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Tiānānmén 30 anni dopo: per la Cina, nulla è successo

Tiānānmén 30 anni dopo: per la Cina, nulla è successo

Di Alessandra Nitti. Trent’anni dopo le proteste di piazza Tiānānmén, per la Cina nulla è successo: una giornata di violenza da dimenticare, da cancellare, da negare, censurando anche l'informazione.

In occasione del trentesimo anniversario della protesta di Tiānānmén lo scorso 4 giugno, in molti hanno ricordato quell’avvenimento. Da allora nulla è migliorato, al contrario: tutto ciò per cui lavoratori, studenti e contadini protestarono quel giorno è solo peggiorato.
Scrivo queste righe in un bus nel sud della Cina: se qualcuno potesse leggere l’italiano potrebbe facilmente contestare perché qui, quello che successe trent’anni fa a Pechino, non è mai successo.
Nella capitale ci ho vissuto e piazza Tiānānmén l’ho girata diverse volte. Una visita a questo vasto quadrato nel cuore della capitale, al quale confluiscono tutte le vie, è imprescindibile: lì c’è l’ingresso alla città proibita, dalla quale gli imperatori del Regno Sotto il Cielo si sono succeduti nei secoli, con il faccione di Mao che osserva i suoi “sudditi”, lì ci sono il Museo Nazionale e i palazzi governativi di questa potenza che sta conquistando il mondo, lì il mausoleo di Mao Zedong imbalsamato, che si lascia adorare da migliaia di fedeli ogni giorno.
Chi vi si reca non sempre si ricorda di quello che avvenne 30 anni fa, e di certo la maggioranza dei cinesi fa parte di questa fetta di popolazione. Molti – ma non tutti i cinesi – ricordano la famosa foto di Jeff Widener, quella dell’uomo che protesta fermo davanti ai carri armati, le buste della spesa tra le mani. Nessuno sa che fine abbia fatto.


Pochi giorni fa tutto il mondo ha commemorato la strage di Tiānānmén, una delle più violente da parte del governo cinese. Tutto il mondo, tranne la Cina. 

Anzi, quest’ultima ha persino rafforzato le restrizioni sull’uso di internet e io stessa sono riuscita a connettermi con molta difficoltà. Perché non vuole che se ne parli, perché in pochi qui sanno quello che successe. Una giornata di violenza da dimenticare, da cancellare via come una macchia di caffè sulla tovaglia bianca. Ancora oggi nessuno sa bene cosa successe quella notte e quante persone rimasero uccise. Trecento? Cinquecento? Mille?
Piazza Tiānānmén è un luogo immenso dove si viene perquisiti e controllati prima di accedervi, gli accendini sono vietati e prima di entrare nel mausoleo di Mao viene dato uno sguardo persino al cellulare. Spesso per entrare in piazza bisogna stare in fila venti minuti o più: l’ingresso è a numero chiuso. Una volta dentro si può acquistare una rosa bianca e deporla davanti al corpo imbalsamato di Mao; poi, all’esterno, si può comprare un berretto dell’era comunista con la stella rossa in cima e farsi una foto con il faccione del dittatore sventolando la bandiera a cinque stelle.


Il monumento ai lavoratori e la Porta della Città Proibita

Un viaggio nel passato, la censura sulla libertà di parola e di stampa quasi come durante la Rivoluzione Culturale del regime comunista, oggi nel 2019: una dittatura mascherata da progresso e tecnologia super avanzata. 

Non opponetevi al governo, non insultate Mao, non parlate dei fatti di Tiānānmén, dei campi di concentramento nello Xinjiang, né delle persecuzioni ai seguaci di alcune sette religiose: o verrete perseguitati, imprigionati se cinesi, bannati dalla Cina se stranieri.
I fatti di quella notte di trent’anni fa, tra il 3 il 4 giugno, non si sono più ripetuti: non ve n’è stata occasione. Studenti, operai e contadini presero coraggio e occuparono la piazza per qualche settimana in segno di protesta contro le restrizioni sulla libertà di parola e di stampa e in favore di alcune riforme economiche anti-corruzione proposte dal segretario Hu Yaodeng, morto meno di un mese prima. Dopo qualche settimana, i carri armati scesero nel cuore di Pechino e massacrarono indistintamente un numero tutt’oggi imprecisato di manifestanti.
Da allora lo sviluppo della Cina si è impennato in un’ascesa impressionante: treni a 400 km all’ora, palazzi alti fino alle nuvole, soldi, soldi, soldi per comprare il resto del mondo, un popolo calmo, tranquillo, represso, non c’è criminalità e la disoccupazione quasi non esiste.
Ma a che prezzo?


Le foto nell’articolo sono di Giampaolo Nitti happiness_gate_


Alessandra Nitti
Sinologa, viaggiatrice, appassionata lettrice, yogini e scrittrice. Trascorro le giornate nel mio mondo di poesia inventando trame di racconti, progettando viaggi intorno al mondo o in posizioni yoga a testa in giù. Laureata in lingue e letteratura straniere solo per il gusto di conoscere lingue difficili. Vivo a Canton, nel sud-est della Cina, per insegnare italiano a giovani cinesi. Tra una lezione e l’altra gestisco Durga – Servizi editoriali.
L’amuleto di giada, Arpeggio Libero Editore.
Faust – Cenere alla cenere, Arpeggio Libero Editore.
Esilio, Arpeggio Libero Editore.


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