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L’infermiera: la miniserie Netflix ispirata a Christina Aistrup Hansen

L’infermiera: la miniserie Netflix ispirata a Christina Aistrup Hansen

Serie TV Di Elena Genero Santoro. L’infermiera, la miniserie Netflix che racconta la storia di Christina Aistrup Hansen, l'infermiera danese condannata per aver ucciso tre pazienti.

Curioso che dopo aver trascorso una parte degli ultimi mesi in ospedale mi sia venuta voglia di farmi impressionare da una miniserie, tratta, pare fedelmente, da una storia vera, che parla di un’infermiera assassina.
Il titolo, L’infermiera, lascia spazio alla prima riflessione: chi è la protagonista che dà il nome alla serie?
Christina Aistrup Hansen, che uccideva i pazienti, o Pernille Kurzmann, la collega che l’ha scoperta e denunciata?

Siamo tra il 2012 e il 2015 e Pernille, con la piccola Alberte, si è appena trasferita in un paese a sud della Danimarca per stare più vicina al padre di sua figlia, con cui ha dei rapporti amichevoli.

Contestualmente inizia a lavorare al Nykøbing Falster Hospital nel suo primo incarico da infermiera. Viene assegnata al Pronto Soccorso e le viene affiancata Christina, una donna grintosa, energica e una professionista molto stimata, che vive per il suo lavoro e lo sa fare bene. Anzi, sono in molti a ritenerla la migliore, in grado di tenere testa anche ai medici.
Pernille inizialmente ne è affascinata. Christina è in gamba, sa il fatto suo, riesce a motivare Pernille anche quando un paziente viene sciaguratamente a mancare. Christina seduce. C’è una scena in cui Christina e Pernille sono sul tetto e sembra che a momenti si debbano baciare. Si intravede quasi un inizio di tensione erotica.
Ma poi qualcosa inizia a stridere.

Prima ancora di immaginare di che cosa sia capace la sua collega, ci sono aspetti di Christina che non convincono Pernille.

Il suo volersi mettere al centro dell’attenzione quando c’è da intervenire su un paziente, il suo voler attirare l’attenzione con ogni mezzo, drammatizzando e ingigantendo tutto ciò che la riguarda, fino ad arrivare alla menzogna. Come quella volta che Christina racconta di avere avuto un incidente e aver distrutto la macchina, mentre Pernille nota che l’auto della collega non ha nemmeno un graffio. Dunque Christina è una che inventa.
E gli altri colleghi dell’ospedale che dicono?
In realtà tutti sanno che Christina è sempre teatrale, ma nessuno percepisce questo aspetto come un reale problema.
E quando Pernille solleva qualche debole dubbio viene trattata come una pettegola, una che non si adatta, che crea problemi sul lavoro per delle minuzie.

La miniserie Netflix L’infermiera, organizzata in quattro episodi da meno di un’ora ciascuno, ha le atmosfere di un thriller con tanto di resa dei conti finale.

L’ambientazione tra le camere del pronto soccorso è cupa come da copione.
Il pronto soccorso: è molto diverso da quelli a cui siamo abituati in Italia, con barelle ammassate in ogni angolo, pazienti abbandonati anche per una settimana e oss in burnout.
Nulla del genere al Nykøbing Falster Hospital: i pazienti possono permanere al pronto soccorso solo per un massimo di quarantotto ore a cui devono seguire le dimissioni o il trasferimento in un reparto. Inoltre ognuno ha una camera singola. Non so se questo contorno ovattato rispecchi la realtà danese o se sia un espediente cinematografico, ma in questa atmosfera scura, notturna, desolata come un quadro di Hopper, l’infermiera assassina di Netflix può agire indisturbata e somministrare ai pazienti i cocktail di morfina e diazepam che li mandano in arresto cardiaco.

Pernille inizia a nutrire sospetti su Christina come persona, prima ancora di notare che alcuni pazienti deceduti improvvisamente hanno avuto un aggravamento così repentino da risultare inspiegabile.

Ed è questa la bellezza di questa serie: il gioco psicologico.
Alla vera Christina Aistrup Hansen è stato diagnosticato, in fase di processo, un disturbo istrionico della personalità.
La serie Netflix non arriva a raccontare la fase processuale quindi la personalità di Christina viene mostrata, ma non etichettata, durante la visione degli episodi.
Può questa diagnosi spiegare perché Christina porta alla tomba i suoi pazienti?
A un certo punto la Pernilla cinematografica se lo domanda: perché lo fa? Non è un angelo della morte che vuole regalare un trapasso dolce a chi già versa in condizioni disperate. I ricoverati che Christina prende di mira sono talvolta persone che non hanno alcuna patologia grave.
Christina non risparmia energie quando deve fare un massaggio cardiaco, si impegna a fondo nel suo lavoro, compie imprese grandiose, quasi epiche, eppure…
Pare quasi contraddittorio.

In realtà la contraddizione è solo apparente. La professionalità e la prodigalità di Christina (della Christina raccontata nella serie) contro la sua crudeltà sono due facce della stessa medaglia.

Gli individui con disturbi di personalità, che vivono per farsi notare sono capaci di azioni notevoli e molto generose.
Per esempio uno come Ted Bundy, uno dei più famosi serial killer degli USA, ha anche salvato molte vite. Lavorava per il telefono amico, ha prevenuto diversi suicidi. Era uno psicopatico con un narcisismo irrefrenabile, era un seduttore, aveva modi teatrali ed è finito nel braccio della morte perché non è mai riuscito a tenere un profilo basso.
Fare opere buone, o anche eccezionali, non significa automaticamente essere delle brave persone.

Narcisisti, istrioni, psicopatici: sono individui che possono compiere indistintamente il bene o il male, perché non hanno un fine morale, ma solo quello di mettere al centro se stessi e qualunque mezzo è lecito.

Certo non tutti arrivano a uccidere, non tutti sono divorati da quella compulsione, non tutti hanno un tale abisso nero nell’anima, ma tutti bràmano ammirazione.
In questo senso alla Christina di Netflix viene un’interpretazione plausibile.
Nella storia reale, Christina Aistrup è stata condannata inizialmente all’ergastolo per tre omicidi e un tentato omicidio, poi la pena è stata ridotta a 12 anni perché non si possono escludere concause nei decessi.
Si stima che possa avere ucciso qualcosa come 120 persone (40 l’anno per tre anni) e pare che non abbia mai ammesso la sua colpa.




Elena Genero Santoro


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