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A quattro anni in Etiopia: viaggio a Wolisso, da Addis Abeba all'Africa rurale

A quattro anni in Etiopia: viaggio a Wolisso, da Addis Abeba all'Africa rurale

Mamme in viaggio Di Stefania Bergo. A quattro anni in Etiopia, il ricordo di un viaggio del 2014, a luglio: l'Africa rurale di Wolisso, a sud-ovest di Addis Abeba, nella stagione delle piogge.

La prima volta che ho portato Emma in Africa aveva tre anni e mezzo, in Uganda. Era Dicembre, e viaggiare verso il caldo, verso il sole, ha reso l'esperienza ancor più straordinaria. La seconda volta è stata dopo qualche mese, in luglio. In Etiopia. Destinazione Wolisso, ospedale St. Luke, dove il papà stava svolgendo un'altra delle sue tante missioni di qualche mese per Informatici Senza Frontiere e il CUAMM.


Prenotiamo il volo almeno tre settimane prima della partenza, il che, nel mio caso, significa un tempo incredibilmente ampio per poter preparare con cura questa nuova avventura. Avendo più giorni a disposizione, faccio fare ad Emma il vaccino anti epatite A, chiudendo il ciclo dei vaccini essenziali per poter gironzolare per l'Africa senza troppi problemi, e depredo H&M di felpe e magliette autunnali, dato che in Etiopia ci attende la stagione delle piogge – purtroppo.
Mi assicuro nuovamente con www.worldnomads.com e registro la mia presenza a Wolisso su www.dovesiamonelmondo.it, scoprendo che l'Etiopia è lo stato africano più sicuro – almeno nel 2014, quando siamo partite –, a patto di evitare le zone di confine con l'Eritrea, il Kenya, la Somalia e il Sudan "potenzialmente pericolose", come recita la bibbia del viaggiatore – le zone di confine sono sempre un po' più calde, in Africa.
A pochi giorni dalla partenza mi sorge un dubbio: l'obbligo di sei mesi di validità residua del passaporto per entrare in Etiopia vale solo se si fa richiesta del visto in Italia o anche se lo si ottiene direttamente all'aeroporto di Addis Abeba? Nessuno mi risponde, a parte un funzionario della polizia di stato del mio paese che mi suggerisce addirittura di rinunciare al viaggio, dato che il passaporto di Emma scade a dicembre. Ecco, alla mia terza isterica email, il 17 luglio qualcuno dall'ambasciata italiana in Etiopia mi risponde che la validità residua si abbassa a tre mesi se si ottiene il visto a destinazione. Ecco, tutto ok, possiamo andare senza paturnie.

Partiamo per l'Etiopia in mattinata, da Bologna, questa volta con Turkish Airlines. 

Ormai Emma sembra una viaggiatrice esperta, o meglio, una zingara felice come la mamma. Siamo una coppia perfetta. Faccio il check in con i miei che quasi quasi ci vorrebbero trattenere a terra, mentre noi non vediamo l'ora di volare. L'aeroporto è pieno per le vacanze estive. Per ogni operazione necessaria facciamo almeno venti minuti di coda. «Ma perché siamo ancora in fila, mamma?», mi chiede Emma ogni volta. Alla fine, dopo il controllo bagagli e passaporti, ci ritroviamo, senza alcuna priorità, ad attendere di salire sull'aereo, in una stanza densa di bambini, la maggior parte dei quali viaggia solo con la madre. E constatare questo, ancora una volta, mi fa sentire di appartenere ad un sesso che non è poi così debole e dipendente.

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Gli spazi tra i sedili della Turkish Airlines non sono molto ampi, ma il cibo è davvero buono, Emma spazzola la pasta al pomodoro e il dolce – c'è la possibilità di scegliere menu speciali, compreso quello per bambini, sempre accompagnato da gadget.
Mi illudo che poi voglia dormire un paio d'ore durante lo scalo a Istanbul, ma lei provvede molto presto a farmi cambiare idea. Ci facciamo una passeggiata per gli ampi negozi di sigarette/dolci/giocattoli e poi ci accingiamo alla nostra prossima meta: finalmente l'Etiopia. Il gate, al quale arriviamo per prime, si riempie dopo poco di viaggiatori di pelle scura. E solo allora realizzo che sto tornando in Africa. E quasi me ne commuovo.

Atterriamo ad Addis Abeba in piena notte. 

Emma è più sveglia che mai, mi dirigo verso lo sportello per ottenere i nostri visti. Siamo in fila con alcuni ragazzi – veneti, tra l'altro – conosciuti in volo e diretti ad una scuola gestita da un'associazione romana. Alcuni di loro escono dal guscio per la prima volta e mi ricordano tanto un lontano dicembre di dieci anni prima – dieci! – quando arrivai in Africa più imbranata che mai. Dopo il timbro, recuperiamo la valigia e cerchiamo papà Alessandro, cui non hanno permesso di entrare nell'aeroporto perché l'accesso è consentito ai soli viaggiatori, senza alcuna eccezione. Usciamo e lo troviamo ad attenderci al fresco di una notte appena un po' uggiosa. La stagione delle piogge ci accoglie con il suo profumo inconfondibile di terra – rossa – bagnata, aria umida e aromi esotici. Malgrado il fresco dato dall'altitudine, riconosco la mia casa.

Addis Abeba: in attesa dell'autobus | Ph. Stefania Bergo

Cosa fare ad Addis Abeba? Curiosare tra arti e mestieri e scoprire la tradizione gastronomica dell'Etiopia. Ed evitare il Lion Park!

Restiamo due giorni ad Addis Abeba, nella guest house del CUAMM, aspettando la macchina dell'ospedale che ci condurrà a Wolisso. Bevo finalmente il bunna, il vero caffè etiope servito in una tazzina riempita fino all'orlo – la cerimonia del caffè è assolutamente da non perdere e ormai la fanno in ogni locale –, e mi strafogo di injera, il pane spugnoso, rotondo, che funge anche da piatto, e shiro, una crema di ceci e legumi speziata con zafferano e berberè – peperoncino molto piccante! E per Emma non è difficile trovare nei ristoranti un buon piatto di spaghetti al pomodoro, forse ricordo della colonizzazione, oltre all'injera di cui subito si innamora.
Percorriamo i marciapiedi di Addis Abeba, una città in costruzione. Emma è comoda nella fascia dei viaggi e sbircia il mondo che la circonda, chiedendomi perché i bambini vendano chewingum sui marciapiedi. Io resto colpita soprattutto dai pulitori di scarpe, seduti su piccoli sgabelli o enormi pietroni, armati di straccio, contenitore d'acqua e bottiglia con il lucido. Pure le fermate dell'autobus sono state convertite a questo business: i clienti, sorprendentemente tanti, vi siedono in attesa del servizio, chiacchierando con il vicino come si fa solitamente dal barbiere – sono tutti uomini –, mentre il commerciante – a volte più d'uno, tutti in fila alla stessa fermata dell'autobus – lustra qualsiasi tipo di calzatura, dalle scarpe di tela ai mocassini di vernice.

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La domenica arrivano altri volontari – che per pura e sorprendente coincidenza hanno gli stessi nomi degli amici di Emma conosciuti in Uganda –, con la macchina che ci porterà, in serata, finalmente a destinazione. Con loro, sebbene non ne sia del tutto convinta, facciamo una rapida visita al tristissimo zoo della capitale – che a dispetto del nome non è affatto un parco per i leoni, ma una prigione –, in cui dei leoni sedati sonnecchiano intorpiditi in anguste gabbie piccolissime. Emma diventa lì un'attrazione, al pari degli sfortunati e penosi felini. Più di qualcuno, infatti, rimane incantato dai suoi capelli biondi e la fotografa distraendosi dal motivo per cui ha pagato 1 birr d'ingresso – circa 5 cent di euro –, facendo una lunga fila per entrare. C'è anche un parco giochi preso d'assalto dai bambini, che attendono il loro turno per accedere alle giostre, leccando un gelato o imbrattandosi le dita con dello zucchero filato.
Nel tardo pomeriggio, salutiamo la città e ci inoltriamo nella periferia. Dalle casupole cadenti ai lati di vie lastricate cosparse d'acqua e rifiuti organici, escono i più disparati personaggi: donne variopinte, lente, signorine eleganti e apparentemente fuori luogo, bambini scalzi, capre ruminanti e cani intimoriti. Il solito affresco a me tanto caro.


Wolisso: l'Etiopia rurale a 120 km da Addis Abeba. 

Lì ci aspettano Silvia, Fabio e i loro due bambini: il bellissimo e buffo Matteo e Linda, una quasi coetanea di Emma che l'attende già da giorni, annoiata dopo la chiusura delle scuole che lì frequenta. Fabio è il project manager del CUAMM, arrivato a inizio anno a sostituire il precedente, la moglie Silvia è una neonatologa che, per un'altra ancor più sorprendente coincidenza, ha iniziato a lavorare al centro neonatale di Camposanpiero proprio nel giugno del 2010 e si ricorda di Emma, di averla conosciuta con i tubicini nel naso e il cappellino di lana rosa – non fanno venire i brividi queste coincidenze?
A Wolisso c'è una lunga strada principale d'asfalto, percorsa da auto, bus e velocissimi bajaj, i piccoli autocarri a tre ruote così comuni in india e sulla costa del Kenya – i tuk tuk –, mentre le stradine perpendicolari, se si eccettuano alcune più ampie, sono lingue di terra fangose su cui si affacciano piccoli negozietti, accessibili attraverso ponticelli di assi di legno tremolanti. Si può trovare di tutto, dai tipici vestiti di cotone bianco o colorato, al pane fresco appena sfornato, alla pasta sfusa tenuta in grossi sacchi di iuta, alle scarpe con tacco per signore o quelle con fronzoli per bambine vezzose, alla frutta e verdura disposte in modo invitante sulle bancarelle, alle bevande e biscotti ricchi di coloranti. Ci sono numerosi locali dove trascorrere le serate ed eleganti patisserie dove ordinare dolcetti o spriss juice, dei frullati di frutta densi  – mango, papaya e avocado senza aggiunta di acqua o latte –, serviti con succo di lime.

Wolisso | Ph. Stefania Bergo

Scoprire Wolisso e i dintorni: l'Etiopia rurale e il Negash Lodge.

La migliore amica di Emma diventa presto Rhadit, una ragazzina bellissima, con i classici lineamenti etiopi, slanciata ed elegante. Lei sa parlare italiano, essendo cresciuta a contatto con i volontari, e prende subito in simpatia Emma, come fosse una sua sorellina maggiore, coccolandola e proteggendola da Buchi, la cagnolina che rincorre le bimbe chiassose per giocare.
Le mie giornate trascorrono lente, quasi avessero preso i ritmi locali. Risiediamo in una delle case dei volontari, dividendola con una pediatra. Al mattino, mentre gli altri sono al lavoro in corsia o negli uffici della direzione, chiacchiero con Mulu, la signora che si occupa della casa e di cucinare il pranzo, e mi improvviso baby sitter per Matteo e Linda, aspettando che Emma si svegli. Mulu avrà una cinquantina d'anni, eppure viene sempre al lavoro in jeans. Vedo anche molte altre donne portare usualmente i pantaloni e la cosa mi sorprende. Mi fa pensare che le donne qui, al contrario della rurale realtà conosciuta in Kenya, Sudan e Uganda, siano emancipate, che possano (sperare di) tener testa ad un uomo. E ovviamente me ne compiaccio. Ma sarà davvero così?
Con Emma, Linda e la sua mamma, ci addentriamo nelle viuzze di terra battuta di Wolisso, scoprendo i negozietti e facendo spesa di frutta e verdura ai mercatini. Una domenica andiamo a pranzo al Negash Lodge tutti insieme. I tavoli sono apparecchiati nel parco, tra rivoli d'acqua, ponticelli e scimmie che scorrazzano tra i rami, rubando di tanto in tanto il cibo ai commensali – anche a noi, ovviamente. Il lodge offre tutte le comodità ricercate da una clientela esigente, con camere ben rifinite, piscina coperta e scoperta e addirittura la SPA.

Wolisso: negozi e amici | Ph. Stefania Bergo

Luglio è la stagione delle piogge, in Etiopia. E Wolisso si trova a più di duemila metri d'altitudine. 

Questo implica che piova almeno una volta al giorno, spesso a lungo e abbondantemente, come aprissero una diga sulle montagne intorno e l'acqua si riversasse senza barriere, dirompente. L'aria è fresca e il cielo quasi sempre coperto. Ma Emma è felice, può indossare i suoi stivali di gomma rosa, l'impermeabile arancione, saltare nelle pozzanghere schizzandosi fino ai capelli, e ballare sotto la pioggia, come una principessa romantica. Anche io sono felice, anche se è la prima volta, qui in Africa, che dormo con le coperte di lana sul letto e non riesco a togliere la felpa nemmeno di giorno.
Ma l'aria profuma sempre di terra e natura bagnata.
Una mattina Emma si sveglia vomitando. E quello che sembrava solo un episodio, si trasforma in un paio di giorni di pena, in cui non riesce a trattenere nulla, nemmeno l'acqua, e piano piano si indebolisce. Fortunatamente, due pediatre si prendono cura di lei, visitandola e consigliandomi che fare: semplicemente aspettare, farla riposare e idratarla a piccoli sorsi. Dopo due giorni, si riprende e torna quella di sempre. In compenso, la notte prima di rientrare in Italia, lo stomaco mi tira un brutto scherzo e mi ripresenta la cena. Mi soccorrono sul pavimento del bagno mentre, completamente sudata, sono indecisa tra lo svenimento e il vomito. In queste condizioni non posso viaggiare, penso. Che succederebbe se svenissi in aereo o durante lo scalo a Istanbul? Chi si prenderebbe cura della mia bimba, che nemmeno capisce l'inglese? – al di là dei primi dieci numeri e di alcuni colori. L'idea mi terrorizza, così decido saggiamente di far valere la mia assicurazione, che ci prenota – e paga – un altro volo cinque giorni più tardi.


Quando lasciamo Wolisso il sole splende alto e la giornata è calda. L'estate è alle porte! 

Sono felice di questa giornata così limpida, sembra quasi fatto apposta per farmi vedere l'Etiopia in tutto il suo splendore almeno una volta prima di andarmene. E infatti, il viaggio in macchina fino alla capitale diviene un regalo. Vedo le immense pianure verdi dell'altipiano, le mandrie che pascolano o aiutano gli uomini ad arare i campi, i piccoli villaggi allungati sulla strada che brulicano di vita indaffarata, il cielo carico di nubi bianche, soffici. Respiro l'aria della mia Africa, umida, calda, l'inconfondibile mix di aromi che la contraddistingue: terra  – rossa – bagnata, natura incontaminata, legno, frutta e bucce essiccate al sole negli scoli, capre che ruminano tra l'immondizia, uomini e donne che lavorano sotto il cielo, fiori esotici e setosi, bambini che corrono scalzi, popcorn e caffè bollente servito lungo la strada.
Sebbene l'abbia vissuto in sordina, complice l'ansia di madre e il mio malessere fisico, ogni viaggio in Africa è per me un dono prezioso, un'occasione irrinunciabile. E mi lascia inevitabilmente dentro, davvero nel profondo, il desiderio di tornarci presto, di prendere un nuovo volo. E di portare Emma con me.
Amesegenallo Etiopia!




Stefania Bergo
Non ho mai avuto i piedi per terra e non sono mai stata cauta. Sono istintiva, impulsiva, passionale, testarda, sensibile. Scrivo libri, insegno, progetto ospedali e creo siti web. Mia figlia è tutto il mio mondo. Adoro viaggiare, ne ho bisogno. Potrei definirmi una zingara felice. Il mio secondo amore è l'Africa, quella che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui racconto nel mio libro.
Con la mia valigia gialla, StreetLib collana Gli scrittori della porta accanto (seconda edizione).
Mwende. Ricordi di due anni in Africa, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.
La stanza numero cinque, Gli scrittori della porta accanto Edizioni.


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