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Recensione: I figli che non voglio, di Simonetta Sciandivasci

Recensione: I figli che non voglio, di Simonetta Sciandivasci

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. I figli che non voglio, di Simonetta Sciandivasci (Mondadori). Più che di figli non voluti, un libro che parla, in modo frammentato e disomogeneo, di maternità.

Innanzitutto il dato.
Secondo l’Istat, il 5% degli italiani non vuole figli. Non-vuole-figli-perché-no, a prescindere dalle condizioni al contorno o dalla situazione economica. Non li vuole e basta.
Il dato viene ripetuto in diversi capitoli del libro di di Simonetta Sciandivasci, e da qui l’equivoco: da un volume che si intitola I figli che non voglio mi aspettavo che venisse rappresentato questo 5% di italiani.
Invece no.

Ho già scritto di maternità non volute, di giustificazioni inutili e spesso urticanti che le persone, per lo più le donne, snocciolano per rendere tollerabile il fatto di non desiderare di avere prole.



Nel mio articolo precedente smontavo una a una tutte le motivazioni futili esposte da chi non riesce ad ammettere di - semplicemente - non volere figli. L’impossibilità di dedicarsi al pargolo h24, la difficoltà di dedicarsi alla carriera, l’idea che il figlio sia un problema esclusivamente della madre.
Terminavo con: «Chi vuole una cosa un modo lo trova, chi non vuole trova una scusa. Ma le ragazze non osano dire che non hanno desiderio di figli, perché in questa società la mancanza di questo desiderio è giudicata male e loro non si sentono libere di esprimerlo senza condirlo con qualche altra motivazione che possa apparire più accettabile. Mi dispiace, ragazze. Pensavo che la vostra generazione non avrebbe più incontrato questo tipo di problemi e di pregiudizi. Però, basta con le scuse. Non volete un figlio: va benissimo. Non dovete giustificarvi. Testa alta, portate avanti ciò in cui credete. Ma per favore, per far questo non gettate fango su esperienze che non avete mai assaporato. Altrimenti anche voi avete solo pregiudizi».

Quando mi sono trovata tra le mani I figli che non voglio di Simonetta Sciandivasci, giornalista di La Stampa e donna child-free, speravo di poter finalmente approfondire il punto di vista di chi non intende riprodursi e ha il coraggio di ammetterlo.

Sciandivasci inizia col proporre un proprio articolo, già uscito sul giornale, in cui spiega qualcosa in linea con ciò che avevo già intuito: il 5% dell’Istat è forse un dato sottostimato, nel senso che la percentuale di chi non-vuole-figli-perché-no è più alta, ma annegata in un mare di motivazioni secondarie: lo Stato che non aiuta, gli asili nidi che mancano, la baby-sitter che costa...
Ai sondaggisti si mente. Si mente perché non tutte le risposte stanno dentro un sì o un no o un forse, e pure perché ci si vergogna, o si ha fretta, o non si ha voglia. Ho perso il conto delle volte che ho sentito alcune amiche dire, in tavolate ampie, che non avevano intenzione di fare figli perché dove li metto, come li nutro, chi mi aiuta: erano le stesse che, sedute a tavoli assai più ristretti, ho sentito dire: meno male che non ho un figlio.
Sciandivasci ammette esplicitamente che, se fosse una questione economica o organizzativa, lei sarebbe tra quelle che potrebbero procreare anche subito, ma non lo fa perché non vuole.
Quel che segue nei restanti capitoli del libro, però, è deludente.

Una serie di articoli di altri scrittori, intellettuali, registi che portano avanti il dibattito. Si tratta di testimonianze, spaccati di vita, molte riflessioni basate sull’esperienza personale, che però, anziché focalizzarsi su chi non fa figli e perché, pontifica sulla maternità.

Maternità, paternità, bigenitorialità, chi ha fatto figli senza istinto e ora è contento lo stesso, chi prova uno struggimento perenne quando contempla i suoi pargoli, chi di bambini non ne ha, ma non si preclude la possibilità di averne.
E poi le separazioni, che alla fine vedono sempre la madre come genitore affidatario prevalente, il che può essere visto come un privilegio o una condanna, a seconda dei punti di vista.
Ma vogliamo parlare delle adozioni in Italia che per i single sono pressoché precluse? E di cosa significhi essere un genitore single?
Insomma, alla fine il risultato è un coacervo di esternazioni che sono tutte il contrario di tutto e che vanno fuori tema rispetto alla promessa del libro.
Alcune singole testimonianze sono pure interessanti, talvolta toccanti, benché per lo più autocentrante, ma il variopinto bouquet non convince.

Le uniche donne che hanno contribuito con un netto «non voglio figli perché no», sono solo due: Flavia Gasperetti, della quale avevo letto Madri e no tempo addietro, e Giorgia Soleri.

La prima ormai ha un’età per cui si sente di poter dire «non ho avuto figli». La seconda, che non fa mistero di essere già ricorsa all’aborto volontario, in teoria potrebbe ancora cambiare idea, ma si sente sempre più orientata a non procreare mai.
Soleri era convinta che fare figli fosse «una tappa imprescindibile della vita di una donna e chiunque si fosse ritrovato fuori dalle mura della maternità avrebbe pagato il caro prezzo dell’infelicità perpetua».
Ma poi si è liberata di questo condizionamento: «Quella presa di coscienza è stata spaventosa, a tratti agghiacciante, eppure non c’era mai stata tanta luce nella stanza della mia vita: io non voglio diventare madre».

A parte Gasperetti e Soleri, tutti gli altri articolisti parlano di figli. I loro. I figli che, con percorsi differenti, alla fine hanno voluto eccome.

Mi domando il motivo per cui questo libro è stato assemblato in questo modo e provo a ipotizzarne qualcuno.
  1. Pur di portare a termine una operazione editoriale avviata, si sono usati i contributi pervenuti, meglio se di personaggi conosciuti. Non è una prospettiva lusinghiera, ma il dubbio che questa sia la ragione mi ha pervasa.
  2. Quelli che procreano sono ancora in numero superiore a quelli che non lo fanno, quale che sia la ragione. Chi non vuole figli è in numero statisticamente minore e quindi anche meno rappresentato nelle testimonianze.
  3. Molte persone, come già ipotizzato, non riescono ad ammettere apertamente la loro contrarierà a diventare genitori, quindi non si esprimono e non avrebbero il coraggio di scrivere un articolo onesto come quelli di Gasperetti e Soleri.
  4. In fondo non c’è nulla da dire e il fatto di volerne parlare ci riconduce a quello che è l’ennesimo tentativo di giustificazione, mentre in realtà ognuno dovrebbe essere libero di autodeterminarsi senza vergogna.
In generale, comunque, I figli che non voglio di Simonetta Sciandivasci è ancora una volta un libro che parla, in modo frammentato e disomogeneo, di maternità, ma nelle sue 200 pagine per quanto mi riguarda contiene poche rivelazioni e spunti di riflessione significativi.


I figli che non voglio

di Simonetta Sciandivasci
Mondadori
Racconti
ISBN 978-8804763307
Ebokk 9,99€
Cartaceo 17,10€

Quarta

Inverno demografico: e davanti a noi si stendono pianure infeconde e ghiacciate da far impallidire Il Trono di Spade, nella mente risuonano echi di tragedie shakespeariane. In Italia non si fanno più figli, dove andrà a finire la nostra civiltà, ma soprattutto: chi pagherà le nostre pensioni? Ma che senso ha insistere a credere che l'unico modo per tenere in piedi il sistema sia procreare, anche laddove le donne – per la precisione una minoranza di donne quantificata dall'Istat nel 5 per cento – pur essendo nelle condizioni di fare figli, non li vuole? Rispetto al tema della maternità spesso vincono gli schematismi e le donne si trovano rappresentate o come vittime di un Paese in cui fare figli è un privilegio – la precarietà del lavoro, gli stipendi bassi, gli asili inaccessibili, lo stato sociale che non provvede come dovrebbe –, o come un manipolo di ciniche, superficiali, carrieriste e future pentite destinate a una vecchiaia solitaria e amareggiata dal rimpianto di non essersi riprodotte. Tra questi due poli ci sono le persone vere, a cui danno voce gli interventi raccolti in questo libro. Tante donne, ma anche alcuni uomini, che hanno raccolto la sfida lanciata da Simonetta Sciandivasci con lucidità e ironia sulle pagine dello "Specchio", inserto culturale della "Stampa", una sfida a interrogarsi sui motivi per cui si diventa genitori oppure no, a ragionare sulle diverse possibili fisionomie di una famiglia. C'è chi si dichiara fautrice dell'agnosticismo procreativo, perché diventare genitore è qualcosa di così intimo e personale da rendere impossibili posizioni di principio, chi insiste sulla necessità di rendere più semplice l'adozione per i genitori single, chi accusa il peso dei condizionamenti del passato e chi prova a sostenere le ragioni dell'incoscienza. Chi valuta il congelamento degli ovuli prima di intraprendere un percorso di transizione da donna a uomo, chi sostiene che i padri siano ben felici di non avere la parità genitoriale e chi patisce l'onnipotenza delle madri in caso di separazione. Ci sono donne che chiedono più rispetto per la scelta di non essere madri, uomini che provano a smontare i narcisismi, le fragilità, le contraddizioni dell'essere padre. E poi ci sono doti che attendono pazienti nei bauli, nonne e madri che attendono nipoti da figlie che con noncuranza varcano la soglia dei trentacinque anni... Una carrellata di interventi non ortodossi, pieni di intelligenza e senso critico, un vademecum fondamentale per chiunque sia interessato all'argomento. Un dibattito che ci fornisce ottimi strumenti per "smettere di pensare che l'inverno demografico sia una questione morale o economica: è, invece, una questione di prospettiva, che impone nuove lenti; è una questione di geografia politica e riorganizzazione del mondo secondo nuovi criteri".


Ringrazio Mondadori per avermi gentilmente inviato una copia del romanzo.


Elena Genero Santoro


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