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Recensione: Sono contenta che mia mamma è morta, di Jennette McCurdy

Recensione: Sono contenta che mia mamma è morta, di Jennette McCurdy

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. Sono contenta che mia mamma è morta di Jennette McCurdy (Mondadori). La star della serie iCarly e Sam & Cat si racconta in un libro autobiografico, e confessa, col tono leggero della commedia, dinamiche familiari abusanti.

La mamma è sempre la mamma.
Nessuno ti amerà mai come tua madre.
Il resto del mondo potrà tradirti, ma mai tua madre.
Tua madre sarà sempre il tuo punto di riferimento.
Nessun amore è puro e disinteressato come quello di una madre.
Queste sono affermazioni a cui tutti siamo abituati.

Si dà per scontato innanzitutto che le donne abbiano istinto materno per definizione, ma di certo, nel credere comune e nell’immaginario collettivo, l’amore di una madre raramente viene messo in discussione.

In realtà, la maternità presenta molti insidie. Chi ha letto i libri di Elena Ferrante, la saga dell’Amica geniale, ma prima ancora La figlia oscura, trova un’oscillazione continua dei protagonisti tra sentimenti ambivalenti: i rapporti “stretti” per definizione, come quello tra le amiche del cuore o quello tra madre e figlie, non sono affatto idilliaci, anzi parecchio inquietanti, con dei retroscena di gelosia, invidie, fino alla cattiveria.

Jennette McCurdy scrive un libro autobiografico con un titolo che scandalizzerebbe tutti i benpensanti e sostenitori della sacralità della famiglia tradizionale: Sono contenta che mia mamma è morta.

Come si può essere contenti che la propria mamma sia morta? Bisogna essere davvero senza cuore, dei figli ingrati per gioire della morte della propria madre, della donna che ci ha donato la vita.
Appena ci si addentra nella lettura, però, si comprende che McCurdy ha le sue sacrosante ragioni.
Jennette McCurdy ha speso diversi anni della sua adolescenza, tra il 2007 e il 2014, interpretando il ruolo di Sam nella serie iCarly, una sitcom young adult, e successivamente lo spin off Sam & Cat. Prima di approdare a quel ruolo che le ha regalato una certa notorietà, ha percorso una lunghissima gavetta, partita dall’infanzia, composta da provini, casting per fare la comparsa e film in cui recitava un paio di battute.
Oggi Jennette McCurdy ha trentatré anni. Nel 2018 ha smesso di recitare e si è dedicata ad altre forme di comunicazione tra cui la scrittura che probabilmente è il metodo espressivo più nelle sue corde. Sono convinta che ognuno di noi abbia un modo prevalente per esprimersi al meglio: c’è chi canta, chi disegna, chi parla. Jennette McCurdy credeva che il suo fosse la recitazione, perché era ciò che le diceva sua madre.

Jennette cresce cercando di compiacere la madre, guarita ma dalla parvenza tanto fragile.

Debra McCurdy, moglie di Mark, aveva infatti avuto un cancro in stadio avanzato già quando Jennette era piccola. La vede spesso arrabbiarsi con suo padre Mark, cacciarlo di casa per giorni, e con i suoi tre fratelli. Lei non vuole farla innervosire, Debra sa essere molto dolce e premurosa con chi le ubbidisce. I McCurdy, mormoni, vivono insieme ai genitori di Debra, che si sono stabiliti lì dopo il cancro della figlia. Hanno però diversi problemi economici e la casa è tutto fuorché confortevole, visto che Debra è un’accumulatrice seriale e i ragazzi dormono su un tappeto per terra in quanto sui loro letti c’è una quantità di roba inutile che non riesce mai a essere smaltita.

In questa famiglia con evidenti disfunzionalità, Debra ha deciso che Jennette farà l’attrice.

E la piccola Jennette, che con la madre ha un rapporto simbiotico, non vuole deluderla. In fondo la mamma si sacrifica tanto per lei, nonostante la salute precaria la accompagna in giro per provini con levatacce alle tre del mattino.
Inizia quindi il periodo in cui Debra farebbe carte false pur di piazzare Jennette sotto l’ala di un buon agente; non si trattiene dal muovere gli interlocutori a pietà con la sua malattia, fa persino studiare recitazione, canto e danza alla figlia. E alla fine ci riesce: la carriera di Jennette prende il via. L’ambizione e la tenacia della madre vengono premiate. Ma a che prezzo?

Quando un genitore è abusante, alcune dinamiche sono dei cliché.

Primo: il genitore appioppa un ruolo al figlio, e da quel ruolo non si scappa. Che sia quello della pecora nera o del fanciullo modello, da quel momento il figlio può solo adeguarsi. Jennette McCurdy doveva essere un’attrice.
Secondo: al genitore non interessa nulla delle aspirazioni del figlio. Debra non ha mai chiesto a Jennette cosa volesse fare della propria vita. Si è limitata a metterle in testa che il suo destino era recitare.
Terzo: per il genitore abusante il figlio non è un individuo, ma un’estensione di sé. Jennette doveva essere l’attrice che Debra non era potuta diventare.
Quarto: l’amore su condizione. Con un genitore abusante, un figlio viene amato e vezzeggiato solo se rispetta il suo ruolo. In caso contrario viene colpevolizzato e allontanato anche se non ha fatto niente di moralmente riprovevole e sbagliato. Ogni tentativo di indipendenza e di individualità viene tacciato di ribellione e trattato come un’offesa personale verso il genitore.

Jennette non vorrebbe mai deludere sua madre, non vorrebbe mai causarle un dolore o uno stress e subire le conseguenze di scenate, ripicche, rifiuti.

Così sottostà a ogni richiesta, si fa fare la doccia e ispezionare da lei i genitali fino a diciassette anni, si fa tingere le ciglia di scuro per essere più carina, rischiando la cecità e, quando a undici anni inizia a manifestare i primi segni della pubertà, accetta di dimezzare le calorie della propria alimentazione pur di mantenere un aspetto fanciullesco.

Nel 2013 Debra muore. Il cancro torna e se la porta via in breve.

Jennette soffre moltissimo. Le viene a mancare l’unico punto di riferimento, la persona con cui aveva il legame più forte.
In quel momento la figura di sua madre è ancora idealizzata, lei non l’ha mai messa in discussione.
A Jennette McCurdy però manca qualcosa. È in quel periodo che inizia a bere, che l’anoressia si trasforma in bulimia, che lei vomita anche dieci volte al giorno.
Le catene che le aveva messo sua madre non ci sono più, per questo inconsciamente ne cerca altre.

Ci vorranno anni di terapia per prendere le distanze dal rapporto con sua madre e per riconoscerne i suoi reali contorni: abuso e co-dipendenza.

Jennette era talmente vicina a sua madre da non riuscire a vedere la situazione da una prospettiva oggettiva. Non poteva rendersi conto che la generosità di sua madre era solo una manipolazione (i narcisisti sanno essere davvero generosi e grandiosi, compiono azioni oggettivamente buone; il problema è la motivazione di fondo che li spinge a farle). Quando Jennette iniziava a reclamare la propria indipendenza da adolescente, la madre le si scagliava contro, facendo leva sul suo senso di colpa e sulle conseguenze catastrofiche che il suo comportamento avrebbe provocato. Eppure a Jennette, curiosamente, pareva normale. Jennette aveva subito molte angustie, aveva plasmato il suo comportamento sulle richieste di sua madre, ma per lungo tempo non riesce a essere critica.

La figura di Debra subisce un netto ridimensionamento nella testa di Jennette quando Mark le confessa, un anno dopo la morte della moglie, di non essere il padre biologico suo e di due dei suoi fratelli.

Debra aveva un’altra relazione, Debra sapeva mentire.
Nel 2018 Jennette si prende una pausa a tempo indeterminato dalla recitazione e si dà alla scrittura, con idee più chiare sulla direzione da dare alla sua vita. Spero che continui su questa strada perché Sono contenta che mia mamma è morta, pur lungo, è molto ben strutturato. Composto da tanti capitoli brevi, il tono è quello leggero della commedia (imprinting della sit-com?), molto ironico; il punto di vista è quello di Jennette bambina e poi ragazzina, ma la verità dell’abuso arriva nuda e cruda. Ne consiglio la lettura, può essere uno spunto per indagare le proprie dinamiche familiari e scoprire che situazioni ritenute normali in realtà sono abnormi. Non tutte le madri sono buone come si crede.


Sono contenta che mia mamma è morta

di Jennette McCurdy
Mondadori
Biografia
ISBN 978-8804773207
Brossura + cover rigida | 384 pagine cartaceo 14,38€
ebook 9,99€

Quarta

Jennette McCurdy ha solo tredici anni quando diventa una celebrità della tv grazie alla serie "iCarly". Dietro il suo sorriso smagliante si nasconde però l'inferno degli abusi fisici e psicologici a cui sua madre la sottopone fin da quando è bambina. Ossessionata dall'idea di fare della figlia una star, Debbie ha assunto il controllo maniacale di ogni aspetto della sua vita. E Jennette, pur di vedere la madre felice e di conquistare il suo amore, è disposta a rinunciare all'infanzia normale che vorrebbe così tanto. Giorno dopo giorno, per anni, Debbie cerca di distruggere Jennette per ricostruirla a suo piacimento. Solo quando il cancro obbliga Debbie a stare in ospedale e lontano da lei, Jennette scopre fino a che punto è riuscita a devastarla. Preda di disturbi alimentari, dell'alcol e di una grave depressione, è costretta ad affrontare il suo passato e il mostro che l'ha resa ciò che non avrebbe mai voluto essere. Scritto con disarmante sincerità e umorismo nero, "Sono contenta che mia mamma è morta" è il racconto di quello che succede quando chi ci dovrebbe amare più di tutti abusa della nostra innocenza. Ma soprattutto è una storia che parla di resilienza e conquista della libertà. E della felicità di farti lo shampoo da sola.



Elena Genero Santoro


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