guinea: i colpi di Stato hanno infatti colpito non solo il Burkina Faso e il Mali, ma anche la Guinea Conakry. In Guinea-Bissau, solo l’intervento di truppe dell’ECOWAS (Economic Community of West African States) ha impedito un altro golpe, che sarebbe stato l’undicesimo a partire dal 1974, anno dell’indipendenza dal Portogallo. L’istituzione sta tenendo sotto controllo anche il Gambia. Nel golfo opera in parallelo l’African Partnership Station della marina statunitense, che collabora con le forze locali per contrastare contrabbando, pirateria, pesca illegale, traffico di droga e assalti alle piattaforme petrolifere.
Anche in Chad, dove è forte la presenza francese, è nata una crisi istituzionale: morto il presidente Idriss Deby Itno, ucciso in combattimento dai jihadisti (aprile 2021), il figlio, Mahamat, ha preso il potere sostenuto dall’esercito, promettendo il ritorno al sistema democratico dopo tre anni di transizione. Tutti questi nuovi governi sono stati sospesi dall’ECOWAS e dall’Unione Africana.
Altre crisi coinvolgono il Senegal, afflitto dalla ribellione della regione Casamanche; in Ghana, l’area del Togoland aspira a separarsi per unirsi al Togo; la Costa d’Avorio e il Benin stanno attraversando dure crisi politiche.

3. In Burkina Faso, la giunta militare ha accordato con la Costa d’Avorio il ritorno dell’ex presidente Blaise Compaore.

Blaise Compaore è stato esiliato dopo la rivolta del 2014 e condannato quale complice nell’omicidio del suo predecessore, Thomas Sankara, omicidio che lo aveva portato al potere con un colpo di Stato (1987).
I militari governano dallo scorso gennaio, con il pretesto di voler combattere le bande armate jihadiste. L’attuale presidente ad interim, Damiba, ha fatto appello all’unità nazionale nella lotta al terrorismo, dichiarazione che potrebbe spiegare l’apertura verso Compaore. Gli attentati sono ormai molto frequenti e coinvolgono soprattutto le comunità cristiane. I gruppi armati creano delle enclave, privando la popolazione locale di cibo e acqua e isolando le comunicazioni: gli sfollati interni sono circa due milioni. Il problema della sicurezza si aggiunge alle precarie condizioni di vita, dato che il Burkina Faso è uno dei Paesi più poveri del mondo, per quanto questa crisi umanitaria venga ormai trascurata.

4. Desta invece maggiore attenzioni il Mali.

Preoccupante la presenza della Wagner, che sostiene il governo golpista, di emanazione militare, in nome della lotta al terrorismo. In molti Stati, la guerra della comunicazione sembra essere stata vinta dai russi, che premono su un sentimento anticolonialista e antioccidentale, operando di fatto una forma di neocolonialismo.
Prima che la situazione precipitasse in Ucraina, le Nazioni Unite erano riuscite a costituire la missione MINUSMA, per il mantenimento della pace: il Consiglio di Sicurezza ha votato per proseguirla, ma il dibattito ruota intorno al ruolo della Francia, che non ha voluto mantenere il supporto aereo ai caschi blu, e della Wagner russa, che vorrebbe replicare il modello di ingerenza applicato alla Repubblica Centrafricana, che vedremo tra poco.

5. In Niger, la presenza della base aerea 201 degli Stati Uniti offre un argine al caos.

L’arrivo dei droni turchi Bayraktar TB2 – gli stessi usati in Ucraina – servirà a colpire i trafficanti di droga, parte di quel commercio che alimenta il terrorismo. Canada, Germania e Italia sono invece presenti per addestrare le forze armate locali. Lasciato il Mali, la Francia sembra a sua volta interessata a sostenere il Niger, dove si produce uranio, importante per le centrali nucleari francesi. Sotto la presidenza francese, l’UE conta di rilanciare nuove missioni militari in Africa, dopo che la conclusione dell’EUTM-RCA nella Repubblica Centrafricana e dell’EUTM-Mali da Bamako ha portato la Wagner a colmare il vuoto. L’obiettivo dell’EEAS (European External Action Service) è di preparare una forza di pronta reazione, prevista entro il 2025, per difendere gli interesse europei nel Sahel.
Il Niger è oggetto di interesse anche di altri Stati africani, come l’Algeria, che vorrebbe realizzare il progetto del gasdotto e oleodotto TSGP (Trans Sahara Gas Pipeline), che vada dal Mar Mediterraneo al Golfo di Guinea. Algeri vorrebbe anche rilanciare il CEMOC (Comité d’état-major opérationnel conjoint), comando multinazionale nato nel 2010 per riportare stabilità a sud del Paese. La crisi tra Algeria e Marocco nel Sahara occidentale è alimentata anche dal progetto antagonista marocchino, un gasdotto che colleghi il Golfo di Guinea a Nigeria e Spagna, via subacquea, unendosi al già esistente West African Gasduct, che attraversa Nigeria, Benin, Togo e Ghana, e al Gasduct Europe Maghreb (GME). Un progetto faraonico.
In merito alla Nigeria, altro grande e importante Stato dell’Africa occidentale, rimando a quanto scritto nel The Week del 6 – 12 giugno 2022. Sul Sahara occidentale e in generale sull’Africa occidentale – atlanteguerre.it, africarivista.it e difesaonline.it | Sul Mali – africarivista.it | Sul Burkina Faso – vaticannews.va e settimananews.it | Sul Niger – atlanteguerre.it

Reportage: L'estate africana



Argyros Singh


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