Viaggi Di Emanuele Zanardini. Argentina, i (sette) colori del nord: 1000 miglia dalla pianura alle Ande. E ritorno. Parte I.
Santiago del Estero – 0 km
Il sole rischiara l'orizzonte, cogliendoci lungo la strada diritta. Poco traffico fino a ora.Di certo per l'eccitazione ho dormito poco e dunque la mia mente fa il paio con il cielo nuvoloso e offuscato. Abbiamo davanti quasi 1000 miglia da percorrere in tre giorni, ma un milione di passi comincia sempre da uno, recita un detto africano.
L'umore in auto è buono, ma paga dazio al tempo che non ci svela più di tanto il paesaggio. Saliamo verso San Miguel de Tucuman. La città è alle propaggini della cordigliera andina. La nostra strada rimane a sud. Dopo una breve colazione in una stazione di servizio, inizia la salita verso le altezze delle Ande.
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El Indio – 189 km
Il versante est è rigoglioso e verde. La comoda strada di montagna scollina presso il monumento El Indio. Un indio con un ginocchio a terra e le braccia aperte, rivolto alla valle. Sul poderoso piedistallo gli fa compagnia un'aquila, pronta a spiccare il volo. Opera dell'artista tucumano Enrique Prat Gay, è stato eretto in omaggio ai messaggeri che a piedi percorrevano le immense distanza dell'impero Inca.Rimango con il naso rivolto al cielo, seguendo le sue braccia imploranti, ma non sembra avere alcuna intenzione di aprirsi.
El Infernillo - 241 Km
La strada prosegue su un altopiano. Andando verso Tafì del Valle, sulla nostra sinistra dovrebbe esserci un lago, ma la nebbia nel fondovalle lo cela. Ancora questi dispetti! Ci chiediamo se siamo giunti qui nel momento sbagliato. Forse, ci diciamo per esorcizzare la nebbia, con l'avanzare del giorno il sole la dissolverà.Saliamo di quota dolcemente. La vegetazione si dirada e si abbassa con l'aumentare dell'altitudine. Iniziano a vedersi buchi nella coltre grigia e un pallido disco bianco dietro le nuvole.
Finalmente sprazzi di cielo azzurro e luminoso! La nebbia che diventa foschia, trapassata dai caldi raggi, si rifrange in giochi di luce che aprono il cuore.
Le montagne arrotondate sono decorate di neve, un ghirigoro armonioso si disvela lungo l'orizzonte.
Un branco di cavalli pascola allo stato brado, brucando l'erba giallastra.
Il panorama si offre in tutto il suo splendore!
Dai 3042 metri del Parador El Infernillo, più avanti, la valle ai nostri piedi rigurgita nuvole bianche. Lontano solo una piramide regolare sbuca dal mare spumoso.
È un piccolo insediamento, dove un monumento ricorda il 200° anniversario dell'indipendenza argentina. Una casetta tipica sfoggia sulla parete anteriore delle belle maschere di terracotta. È l'ingresso del Parque Provincial Cumbres Calchaquíes.
Un simpatico lama si mette in posa per le fotografie. Sembra quasi voler baciare un turista, che gli offre da mangiare. Gli porgo un grissino che l'animale, non mancando di una certa altezzosità, mangia dalla mia mano.
Ora il cielo è di un blu spesso, terso, tipico delle grandi altezze. Sembra un mondo capovolto. Sotto di noi il cielo nuvoloso e sopra le nostre teste il mare.
Ruinas de Quilmes – 295 km
Imbocchiamo la mitica Ruta Nacional 40, la strada che percorre il paese dal confine con la Bolivia, a La Quiaca, fino a Rio Gallegos, nella Patagonia argentina. Scendiamo di 1000 metri, nella pianura assolata e calda.Le rovine di Quilmes sono i resti di una delle prime ciudades pre-ispaniche dell'intera Argentina. Nel corso degli anni sono passate di mano, fino a diventare proprietà dei discendenti del popolo che la costruì e abitò. Ne hanno così potuto curare la ricostruzione per permettere le visite turistiche.
Il popolo Quilme fu sconfitto dagli spagnoli nel 1667 e pare si estinse nel 1716. Il sito è stato ricostruito per una parte esigua. La cittadella era munita di due forti per la difesa. I muri di pietra delle abitazioni si alternano a piccoli cactus. Alle rievocazioni di antichi culti popolari, come il dono alla Pacha mama, la madre terra.
Ma forse i veri monumenti sono i grandi cactus, al cospetto dei quali l'uomo è un piccolo, ammirato, osservatore.
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Quebrada de Cafayate – 349 km
Lasciata la Ruta 40, ci immergiamo nella Quebrada de las Conchas (o de Cafayate).La valle è stata scavata nei secoli dal Rio de las Conchas, è un lungo canyon le cui pareti sono montagne di un rosso scuro uniforme, che risalta contro il cielo blu. Su alcune pareti il vento ha cesellato quelle che assomigliano alle fitte finestre sulla facciata dei grandi edifici residenziali. Gli agenti atmosferici hanno in alcuni punti scoperto le varie fasi di formazione di questi monti, che cambiano colore a seconda delle sostanze predominanti che compongono ogni strato. Verdognolo, rosso scuro, ocra. Aspettando il cerro de los siete colores… ma ci arriveremo.
Incontriamo l'obelisco, una formazione regolare a forma di imbuto capovolto; il castillo, le cui pareti ricordano le torri di un castello medievale; l'osservatorio Tres cruses (394 km), dal quale si vede il fiume scorrere lento nella valle.
Il pezzo forte è la Garganta del Diablo (397 km), una gola stretta e profonda, che penetra come una ferita da coltello nella pietra. Un'insegna di legno, all'ingresso, spiega: sitio sagrado, centro de observacion y estudios de la cosmovision diaguita, una puerta al inframundo…
Al fondo della spaccatura c'è el Anfiteatro, una estesa pietra rossa, sacra, come ricorda un cartello, che vieta di arrampicarsi. Una comitiva di ragazzi schiamazzanti si diverte a scalare la garganta. Gli dei locali devono essere piuttosto infastiditi da queste intemperanze. Qui il sole arriva solo pochi minuti al giorno, da ciò deriva la sacralità del luogo?
La quebrada è lunga oltre 50 km e chi ha visto entrambe, ci dice che questa è anche meglio del Gran Canyon dei cugini dell'emisfero nord.
Salta – 546 km
Le ultime ore in auto ci portano a Salta, la capitale dell'omonima provincia. Prendiamo possesso della camera in un modesto, ma ordinato ostello. Poi fuori, alla scoperta della città.Salta fu fondata il 16 aprile 1582, dallo spagnolo Hernando de Lerma, per fronteggiare le tribù di indios chiriguanos e costituisce una tappa nel viaggio da Lima e Buenos Aires.
Entriamo nella piazza principale, sulla quale si affaccia la Catedral Basílica de Salta y Santuario del Señor y la Virgen del Milagro, le due statue sono poste in altrettante nicchie, ai lati dell'abside. Queste due immagini sono molto venerate, la loro festa si svolge a metà settembre.
La chiesa è colma e sono schierate figure particolari, vestite di rosso, con spade rituali e un cappello rosso come le divise. All'esterno una banda attende la fine della celebrazione, vestita nel medesimo modo.
Pochi passi più in là si incontra la Basilica y convento del San Francisco. La torre campanaria è separata dal corpo dell'edificio, a un angolo della piccola piazza antistante. Le luci la illuminano d'oro.
Vaghiamo per un po', in cerca di un posto dove mangiare. Ci accomodiamo infine a un piccolo tavolo, davanti a noi una pizza e l'immancabile birra Quilmes.
Alla tv trasmettono una partita di calcio. La televisione è riflessa in uno specchio, ma non me ne accorgo, e penso che stia trasmettendo al contrario. Vabbè, il primo giorno è stato intenso. La fatica gioca strani scherzi.
Purmamarca – 728 km
Colazione buona e abbondante in ostello. La sala da pranzo è gremita da una scolaresca, continuamente richiamata dagli accompagnatori. Siamo riposati e carichi per il secondo giorno di corsa verso nord.Passiamo a far visita al General Martìn Miguel de Güemes, personaggio illustre della città di Salta e primo gobernador della provincia omonima. Vissuto a cavallo tra '700 e '800, fu protagonista nella guerra di liberazione e in seguito in quella civile argentina. Dalla cima del monumento a lui eretto, in sella al fido destriero, osserva compunto la città che gli ha dato i natali.
La prima tappa di oggi è Purmamarca, località famosa per il Cerro de los siete colores.
Ci arriviamo senza indugio, giusto in tempo per incontrare una ragazzina con un maglione rosso e pantaloni a grandi fiori, in compagnia di una cucciolo di lama.
Una breve sosta per le urgenze e si riparte, perché un altro luogo brama appagare appieno il nostro gusto della scoperta.
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Emanuele Zanardini Ho scavallato l'età della scuola senza infamia e senza lode... e ancora sto “immaginando” cosa farò “da grande”. Ho toccato il suolo dei cinque continenti, ho visto il mondo, senza avere la pretesa di averlo capito. Eppure in ogni luogo ho trovato una storia. E ho deciso di raccontarle! Mi sento un uomo in viaggio (d'amore), Selfpublished. La guerra è finita, andate in pace, bookabook. |
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