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31 anni dopo: Hong Kong come Tiānānmén?

31 anni dopo: Hong Kong come Tiānānmén?

Di Alessandra Nitti. Trentun anni fa, tra il 3 e il 4 giugno 1989, l’esercito cinese ha massacrato migliaia di studenti e operai raccolti in piazza Tiānānmén per manifestare contro le restrizioni sulla libertà di parola e di stampa. Oggi, sono i giovani di Hong Kong a protestare per avere maggiore libertà.

L’anno scorso, in onore del trentesimo anniversario della strage di Tiānānmén a Pechino, ho raccontato di come la Cina si sforzi di rimuovere dalla memoria collettiva quella violentissima notte. Tra il 3 e il 4 giugno 1989 l’esercito cinese ha massacrato migliaia di studenti e operai che si erano raccolti nella piazza principale della capitale, davanti alla Città Proibita, per manifestare pacificamente contro le restrizioni sulla libertà di parola e di stampa e in favore di alcune riforme economiche anti-corruzione. Almeno fino a che l’esercito non è arrivato con i suoi carri armati per attaccare i manifestanti.


Secondo la Cina e lo smemorato popolo cinese assoggettato a questo “neo-regime”, quel giorno non è successo niente, sebbene da trent’anni l’accesso a piazza Tiānānmén sia a numero limitato e i turisti vengano controllati con il metal detector come se fosse un aeroporto. Lo scorso agosto ho trascorso del tempo a Pechino e sono rimasta sorpresa quando ho dovuto persino scannerizzare il mio passaporto elettronico per poter accedere alla piazza.
Ma la grande tragedia non è questa.

Hong Kong, quest’anno, non commemorerà le vittime di Tiānānmén, morte per la libertà (di parola), perché la Cina sta negando questa possibilità anche a loro.

La grande tragedia è che oggi, trentun anni dopo, non solo la Cina non ha mai confessato la morte di quelle cinquecento, mille o tremila (ancora non si sa) persone, non solo ha deciso di non riconoscere la libertà di parola tanto bramata, ma la sta togliendo anche a quell’unico porto di libertà che è Hong Kong.
Hong Kong, quest’anno, non commemorerà le vittime di Tiānānmén, morte per la libertà, perché la Cina sta negando questa possibilità anche a loro.

Facciamo un salto indietro: nel 1997 la Corona inglese ha deciso di lasciare la sua colonia al Regno del Centro, con la clausola che per 50 anni nulla sarebbe cambiato. 

Da allora Hong Kong (e da due anni dopo anche la vicina Macao) è zona a statuto speciale, con un proprio governatore, libertà di commercio e di stampa.
Varcare il confine tra Shenzhen, nella Cina continentale, e Hong Kong è un’esperienza quasi mistica per chi vive nello stato di dittatura del Paese a lungo: niente più polizia che entra all’improvviso nei locali per chiederti il passaporto, niente più restrizioni sull’uso di internet, niente più paura di dire qualcosa fuori posto. Ma per quanto ancora?


Da un anno a questa parte, infatti, dopo che il Partito Cinese ha stabilito che i cittadini di Hong Kong possono essere soggetti a estradizione, gli abitanti dell’isolotto asiatico hanno deciso di fare rimostranze contro Pechino.

La Cina non vedeva proteste intestine da quel 4 giugno del 1989. I movimenti hongkonghesi sono iniziati in modo pacifico: chiedevano l’annullamento della nuova legge sull’estradizione, il cambio della ex-governatrice Carrie Lam posta lì da Pechino stessa e maggiore libertà di stampa.
Il Partito ha allora inviato l’esercito al confine a Shenzhen mentre a Hong Kong la polizia sparava proiettili di gomma sulle folle (una ragazza ha perso un occhio) e malmenava i giovani. Da allora fino a gennaio ci sono stati vari scontri e la bandiera rossa a cinque stelle è stata bruciata con grandissima indignazione da parte del popolo cinese.
Le proteste si sono fermate durante la pandemia, ma ora che la Cina ha quasi “debellato il virus”, o così fa intendere, gli hongkonghesi sono tornati a farsi sentire su Hennessy Road.

Hong Kong: vietata la tradizionale fiaccolata in onore della strage di Tiānānmén a Victoria Park, nel cuore dell’isola, ufficialmente a causa della pandemia.

Richard Tsoi, vicepresidente della Hong Kong Alliance in Support of Patriotic Movements in China, ha annunciato che la polizia locale ha vietato la tradizionale fiaccolata in onore della strage di Tiānānmén a Victoria Park, nel cuore dell’isola, a causa della pandemia.
Ma in Cina le misure contro la diffusione del Covid-19 non ci sono quasi più: le scuole hanno riaperto, la gente è tornata a lavorare e il governo distribuisce coupon sconto per spingere il popolo a frequentare i centri commerciali.
Chi vuole, però, domani sera alle 20.09 (GMT +8) potrà collegarsi online per partecipare a una veglia live. Questo è tutto ciò che viene concesso agli Hongkonghesi e a chi è morto per la libertà.


Alessandra Nitti
Sinologa, viaggiatrice, appassionata lettrice, yogini e scrittrice. Trascorro le giornate nel mio mondo di poesia inventando trame di racconti, progettando viaggi intorno al mondo o in posizioni yoga a testa in giù. Laureata in lingue e letteratura straniere solo per il gusto di conoscere lingue difficili. Vivo a Canton, nel sud-est della Cina, per insegnare italiano a giovani cinesi. Tra una lezione e l’altra gestisco Durga – Servizi editoriali.
L’amuleto di giada, Arpeggio Libero Editore.
Faust – Cenere alla cenere, Arpeggio Libero Editore.
Esilio, Arpeggio Libero Editore.


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