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Buenos Aires, La Boca: tra immigrati italiani e desaparecidos

Buenos Aires, La Boca: tra immigrati italiani e desaparecidos - Viaggi

Viaggi Di Emanuele Zanardini. Buenos Aires, La Boca: l'Argentina come luogo di esodi, quando a cercare una vita migliore eravamo noi italiani.

In poche ore di volo, sotto i miei piedi ben ancorati nel cielo, scorre il tempo insieme al paesaggio. La Patagonia è lontana solo nello spazio. È ancora vicina invece agli occhi e lo sarà sempre al cuore. Non ho la sensazione di spostarmi solo di poche centinaia di minuti, quanto di molte centinaia d'anni. Di seguire l'evoluzione dell'uomo, dalla selvatichezza, alla modernità.


Il tramonto è stato come la piega tra due pagine dello stesso libro. Due pagine che racchiudono capitoli diversi. La superficie dove sono state vergate le parole di questa storia, da opaca e selvaggia, s'è fatta artificiale e luccicante.
Non so da quanto tempo stiamo sorvolando questa distesa di luci. Sarà mezz'ora almeno. Buenos Aires mi lascia da subito con il fiato sospeso. È immensa. Per raggiungere l'aeroporto sul Rio de la Plata, dove confluisce nel mare, si sorvola tutta l'area metropolitana.
Buenos Aires è un formicaio civilizzato.
Paul Theroux
Buenos Aires, l'Argentina, luoghi di esodi, impressi nella memoria del nostro popolo. Quando a cercare una vita migliore eravamo noi italiani.


La città venne fondata per la prima volta nel 1530.

Quasi in contemporanea con il viaggio di Magellano intorno al mondo quando, percorrendo il canale di passaggio tra i due oceani più estesi, nel 1520, avvistò i fumi dei Fuochi sulla Terra ferma.
Il quartiere de La Boca fu il primo approdo dei nostri emigranti. Gli abitanti del quartiere si definiscono ancora come Xeneizes, deformazione di Genovesi, perché da quella città provenivano i fondatori. Non è forse un caso che qui sorga la Bombonera, la stadio del Boca Juniors, prima squadra di Maradona, una delle squadre di calcio (vera passione italica) più evocative per i tifosi di tutto il mondo. Un catino quadrato, elevato sopra le case del barrio, richiuso attorno a esso.
Nel 1876 fu fondato da questi immigrati un movimento separatista di carattere politico-elettorale. Nel 1882 gli abitanti della Boca si autoproclamarono Repùblica indipendente de la Boca, issando la bandiera di Genova e costituendo un territorio indipendente dall'Argentina: firmarono un atto formale che inviarono al Re d'Italia Umberto I di Savoia. La disputa si risolse con un accordo con il Presidente della Repubblica argentina.
Le facciate di molte case, soprattutto lungo Callejón Caminito, sono ricoperte dalle lamiere ondulate dei container e dipinte con sgargianti pitture navali, avanzi della verniciatura delle chiatte da trasporto. Queste note di colore rendono La Boca il quartiere più visitato dai turisti e uno dei più caratteristici. L'artista Quinquela Martìn, originario di qui, decorò con murales i muri del Caminito e vi fece sorgere un mercato per valorizzare gli artisti locali, cosi ricco di manufatti artistici, pittorici, artigianali, che è un piacere visitare.

E la città, adesso, è come una mappa
delle mie umiliazioni e fallimenti;
da quella porta ho visto i tramonti
e davanti a quel marmo ho aspettato invano.
Qui l'incerto ieri e l'oggi diverso
mi hanno offerto i comuni casi
di ogni sorte umana; qui i miei passi
ordiscono il loro incalcolabile labirinto.
Qui la sera cenerognola aspetta
il frutto che le deve il mattino;
qui la mia ombra nella non meno vana
ombra finale si perderà, leggera.
Non ci unisce l'amore ma lo spavento;
sarà per questo che l'amo tanto.

Buenos Aires, Jorge Louis Borges

La Boca e  Puerto Madero

La sensazione di immensità di questa metropoli intuita dall'aereo, si dilata mille volte quando la si penetra in autobus. O in taxi. 

Gli autisti si alterano se non sai comunicare con quale via si incrocia la tua destinazione. Trovare poi un punto preciso su viali lunghissimi e spazi immensi, diventa problematico senza la dovuta attenzione. Spostarsi da uno dei 47 quartieri a un altro, richiede una buona dose di pazienza.
I cantori di Buenos Aires l'hanno raccontata come un luogo dove è facile perdere l'identità, per Jorge Luis Borges; il senso di smarrimento, di caos, di una società di immigrati, con i loro sogni e utopie di ricchezza, che spesso finiscono in misere esistenze, per Roberto Arlt.
Se è stata di certo avamposto di speranza per generazioni di disperati, è divenuta drammaticamente tomba delle aspirazioni di libertà di un'altra generazione. Ancora oggi Plaza de Mayo è luogo di incontro delle madri e nonne che hanno visto figli e nipoti scomparire dal tramonto all'alba e mai più ritornare. Un giorno alla settimana si ritrovano per perpetrare il ricordo di quella tragedia e chiedere verità vera.


Durante la dittatura militare, che aveva nel generale Jorge Rafael Videla il suo primo presidente, l'esercito fu impiegato nella “pulizia” della società argentina da influenze di sinistra, reali o immaginarie che fossero. 

Tra dieci e trentamila desaparecidos, centinaia di bambini rapiti alle loro madri e adottati da ricche famiglie, l'aristocrazia fascista colpevole della feroce repressione.
Un altro luogo di particolare significato è Escuela Superior de Mecánica de la Armada, ESMA. Dal 24 marzo 1976, giorno stesso del colpo di stato, divenne luogo di detenzione e di tortura per i dissidenti. Qui venivano sottoposti a torture di ogni tipo, inumane umiliazioni e infine uccisi. Famigerati sarebbero diventati con lo svelarsi degli eventi i voli della morte, i prigionieri sedati venivano gettati dagli aerei nelle acque del Rio de la Plata.
Il giorno dell'inaugurazione del museo sui crimini della dittatura che ha sede nell'edificio, rimane il discorso di uno dei figli di desaparecidos nati nelle sue celle:

Mi chiamo Emiliano Hueravillo, sono nato qui alla ESMA. Qui mia madre, Mirta Mónica Alonso, mi diede alla luce. Come lei, in tutti i centri di detenzione della zona sud di Buenos Aires, centinaia di coraggiose donne diedero alla luce i loro bambini in mezzo ai medici torturatori. A Tutti i nostri fratelli e sorelle che sono nati qui, e che non sono ancora ritornati alla propria famiglia come ho potuto fare io: voglio che sappiano che li stiamo cercando, li stiamo aspettando, vogliamo raccontargli che le loro madri li amavano, che i loro padri li amavano, e che appartennero alla parte migliore di una generazione che si mise in gioco completamente per consegnarci un paese migliore.

Una ferita che non si rimarginerà mai, fino a quando, almeno, non sarà raccontata tutta la verità.

La vita sociale, in parte economica e culturale, si svolge nelle confiterías, i caffè. Luoghi di appuntamento per concludere affari, fare discussioni politiche o due chiacchiere tra amici. 

La tradizione dei caffè si deve alla elevata proporzione di immigrati maschi celibi, o che avevano lasciato le mogli al paese d'origine, che si recavano in quei luoghi per stare in compagnia, fumare o giocare a domino.
Nella zona di Puerto Madero, questa tradizione si è modernizzata, gli edifici portuali sono stati riconvertiti in eleganti bar e ristoranti, facendone una zona alla moda. Lungo il canale del porto si stende una passeggiata, che porta i visitatori alla presenza della Fragata Sarmiento, ultracentenaria nave (1897), ora museo, che conserva ancora decorazioni e mobilio originali. Da vedere il Puente de la Mujer, la cui struttura portante e i tiranti la fanno assomigliare a un'arpa stilizzata. Tutto attorno la maggior parte dei palazzi più moderni della città.
Sempre all'interno del barrio di Puerto Madero, sorge il Museo dell'Immigrazione, allestito nell'Hotel degli immigrati. Funzionò come centro di accoglienza per gli immigrati fino al 1953 e lì è passato circa un milione di persone. Visitare il museo significa fare un viaggio nel tempo e mettersi in contatto con tutti quelli che sono arrivati a Buenos Aires, in cerca di una vita nuova. Attraverso documenti storici, foto e film, si possono osservare le condizioni nelle quali i migranti arrivarono in Argentina. 
Di fronte alle sofferenze patite in quelle lunghe traversate, amplificate dal dolore per i famigliari lasciati a casa; alle condizioni di emarginazione e solitudine testimoniate da questi cimeli, per me italiano è stato illuminante vedere come il destino possa apparire cinico.
Quell'America “scoperta” da Cristoforo Colombo, conferendogli fama imperitura, sarebbe diventata, secoli dopo, porto di destinazione di mesti conquistatori di un futuro tutto da costruire.

Emanuele-Zanardini

Emanuele Zanardini
Ho scavallato l'età della scuola senza infamia e senza lode... e ancora sto “immaginando” cosa farò “da grande”.
Ho toccato il suolo dei cinque continenti, ho visto il mondo, senza avere la pretesa di averlo capito. Eppure in ogni luogo ho trovato una storia. E ho deciso di raccontarle!
Mi sento un uomo in viaggio (d'amore), Selfpublished.
La guerra è finita, andate in pace, bookabook.


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