La poesia è sempre stata paragonata alla musica. Le parole alle note e il suono che producono è l’accostamento dei pensieri che si attorcigliano e come rampicanti si rincorrono.
La poesia va gustata e la poesia di Marilina Ciociola, giovane autrice pugliese alla sua seconda esperienza letteraria (>> intervista con Silvia Pattarini), è poesia di vita a doppio strato. L’introduzione di Teresa La Scala ci immerge subito con un’analisi attenta nella raccolta di poesie “Homo Ridens”.
La poesia emerge come denuncia di una realtà incellofanata e di una vita che non ha paura del dolore. L’andamento delle poesie è come lo sciogliere di un linguaggio. Non c’è da decifrare un codice ma al contrario l’autrice dispiega sentimenti contrastanti.
Ci si accosta alla campana di vetro che si infrange senza tagliarsi. Ci si fa coinvolgere dai sogni adolescenziali che sono punti esclamativi.
Ci si sdraia per vedere le stelle e il cambiare viene percepito come un nuotare controcorrente avendo sassi al posto dei piedi e pinne come ali.
C’è la nebbia da oltrepassare che non confonde e non ostacola, ma rende partecipe il lettore della duplice dicotomia assai preziosa per poter emergere dalla propria condizione. La vita seppur dura è finalizzata a scoprire una parte del proprio essere, del mondo, del padrone che ci sta accanto. La pena è sviata, colpisce ma si affievolisce per quella costanza che si cuce attraverso i versi. Una forma di lotta senza ribellione. Le ferite sono già aperte e non marce, versi di un accostamento nuovo, capaci di genere un antibiotico naturale per potersi tirar fuori dalle vite degli altri.
La poesia di “Homo Ridens” è soprattutto speranza e non denuncia di una condizione che non può essere cambiata. Accarezza volti e nodi ma niente è immobile. Tutto muta. La mancanza è un vento tiepido d’estate e la vita è un giro avvitato in senso antiorario.
La poesia non è imbrigliata in canoni, è il parto di una bolla che non si rompe. La poesia sciolta che arriva a condensarsi in monogrammi dal loro significato lapidario che come una pittura sotto la crosta del tempo si mostra intatta.
Si attende una resurrezione che è in qualche angolo degli occhi dove le lacrime sono risorse e non pena. E la poesia scivola lieve.
La poesia va gustata e la poesia di Marilina Ciociola, giovane autrice pugliese alla sua seconda esperienza letteraria (>> intervista con Silvia Pattarini), è poesia di vita a doppio strato. L’introduzione di Teresa La Scala ci immerge subito con un’analisi attenta nella raccolta di poesie “Homo Ridens”.
La poesia emerge come denuncia di una realtà incellofanata e di una vita che non ha paura del dolore. L’andamento delle poesie è come lo sciogliere di un linguaggio. Non c’è da decifrare un codice ma al contrario l’autrice dispiega sentimenti contrastanti.
Ci si accosta alla campana di vetro che si infrange senza tagliarsi. Ci si fa coinvolgere dai sogni adolescenziali che sono punti esclamativi.
Ci si sdraia per vedere le stelle e il cambiare viene percepito come un nuotare controcorrente avendo sassi al posto dei piedi e pinne come ali.
C’è la nebbia da oltrepassare che non confonde e non ostacola, ma rende partecipe il lettore della duplice dicotomia assai preziosa per poter emergere dalla propria condizione. La vita seppur dura è finalizzata a scoprire una parte del proprio essere, del mondo, del padrone che ci sta accanto. La pena è sviata, colpisce ma si affievolisce per quella costanza che si cuce attraverso i versi. Una forma di lotta senza ribellione. Le ferite sono già aperte e non marce, versi di un accostamento nuovo, capaci di genere un antibiotico naturale per potersi tirar fuori dalle vite degli altri.
La poesia di “Homo Ridens” è soprattutto speranza e non denuncia di una condizione che non può essere cambiata. Accarezza volti e nodi ma niente è immobile. Tutto muta. La mancanza è un vento tiepido d’estate e la vita è un giro avvitato in senso antiorario.
La poesia non è imbrigliata in canoni, è il parto di una bolla che non si rompe. La poesia sciolta che arriva a condensarsi in monogrammi dal loro significato lapidario che come una pittura sotto la crosta del tempo si mostra intatta.
Colonnati
La riva del mare
Inonda,
sprigiona voglia
di rimettere in parole
il giorno.
Si attende una resurrezione che è in qualche angolo degli occhi dove le lacrime sono risorse e non pena. E la poesia scivola lieve.
Ventisei poesie di una giovane autrice pugliese alla sua seconda esperienza letteraria.
Ancora una volta versi, immagini e parole lasciate libere di trasformarsi di fronte a nuovi occhi.
Bizzarre interpretazioni, schiocchi di dita, rallentati battiti di ciglia…in leggera ripresa la razionalità rispetto ai componimenti di qualche anno fa.
L’obiettivo sempre lo stesso: riprodurre la realtà vista da me, il più possibile priva di compromessi e con la ricerca della parola e della sensazione appropriata come centro focale. Riprendere il controllo nel momento in cui il lasciarsi andare invade spazi non permessi, inquadrature caleidoscopiche; un vortice di forzature da affiancare alla naturalezza, alternanze non spiegate.
Ognuno svolga il suo compito di lettore, dia nuova speranza alla composizione.
Samantha Terrasi Vivo tra Torino e Roma, dove sono nata. Mia nonna avrebbe voluto che mi chiamassi Maria Concetta, ma per fortuna mio padre di ritorno da un viaggio negli States mi ha chiamato Samantha, rigorosamente con la h. Formazione scientifica, una laurea in biologia molecolare per poi scegliere di tramandare il mio sapere agli studenti. Sono una professoressa di matematica e scienze senza occhiali e quando non mi trovo tra equazioni e studenti, scrivo. Parole nel vento, Aletti Editore, 2012. Ti aspetto, Lupo Editore. |
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