Gli scrittori della porta accanto

Vincent Van Gogh: il giallo che colorò il mondo

Vincent Van Gogh: il giallo che colorò il mondo

Arte Di Letizia Bilella Vincent Van Gogh: autodidatta, indisciplinato, animo tormentato, emarginato in vita e celebrato dopo il suicidio, un artista che ha condotto la pittura al di là delle sperimentazioni impressioniste, portando luce e colore a diventare espressione dell’anima.

Il 27 gennaio del 1891 morì il fratello di Vincent, Theo van Gogh; aveva 34 anni; Vincent morì tre anni dopo a 37 anni come Raffaello Sanzio e Mozart prima di lui e come Amedeo Modigliani dopo di lui. I geni se ne vanno via presto, alcuni chiamati dalla sorte nefasta, altri per volontà propria.
Le professioni verso cui si indirizzavano abitualmente i maschi della famiglia Van Gogh erano sostanzialmente due: il prete e il mercante d’arte. Vincent imboccò prima l’una e poi l’altra strada con sincera volontà di riuscita. Tutte e due le volte fu un fallimento ma entrambe le esperienze pesarono sulla sua futura carriera artistica.
Scriveva Artaud:
Non si tratta della crudeltà che possiamo esercitare gli uni contro gli altri ma di quella ben più terribile e necessaria che le cose possono esercitare contro di noi. Noi non siamo liberi. E il cielo ci può tuttora cadere sulla testa.
Sembra che parli dei cieli contorti e minacciosi dipinti da Vincent Van Gogh negli ultimi anni della sua brevissima stagione pittorica. Evoca il dipinto del Campo di grano dell’estate del 1890, quello con i corvi che volano sotto un cielo minaccioso che sembra contenere due volte il sole come un’allucinazione.

Vincent Van Gogh nasce a Groot Zundest, nel Brabante olandese, il 30 marzo del 1853, figlio di Theodorus Van Gogh, pastore protestante e Anna Corbentus. 

Le notizie sui primi dieci anni della sua vita sono scarse.  Nel 1864 a 11 anni viene mandato in un collegio nella vicina Zevenbergen, ma già nel 1868 la sua carriera scolastica si interrompe bruscamente. I motivi sembrano essere economici ma l’abbandono è anche dovuto al suo scarso profitto scolastico.
Nel 1869 uno zio gli trova lavoro presso una filiale della casa d’arte parigina Goupil a l’Aja. Alla Goupil entra in contatto diretto e stabile con la pittura e con il disegno e può accedere a un gran numero di riproduzioni e fotografie di opere d’arte del passato e contemporanee; nel tempo libero ha poi l’occasione di visitare i musei della città e studiare le opere dei maestri olandesi.
Il 1873 è l’anno del suo trasferimento alla filiale di Londra dove rimane per due anni; l’unico svago della città britannica sono le visite ai musei, la lettura e il disegno. È proprio durante il soggiorno londinese che comincia a farsi strada in Vincent un atteggiamento mistico che via via si trasforma in vero e proprio furore religioso.
L’esperienza alla Goupil aveva lasciato il segno nella sua mente e nel suo cuore fissandovi la passione per l’arte e affinandone il gusto. In un’epoca in cui la fruizione diretta delle opere d’arte era un fenomeno sostanzialmente d’elite, la casa d’arte parigina e le sue filiali assolvevano al compito di diffondere la produzione artistica contemporanea attraverso la realizzazione e la vendita di riproduzioni. Il disegno è l’ambito espressivo da cui Van Gogh riparte per arrivare poi, gradualmente, alla pittura.

Campo di grano di Vincent Van Gogh

Una vita da girovago la sua, dal maggio 1875 all’aprile 1876 lavora a Parigi. 

Raggiunge col padre un compromesso: sarà lasciato libero di seguire la sua vocazione ma in modo tale da garantirsi uno sbocco vantaggioso, studiando cioè teologia all’università di Amsterdam. Ma ad un certo punto decide di rinunciare: la fatica è troppa.
Nel luglio del 1878 lascia Amsterdam per tornare a Etten. All’inizio del 1879 arriva dalla scuola evangelica di Bruxelles un parziale riconoscimento, la nomina temporanea a predicatore laico del vicino paese di Wasmes, con un compenso di 50 franchi mensili. Vincent sembra vicino a raggiungere il suo obbiettivo ma la sua incapacità di essere normale compromette le cose ancora una volta. Si rifiuta di abitare in una casa dotata di comodità trasferendosi in una baracca, dorme per terra, mangia pane e acqua, cammina a piedi nudi, si infligge penitenze corporee, cura con devozione gli infermi anche se si tratta di malattie contagiose. Tanto zelo non è ben visto dai superiori che decidono di non rinnovargli l’incarico e, sconvolto da questo provvedimento si trasferisce nel villaggio di Cuesmes, dove farà il predicatore.

Solo contro tutti, vive nella più totale indigenza senza neppure più il conforto della corrispondenza con Theo. Nel 1880 i due fratelli smettono di scriversi fino al mese di luglio.

La voglia di disegnare lo prende prepotentemente all’epoca del suo volontariato tra i minatori del Borinage. Vincent prende a disegnare con determinazione e accanimento, tanto più che il suo proposito viene rafforzato dalla speranza di poter contare sull’aiuto economico di Theo che nel luglio del 1880 gli manda il primo degli assegni mensili che gli garantirà per tutta la vita. I soggetti prescelti della prima produzione sono i poveri minatori dei disegni d’esordio e i tessitori; i personaggi ritratti nella stragrande maggioranza delle opere, anche pittoriche, degli inizi.
Nell’ottobre 1880, Vincent si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles per completare la sua formazione con un’educazione formale. Studia anatomia e prospettiva e frequenta il pittore Anton von Rappard, lavorando per qualche tempo nel suo atelier. Insofferente agli studi accademici, abbandona e continua da solo la sua preparazione.
Nell’aprile del 1881 si stabilisce a Etten dove disegna senza sosta, ritraendo i contadini al lavoro nei campi, la sua passione non corrisposta per la cugina Kee interviene a dare una conclusione drammatica al suo soggiorno, fino al gesto plateale di Vincent che una sera giunge a bruciarsi la mano (la sinistra) sulla fiamma di una candela.
Il padre lo caccia di casa la notte del Natale del 1881 e lui si trasferisce all’Aja dove frequenterà il pittore Mouve, un suo lontano parente. Con la sua guida approda alla pittura eseguendo, sul finire del 1881, i suoi primi dipinti a olio, due tele dal titolo Natura morta con cavolo e zoccoli e Natura morta con boccale di birra e frutta. I primissimi dipinti di Van Gogh ritraggono soprattutto paesaggi. Fin dai suoi esordi, è orientato verso immagini intense, più che belle, ben fatte.

I mangiatori di patate e Natura morta con cavolo e zoccoli di Vincent Van Gogh

Nel gennaio 1882 entra nella sua vita Clasina Maria Hoornik, detta Sien, una prostituta più vecchia di lui, alcolizzata incinta e già madre di una bambina. 

Vincent la accoglie in casa facendone la sua compagna e la sua modella. Finché decide addirittura di sposarla. Theo lo convince a separarsi da Sien, per dedicarsi esclusivamente all’arte.
Ha inizio per l’artista un periodo di solitudine e di amarezza. Nel dicembre del 1883 Vincent fa di nuovo ritorno a casa dei genitori a Nuenen, nel Brabante del Nord. Capolavoro di questo periodo è I mangiatori di patate eseguito nell’aprile-maggio 1885, che ritrae una semplice scena di vita familiare in una casa contadina.
Tra il novembre 1885 e il febbraio 1886 vive ad Anversa, dove riprende contatto con gli ambienti artistici ufficiali e dove si iscrive alla locale Ecole des Beaux-Arts; visita i musei, rimanendo affascinato dalle opere di Rubens e colleziona stampe giapponesi.
All’inizio di marzo va a Parigi dal fratello Theo: vi rimarrà fino a febbraio 1888, frequentando l’atelier del pittore Carman, dove incontra Tolouse-Lautrec ed Emile Bernard, e gli amici del giro degli impressionisti del fratello Theo: Signoe, Pissarro e Gauguin.

All’epoca, il meglio per un’aspirante artista è senza dubbio Parigi, la città che in quegli anni è ombelico del mondo, la metropoli del futuro dove sono da poco nate la fotografia e il cinema dei fratelli Lumière.

È la culla dell’impressionismo che ha inaugurato un modo rivoluzionario di dipingere, è il luogo in cui si sta innalzando l’incredibile mole di ferro della Tour Eiffel che presto sconvolgerà il vecchio panorama urbano, è la meta di rendez-vous culturali e mondani imperdibili come l’Esposizione Universale. È la capitale del piacere, con i suoi famosi locali notturni, primo fra tutti il Moulin Rouge.
Vincent giunge a Parigi il 28 febbraio del 1886. Theo lo accoglie in casa sua, i due fratelli iniziano una convivenza che sulla carta sembra offrire solo vantaggi: per Vincent non ci sarà più lo stillicidio e l’attesa spesso tormentosa dell’assegno mensile di Theo, mentre per la gestione comune delle spese potrà ridurre gli eventuali sprechi. Inoltre, le conoscenze di Theo e la frequentazione dell’ambiente artistico parigino si preannunciano decisamente favorevoli per gli sviluppi della carriera artistica di Vincent.
Van Gogh resta nella capitale francese dal febbraio 1886 al febbraio 1888. Momento della sperimentazione tecnica e del confronto con le tendenze più innovative della pittura contemporanea.
L’impatto diretto con la vita culturale della capitale, lo fa entrare in contatto con le tendenze d’avanguardia, mettendo in moto un processo di fondamentale importanza per la sua crescita scolastica. La tavolozza di Van Gogh muta e si arricchisce, il repertorio dei suoi soggetti che adesso accolgono temi tipicamente impressionisti cogliendo attimi di vita contemporanea in contesti cittadini, o atmosfere vibranti di luce in spazi aperti fuori città. Come i pittori impressionisti, anche Vincent si reca sulle sponde del fiume a lavorare “en plen aie”. E la pittura all’aperto lo porta ad approfondire il suo rapporto con il colore. Lo studio del colore polarizza la sua attenzione: ora giunge a coglierlo nella sua autonomia, senza più attribuirgli un carattere prevalentemente descritto come nel periodo più strettamente realista. I suoi colori diventano sempre più chiari e brillanti.

Pere Tanguy e Ponte di Langlois

Alla scoperta della pittura impressionista si collega, nel biennio parigino, la crescita dell’interesse di Vincent per l’arte giapponese che già appare in alcune sue lettere da Anversa. 

A Parigi le stampe giapponesi erano già oggetto di culto per Monet e compagni e non solo. Era una passione scatenatasi negli ambienti artistico-culturali parigini, non per il fascino dell’esotico ma anche per la curiosità sorta attorno a manufatti provenienti da un paese di cui si conosceva poco o niente. Van Gogh inizia a collezionare stampe giapponesi e a tenerne conto nei propri dipinti. Nel Pere Tanguy rende esplicito omaggio all’arte giapponese con le stampe che compaiono sullo sfondo della tela.
Negli anni parigini, incontra altri artisti, frequenta gli stessi luoghi; uno di questi è il Tambourin a Montmartre la cui proprietaria è una ex modella di Degas, l’italiana Agostina Senatori con la quale Vincent ha una breve relazione: a lei dedica un bel ritratto seduta a uno dei tavolini del suo caffè.
A Parigi la vita è fatta principalmente di competizione e di stress: «Per riuscire occorre ambizione»; il fatto che continui a non vendere i suoi quadri certo non lo aiuta né migliora i suoi rapporti con Theo dal cui sostegno si aspetta ben altro. 

Nel febbraio 1888 parte alla volta della Provenza, diretto al caldo rifugio di Arles, dove alla fine dell’anno lo raggiunge Gauguin.

Sotto il cielo di Provenza si stabilisce una corrispondenza tra il suo animo, la realtà esterna e la sua arte. La soggettività entra a far parte del dipinto; Vincent arriva a postularla come un bisogno irrinunciabile del proprio individuale processo creativo. La sua corrispondenza col fratello è piena di lucide autoanalisi circa il proprio stato mentale ed emotivo e ricca di preziose informazioni sulla gestazione artistica delle sue opere. 
Affitta quattro stanze in un edificio in place Lamartine: la celebre Casa gialla che ritrae nel dipinto omonimo. In attesa di sistemarla, dorme in una camera al Cafè de la Gare, dove diventa amico dei proprietari, i coniugi Ginoux. La signora Ginoux poserà per L’arlesiana, mentre il postino Roulin, sarà immortalato in vari ritratti e sua moglie verrà raffigurata nelle cinque versioni della Berceuse. Sono le stampe giapponesi il modello dei dipinti col motivo dei frutteti e delle diverse versioni del Ponte di Langlois che ricordano alcune vedute di Hiroshige. Ciò che rimane dell’influenza impressionista è la fedeltà di Van Gogh alle tonalità chiare e all’esecuzione “en plen air”: i colori, specie il gialloPaul Gauguin ricorda questo viscerale amore di Vincent Van Gogh per il giallo: 
Amava il giallo, il buon Vincent, quel pittore d'Olanda; bagliori di sole riscaldavano la sua anima, che aveva orrore delle nebbie. Un bisogno di colore. 
Anche dipingere all’aperto è una pratica irrinunciabile per Van Gogh; Esterno di caffè di notte e Notte stellata sul Rodano, eseguiti nel settembre del 1888, restano tra i suoi dipinti più suggestivi. Le stelle vi appaiono come soli in piena notte, circondate da un’aureola sfavillante simile al luccichio delle pietre preziose.
I colori stesi a piatto e con la spatola allo scopo di creare superfici ampie e omogenee caratterizzano un dipinto come La camera di Arles, la cui prima versione è dell’ottobre 1888. 

Van Gogh, Esterno di caffè di notte e Notte stellata sul Rodano

Il 23 dicembre del 1888, senza motivo apparente, prende un rasoio per colpire l’amico Gauguin che fuggendo spaventato passa la notte in albergo. Nel frattempo Vincent, in preda a una violenta crisi, si taglia il lobo dell’orecchio sinistro e lo porta incartato come un regalo a una prostituta di nome Rachel.

Quel tragico 23 dicembre in cui si mozza l’orecchio sinistro con un rasoio, Van Gogh è colto dal primo clamoroso caso di follia. Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che l’episodio debba spiegarsi con uno scoppio di autolesionismo combinato con allucinazioni auditive di un’acutezza insopportabile.
Il male di Vincent esplode in tutta la sua virulenza dopo anni di latenza nelle profondità del suo ego. I segni di una personalità disturbata sono già rintracciabili in molti dei suoi passati contemporanei, dal fanatismo religioso al tempo della predicazione nel Borinage all’esaltazione che caratterizza le sue fallimentari esperienze amorose. 
Nel 1882, nella lettera in cui Vincent rievoca il rifiuto della cugina Kee, che non aveva accettato il suo amore, spunta un accenno al suicidio, qui condannato in modo categorico. La bassa autostima di Van Gogh, accresciuta dalla frustrazione di un lavoro rivolto con grande pena e perennemente invenduto. La sua dipendenza economica dal fratello, lo fa sentire un’inutile zavorra, con conseguenti pensieri di morte


Nei due ospedali in cui fu ricoverato, Vincent fu ritenuto epilettico. A questi sintomi si associavano allucinazioni intollerabili sia visive che auditive; in seguito si è pensato soffrisse di epilessia parziale. 

Circa la causa esterna che avrebbe scatenato le crisi epilettiche, quella più probabile sembra l’abuso di assenzio, bevanda oggi considerata una vera e propria droga, all’epoca diffusissima in Francia, tanto che nel secondo 800 il suo consumo toccò punte altissime. Tolouse-Loutrec, Gauguin, Modigliani e Daumier furono grandi bevitori di assenzio e sia Monet che Degas ne fecero perfino il soggetto di alcuni loro dipinti. L’assenzio è responsabile di una percezione distorta dei colori denominata discromatopsia; c’è chi ha voluto far risalire proprio a questo difetto visivo l’origine del giallo Van Gogh: quella tonalità brillante e solare tipica della sua produzione arlesiana. 
Nel maggio 1889 a Saint-Remy si fa ricoverare alla Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausale, il locale istituto per alienati, dopo avere scritto al fratello Theo che la sua follia era sicuramente dovuta all’abuso prolungato di alcol, ma continua lo stesso a lavorare. Le sue opere cominciano a ricevere i primi apprezzamenti: espone a Les XX di Bruxelles. Iris assieme alla Notte stellata sul Rodano sono i due soli quadri esposti, alla sgangherata Societè des Artistes Indipendants.

Casa gialla e L’arlesiana

Il 15 maggio del 1890 Vincent lascia l’ospedale di Saint-Remy e parte alla volta di Parigi da solo e vi rimarrà soltanto tre giorni; il 27 luglio del 1890 Van Gogh si spara, e morirà due giorni dopo senza aver mai perso conoscenza.

Trascorrerà tre giorni felici a casa di Theo dove conosce la cognata e il nipotino di pochi mesi, chiamato Vincent-Willem. 
Si recherà poi ad Auvers-su-Oise, stabilendosi prima all’albergo Saint-Aubin e poi al caffè-pensione dei coniugi Ravoux, nella piazza del municipio. Ad Auvers, Van Gogh riprende a lavorare con energia realizzando nei suoi due ultimi mesi di vita oltre 80 dipinti. Le opere di questo periodo confermano il suo stato d’animo più sereno. Vi si nota lo sforzo di una mente confusa in cerca di regole dopo gli eccessi delle tele nate a Saint-Remy. Negli ultimi tempi Vincent stenta a soffocare un conflitto interiore che urge e preme, alimentando contraddizioni formali come nella Chiesa di Auvers, in cui la grazia della composizione stride con la violenza dei colori. Vincent è ormai preda di un demone interiore che lo possiede a intervalli sempre più ravvicinati.
Il 27 luglio Van Gogh esce per dipingere nei campi, al suo rientro, dietro le insistenze dei Ravoux che si preoccupano del suo aspetto sofferente, confessa di essersi sparato un colpo di pistola al petto. Viene chiamato il suo medico, il dottor Gachet che informa subito Theo dell’accaduto. Il fratello si precipita al suo capezzale ma il suo destino è segnato: Van Gogh muore la notte del 29 luglio, all’età di 37 anni. Addosso gli viene trovata una lettera non finita, indirizzata a Theo.
Anna Cornelia Corbentus, la madre di Vincent, il 30 marzo 1852 dà alla luce il primo figlio che morirà poco dopo la nascita. Il 30 marzo del 1853 un altro neonato viene alla luce e sopravvive, esattamente lo stesso giorno del fratellino morto. Qualcosa di scritto nelle stelle, come a dire che perfino il Cielo considerava il secondo Vincent un rimpiazzo del primo.
C’è chi ha avanzato l’ipotesi del senso di colpa, maturato in lui fin dall’infanzia, per spiegare quel male di vivere di cui Vincent soffrì fino al giorno del suicidio. Il piccolo Vincent crebbe con un animo tormentato, inquieto, più ricettivo del normale. La sua personalità sembra plasmarsi quasi per contrasto in seno alla rispettabile e conformista famiglia borghese in cui ha in sorte di nascere e nell’ambiente di provincia chiuso e bigotto dove si trova a vivere.
Da dove salta fuori il revolver che Vincent porta con sè il 27 luglio? 
Due le ipotesi: la prima sostiene che Vincent avesse comprato la pistola a Pontoise; la seconda, che gliel’avesse data il suo amico Ravaux quel tragico pomeriggio per scacciare i corvi mentre dipingeva all'aperto. Quest’ultima tesi accetta come veritiera la testimonianza resa molti anni più tardi sull’accaduto dalla figlia dei Ravoux, Adeline, che all’epoca dei fatti era un’adolescente.
I funerali si svolsero il 30 luglio. La sua bara venne interamente ricoperta da girasoli, quei fiori che amava così tanto. Accanto a lui, nel cimitero di Auvers, riposa suo fratello Theo, amorevole soccorritore di tutta una vita.
Emarginato in vita e celebrato dopo la morte; un artista che ha condotto la pittura al di là delle sperimentazioni impressioniste, portando luce e colore a diventare espressione dell’anima.

Iris e I girasoli


Letizia Bilella

Letizia Bilella
Diploma di maturità in Perito Commerciale e Programmatore, e laurea in Conservazione dei Beni Culturali (nello specifico in Beni Archivistici e Librari). Amo i libri sia come contenitore, sia per il contenuto. Amo scrivere, sia nel senso proprio di impugnare una penna, sia buttare idee su un foglio e dar loro forma. Dal 2010 collaboro con un settimanale della mia provincia (AG), e con varie testate giornalistiche della zona, occupandomi di cultura, spettacolo, e in alcuni casi anche di politica locale. Nel mio piccolo comune (Burgio) faccio la guida turistica, e collaboro attivamente con l’Amministrazione Comunale nell’organizzazione di eventi. Amo tutto quello che è arte, in ogni sua forma, ogni suo aspetto.


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