Gli scrittori della porta accanto

Ingegnere, femminile plurale: 4 libri che le vedono protagoniste

Ingegnere, femminile plurale: 4 libri che le vedono protagoniste

Professione lettore Di Stefania Bergo. Quattro libri scritti da ingegnere che portano le diverse sfumature del loro mondo lavorativo tra le pagine: la difficoltà di farsi valere in ambienti maschilisti, la professionalità messa al servizio di progetti umanitari, la conciliazione del titolo universitario col ruolo di madre.

Innanzitutto: ingegnere – femminile singolare – o ingegnera? Personalmente, mi è indifferente, purchè venga riconosciuta al pari di un collega come professionista. Altrimenti il nome con cui mi identificano ha il sapore del contentino politically correct e mi risulta indigesto.
Ma sono anche dell'idea che se un termine appropriato esiste vada usato, se non altro per abituarsi al suono e non trovarlo grottesco o cacofonico. Anzi, per abituarsi all'idea. L'idea che una donna possa riuscire bene anche in una professione tradizionalmente maschile. Non certo perché le donne non ne siano mai state in passato all'altezza, semplicemente perché non erano ritenute idonee per le materie cosiddette STEM (acronimo inglese per Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Quelli che seguono sono libri scritti da donne che vedono protagoniste delle ingegnere – femminile plurale.

Ingegnere nel loro ambito lavorativo, alle prese con stereotipi difficili da abbattere, cercando di far sentire la loro voce; o disposte a mettersi in gioco in un progetto umanitario, facendo valere la propria professionalità; oppure in veste di madri, perché a volte le ingegnere sono pure questo, e allora l'upgrade le trasforma nella versione più complessa dei loro colleghi maschi. Libri che offrono in ogni caso uno spaccato realistico. Del resto, ingegnere lo sono anche le autrici... Buona lettura!


Luci nella tempesta

di Katia Manfredi e Alberto Traetta
PubMe - collana Gli scrittori della porta accanto
Narrativa
Copertina flessibile | 176 pagine
ISBN 979-1254585498
ebook 2,99€
cartaceo 13,00€


Dopo Petrolio bollente, Gabriella Di Tullio, giovane e brillante ingegnera che lavora in una multinazionale petrolifera, è alle prese con nuovi problemi lavorativi da risolvere e vecchi stereotipi da superare, in un ambiente maschilista dove non è affatto semplice far valere la sua competenza e soprattutto farsi ascoltare.
Il suo capo, Gaetano Caruso, questa volta la manda in missione ad Aberdeen, in Scozia, per risolvere un guasto al compressore di una piattaforma.
Durante il viaggio emergono le consuete tensioni lavorative e nuovi battibecchi, ma anche i ricordi dolorosi del passato di Gabriella e di Gaetano, che si conferma essere estremamente autoritario, quasi intimidatorio. Ancora una volta, a Gabriella non resta che far tesoro di ogni esperienza per farsi strada in un mondo lavorativo dominato dagli uomini.
Neanche tanto sullo sfondo, affiora l’instancabile ricerca di un senso nelle difficoltà e nel dolore dell’esistenza, il bisogno di una liberazione, soprattutto quando il destino si mostra cinico e baro oltre il necessario. È questo che vuole insegnarle il fratello Federico, anche lui alle prese con un passato difficile.
Un particolare ruolo giocano i misteriosi messaggi di incoraggiamento lasciati sul parabrezza della macchina di Gabriella, un invito a non lasciarsi sopraffare. Chi li avrà scritti?

Cos'è l'invisibilità? Un'ingegnera che lavora in un ambiete maschilista.

Paziente, Gabriella attendeva l’occasione di porre una domanda che riteneva importante: al primo attimo di silenzio, ne approfittò: «Avete preso un campione del deposito per farlo analizzare?»
Nessuno rispose in quanto Ottaviani, nello stesso momento, aveva chiesto se avessero già acquistato la valvola. Si annotò quindi sul taccuino, con una penna argentata, nome del fornitore e dimensioni.
Si intavolò una discussione sulla tipologia scelta, sul materiale, sul valore dell’ordine e le tempistiche di consegna. Gabriella attese di nuovo il momento opportuno prima di riprovarci: «Avete preso un campione del deposito per farlo analizzare?»
Stavolta riuscì a completare la frase. Ma, anziché rispondere alla domanda, il responsabile delle macchine disse che voleva mostrare delle foto.
Ecco, queste erano le volte in cui Gabriella si sentiva invisibile. Eppure, non erano in molti in quella stanzetta. Perché la ignoravano? Racimolò tutta la pazienza possibile e aspettò il tempo necessario affinché tutti guardassero quelle foto. E anche lei ne rimase sorpresa: il filtro era davvero pieno di quella roba gialla.
Durante un altro attimo di silenzio, ripeté la domanda alzando il tono della voce e guardando Peter negli occhi.
Nessuno propose altri argomenti, quindi Peter finalmente rispose: «Certo!» cercando conferma negli occhi del responsabile delle macchine.
Ma Kevin, lo scoiattolo, tossì schiarendosi la voce: «Veramente no. Non ancora». Katia Manfredi e Alberto Traetta, Luci nella tempesta


Petrolio bollente

di Katia Manfredi
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Narrativa
ISBN 978-8833666044
Cartaceo 12,50€
Ebook 2,99€
Audiolibro 5,49€


Gabriella, giovane e brillante ingegnera, lavora presso il dipartimento di ricerca di una multinazionale petrolifera. Caruso è il suo capo, un siciliano aggressivo e autoritario, molto potente. È lui che decide quando e dove Gabriella deve recarsi per risolvere le questioni tecniche più disparate.
L’ambiente di lavoro è maschilista e spregiudicatamente rivolto al profitto; Gabriella è costretta a interagire in contesti operativi e decisionali che la mettono a dura prova. Come primo importante incarico, viene mandata a Pointe Noire, in Congo, per risolvere alcune criticità operative che rischiano di bloccare l’attività di un impianto.
Forse per la giovane età o per il fatto di essere donna, nonostante individui e denunci seri malfunzionamenti viene sistematicamente ignorata, sia dalla dirigenza italiana sia dai tecnici africani. Fino a quando accade l’irreparabile: divampa un incendio e qualcuno rimane gravemente ferito.
Gabriella sarà chiamata a rispondere del suo operato, alla ricerca di un capro espiatorio per salvare il buon nome dell’azienda.
Una storia attuale, che s’ispira ad alcuni eventi realmente accaduti. Scritta quasi come una sceneggiatura per una serie TV, fornisce numerosi spunti di riflessione sul mondo lavorativo del settore industriale, troppo spesso spinto al profitto e discriminante.

Un'ingegnera e la difficoltà di farsi riconoscere e prendere sul serio.

«È presente del ferro sulla corrente al ribollitore?» chiese sorridendo, Gabriella.
Formulò la sua domanda quasi come un vezzo dettato dalla civetteria femminile. Provava intimamente un po’ di vergogna a comportarsi così, ma intuiva che per alcuni era più facile accettare che alla base di una curiosità ci fosse la vanità femminile piuttosto che uno stimolo intellettuale o la ricerca di una verità scientifica.
«Mmm… – Luca appoggiò il gomito sul tavolo e si prese il mento tra il pollice e l’indice della mano destra. – Sì, ecco: trecento parti per milione.»
Era un valore che avrebbe dovuto mettere tutti in allerta. «Trecento? – esclamò lei – Ma sei mesi fa era solo trenta!»

[...] «Come mai non ti sei accorta del problema?» [...] «Cosa è uno scherzo?» sbottò lei. Caruso la riprese: «Nessuno qui ha voglia di scherzare» e scambiò uno sguardo d’intesa con il Vice President. Era come essere a teatro con lui, sul palco: stava recitando.
Per trattare con i barbari ci vogliono i barbari. In una frazione di secondo quel briciolo di timidezza dettata dalla soggezione per la presenza in stanza del capo supremo, sparì. Il Vice President avrebbe anche potuto essere suo fratello e lo stesso Caruso, visto il tono che Gabriella usò da quel momento in poi: «Tutti sono stati informati per tempo, Luca compreso. Si tratta di un disastro annunciato».
«Tanto per cominciare, datti una calmata. [...] Lui dice che non sapeva niente» continuò Caruso.
«È tutto verbalizzato. Nero su bianco.» «Dove? Perché non mi hai informato?» «Veramente sul report che ti ho girato la scorsa settimana – ed enfatizzò il “ti ho” per far capire che lui era al corrente – ho scritto chiaramente che, oltre al problema della perdita sul preriscaldatore, si suggerivano ulteriori indagini e uno stretto monitoraggio della corrosione – Fece una pausa, poi aggiunse – La raccomandazione principale era quella di fermare subito gli impianti. Lo stesso report è stato ricevuto a Zuata, anche da Luca e distribuito al management proprio per tua mano.»
Caruso rimase spiazzato qualche secondo come un portiere a cui hanno appena segnato un goal.
«Quindi allora questa ragazza lo aveva già detto?» intervenne nella conversazione il Vice President. Teneva le gambe accavallate, la mano destra appoggiata sulla coscia destra. Probabilmente faceva fatica a guardare negli occhi Gabriella e a chiamarla “ingegnere”. Katia Manfredi, Petrolio bollente



Con la mia valigia gialla

di Stefania Bergo
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Memoir di viaggio | Narrativa non fiction
ISBN 978-8833667829
Cartaceo 12,00€
Ebook 2,99€


È un diario di viaggio autobiografico.
Stanca della superficialità di una vita nemmeno troppo tranquilla, Stefania decide di partire. Da sola. Casualmente, trova in internet i contatti di un'associazione che gestisce il St. Orsola, un ospedale in un'area rurale del Kenya, Matiri. E parte con una valigia gialla, poche aspettative, tanta curiosità e voglia di cambiare, non certo il mondo, ma almeno la sua piccola insignificante esistenza.
Con la mia valigia gialla è il racconto dei piccoli eventi quotidiani (solo apparentemente banali) accaduti in quelle tre settimane, conditi con una manciata di riflessioni dell'autrice sulle diverse abitudini e sulla cultura locali, scanditi dai messaggi che inviava regolarmente via mobile a un caro amico con cui ha voluto condividere, in tempo reale, la sua esperienza.
Contrariamente a quanto si pensi, però, non è un libro sul volontariato. Il volontariato è solo un dettaglio. L'intenzione dell'autore era di raccontare il viaggio, una piccolissima parte d'Africa, quella che lei ha conosciuto, diversa dalla miriade di altre facce di una terra magica, unica. Ne racconta le usanze locali, i profumi, i colori, i suoni, il quotidiano. Le emozioni. E ne ha dato una sua personale chiave di lettura, intervallando ai dipinti della natura le sensazioni restituite, i pensieri suggeriti, le domande che si è posta e che pone a chi vorrà leggere le pagine del suo libro e soffermarsi, come lei, a cercare una risposta. Anche se spesso risposte non ce ne sono. Ecco perché questo libro non vuole insegnare nulla. È un semplice mezzo messo a disposizione dall'autrice per far compiere al lettore lo stesso viaggio (anche se non sarà mai lo stesso) senza prendere un aereo, semplicemente con l'immedesimazione.

Ingegnera in missione umanitaria: quando la precisione si perde in una nuvola di polvere rossa.

Ho con me il mio computer. Quello che mi manca sono le dimensioni delle strutture esistenti per iniziare.
Così, armata di un semplice metro e di una matita, mi dirigo all’ospedale, dove ci sono già le fondamenta di una parte della futura pediatria. E comincio con precisione ingegneristica a misurare e annotare tutto su un foglio. Un metro e ventisette. Cinquantanove centimetri e mezzo. Quasi tre metri. Grosso modo una spanna. Più o meno cinque pietre. Mi stanco subito della precisione ingegneristica!
[...] Non mi ci vuole molto per progettare la pediatria. Seduta sotto la pergola con il mio computer, mi perdo di tanto in tanto nella vallata, inseguendo una scia di polvere sollevata da un matatu o un gregge di pecore disseminato nel verde o le grida dei bambini che giocano e incitano gli animali al pascolo.
[...] Malgrado tutto, in un paio di giorni il progetto è finito e stampato. Prima di consegnarlo a Shimali, il capo cantiere, ne parlo con Giorgio per capire se la mia idea incontra la sua.
Sulla carta, la pediatria è un prolungamento dell’ala delle degenze dell’ospedale. Sorgerà su due piani, dato che il terreno è collinare. Quello superiore, a livello dell’ospedale, avrà un chiostro centrale in cui sorgerà la Fontana del sole e un corridoio porticato tutt’intorno su cui affacceranno i locali previsti: quattro stanze di degenza in cui sarà possibile stanziare fino a un massimo di sei letti ciascuna, servizi igienici, un paio di depositi per il materiale pulito e lo sporco, una stanza destinata alla neonatologia − dove verranno spostate le due incubatrici che ora sono in sala parto − con la possibilità di inserire anche un paio di lettini per le mamme in veglia sui neonati. Questo livello, si affaccerà sulla vallata con un terrazzo. [...] Il giorno dopo parlo con Shimali. È il capocantiere fin dalla costruzione dell’ospedale, fin dalla posa della prima pietra, avvenuta il 10 luglio 2001 − curioso, è lo stesso giorno in cui io mi sono laureata. Mi raggiunge sotto la pergola e, disegni alla mano, gli chiarisco alcuni aspetti del progetto. Ne sembra entusiasta, sorride e mi chiede maggiori dettagli. Lui avrà il compito di dirigere gli operai, quando torneranno dalle vacanze, iniziando i lavori quanto prima. [...] A Giorgio toccherà poi presentare il progetto al gruppo di Caserta. Saranno loro a sovvenzionare la costruzione del nuovo reparto. Il tutto dovrà avvenire nel minor tempo possibile per restare al passo con l’aumento esponenziale del numero dei pazienti pediatrici. Stefania Bergo, Con la mia valigia gialla



Confessioni di una #badmum

di Elena Genero Santoro
PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto
Narrativa umoristica | Humour
ISBN 978-8833668123
Cartaceo 10,00€
Ebook 2,99€


Cosa deve fare una madre per essere considerata una #goodmum con tutti i sacri crismi? Allattare fino allo svenimento e fino a perdere i capelli. Abituare il proprio Neonato all'indipendenza facendolo dormire sempre nella sua culla. Usare con i Signori Figli un tono fermo ma gentile e non alzare mai la voce. Al mattino svegliarli con estrema dolcezza per accompagnarli puntuali a scuola. Scegliere gli istituti scolastici con i programmi formativi migliori. E tante altre cose che i manuali di pedagogia elencano e che io mi guardo bene dal mettere in pratica. Perché io sono una #badmum e queste sono le mie #confessioni.
Che restino tra noi e tra quelli che seguono la mia rubrica su Facebook.

Quando l'ingegnera è anche una mamma, anzi: una #dabmum.

La mia famiglia è composta da nove elementi: Io, la #badmum, ingegnera impiegata in Fiat, aspirante scrittrice e desperate housewife; Marito, #cuoretenero, ingegnere impiegato in Fiat; Figlia, o #baddaughter; Figlio, o #badson; tre porcellini d’India di nome Stellina, Moony e Grisbì; due longevi pesci rossi di sesso incerto che di nome fanno Giovanni e Giovanna.
[...] Smartworking. All’inizio sembrava la panacea di tutti i mali. Niente più vita da pendolari, niente più ore e ore trascorse in macchina o suoi mezzi, niente più soldi buttati in benzina o in abbonamento ai pullman. Sei a casa tua, se vuoi mandare email seduto sul divano, lo fai.
Fino a qualche anno fa nelle aziende sembrava impensabile. Dove lavoro io era previsto che lo smartworking fosse introdotto nel 2020, un giorno alla settimana. Nelle mie mansioni mi servono solo tre cose: il laptop, il mouse e una connessione a internet. Cioè, è una cosa che posso fare ovunque. Già pregustavo i venerdì per smazzarmi i bucati senza intasare i weekend di incombenze.
[...] Vi dico la verità: a me, personalmente, non dispiace. Lavorerei sempre in smartworking, anche in periodi non pandemici. Mi concentro di più, ho una tabella di marcia serrata, riesco a ignorare senza rimorsi i figli che pascolano in giro per le stanze come caprioli selvatici e che vagano come morti viventi con il tablet in mano.
D’altronde il seme del male era già radicato in me ai tempi dell’università. Al Politecnico di Torino c’erano due aule di studio: l’aula dei buoni e l’aula dei cattivi. Le chiamavano proprio così. Quella dei buoni aveva postazioni singole, tavolini verdi piccoli e quadrati, divisi da dei separé diagonali. Visti dall’alto sembravano quadrifogli. Ognuno occupava la sua sedia in silenzio e non volava una mosca. Ecco, io lì diventavo pazza. Preferivo mille volte l’aula dei cattivi, quella con ampi tavoloni in cui si poteva studiare in compagnia, ripetere la lezione con i compagni di corso, fare un break, chiacchierare persino, quando lo studio del momento d’inerzia diventava troppo pesante.
Quindi. Per una come me lavorare con un #badson che mi sgranocchia cereali di fronte, non è un problema. Elena Genero Santoro, Confessioni di una #badmum


Stefania Bergo



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