Gli scrittori della porta accanto

Recensione: Tutto chiede salvezza, di Daniele Mencarelli

Recensione: Tutto chiede salvezza, di Daniele Mencarelli

Libri Recensione di Elena Genero Santoro. Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli (Mondadori). Vincitore del premio Strega Giovani 2020. Concreto e leggero, poesia distillata, introspettivo: gli odori, i sapori e i rumori di un reparto di psichiatria nel caldo torrido di giugno a Roma. 

Daniele Mencarelli, vincitore del premio Strega Giovani 2020, racconta una storia che mi ha fatto venire il magone a lungo. Il protagonista ha vent’anni e porta il suo nome. La vicenda è ambientata nel 1994.
Nei giorni tra il 14 e il 20 giugno, in pieno periodo di mondiali di calcio, Daniele viene ricoverato per un TSO.
Questo è l’arco di tempo in cui si svolge il racconto. Daniele è lucido, non pare psicotico, eppure ha perso il controllo, ha avuto una reazione spropositata che ha fatto star male suo padre.

E adesso è lì, in attesa di trascorrere questa settimana obbligatoria, in un reparto insieme ad altri cinque ricoverati. 

Gianluca, definitosi omosessuale (no, proprio frocio), è nella fase up del suo disturbo bipolare. Questa fase è detta anche il lato bianco, per contrapporsi al lato nero in cui la depressione lo divora. Gianluca è effeminato, in lui vive un’anima di donna e quando si agita strilla come una ragazza.
Mario, anziano di sessantaquattro anni, la copia sputata di Brian May, ex maestro saggio e riflessivo, ma con un lato oscuro, con cui deve fare i conti.
Giorgio, grande e grosso, buono ma incline all’aggressività, che a dieci anni ha perso la madre in un modo improvviso e non avendo potuto vederne nel corpo privo di vita, è rimasto talmente scioccato da procurarsi spesso dei tagli sul braccio.
Alessandro, che in un giorno normale di una vita normale è stato ritrovato da suo padre in stato catatonico e non si è mai più ripreso. Nessuno ha capito che cosa si sia incrinato nel suo cervello, che cosa lo tenga prigioniero nel suo corpo senza lasciarlo più esprimere. È una statua di carne, sempre seduto su un letto, con lo sguardo perso in un punto indefinito.
Infine Madonnina, soprannominato così perché invoca di continuo la Madonna, ma nessuno sa chi sia. Lui non riesce a dire il suo nome, né da dove provenga, ha lo sguardo perso nel buio nero della sua follia. Nessuno reclama Madonnina, nessuno conosce la sua storia. Anche per lui vale il mistero che aleggia su Alessandro: cosa è scattato in quella testa per scollegarlo del tutto dalla realtà?


La psichiatria negli ultimi decenni ha compiuto passi da gigante, ma non ha ancora spiegato tutto.

Anche i due medici con cui Daniele ha a che fare hanno un approccio diverso: Cimaroli predilige la psicanalisi, il dialogo, lo studio di se stessi e inizialmente Daniele lo sente più nelle sue corde. Daniele è un giovane molto sensibile, entrato in crisi durante l’adolescenza: si pone tante domande, cerca il senso dell'esistenza, cerca il rapporto con Dio. Vorrebbe su un piatto d’argento quelle certezze che la vita si guarda bene dall'offrirgli. Vorrebbe garanzia di salvezza per tutti.
Che cura può esistere per come è fatta la vita, voglio dire, è tutto senza senso, e se ti metti a parlare di senso ti guardano male, ma è sbagliato cercare un significato? Perché devo avere bisogno di un significato? Come si fa ad affrontare la morte di chi ami? Se tutto senza senso non lo accetto, allora voglio morire. Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza [nel testo originale è in romanesco]

Per questo non apprezza il secondo medico, il dottor Mancino, che col suo fisico da giocatore di rugby, è più orientato verso le cure farmacologiche di nuova generazione, verso antidepressivi con meno effetti collaterali, ma pur sempre medicine, perché se uno ha mal di stomaco prende una pastiglia, e alla stessa maniera se uno ha un disagio psichico non si capisce perché non debba usufruire di ciò che la scienza gli offre. Daniele, che sembra facile alle dipendenze, ha già girato diversi psichiatri e tentato alcuni cicli di farmaci, ma senza beneficio. Inoltre, talvolta, fa uso di droghe.

L’approccio verso la malattia mentale non è semplice e Tutto chiede salvezza parla proprio di questo. Intanto bisogna capire cosa è realmente patologico.

Daniele è alla ricerca di un senso, come tanti suoi coetanei, ma con una sensibilità differente. Ed è vero che se la ricerca del sé causa troppa sofferenza, diventa paralizzante, invalidante, è giusto contenere questa fatica anche con la chimica. Ma, come gli spiega pure Mario, non esiste una medicina che possa risolvergli la vita ed essere adatta a lui per sempre: il lavoro di introspezione non deve venire a mancare. Siamo individui in continua mutazione, siamo sempre in equilibrio precario. Ci evolviamo e così deve essere rivisitato ciò che ci procura sollievo.
Viviamo in un mondo edonistico, che ci porta a credere che la felicità sia un diritto, ma anche un dovere e che ogni altra emozione non sia legittima. La tristezza è diventata il nuovo demonio, o per lo meno un tabù.
Posso testimoniare che è vero, io stessa mentre sto dettando questa recensione al comando vocale delle note del mio telefono, perché ho una mano operata, mi sento disturbata, fuori posto. Non riesco ad accettare qualche giorno di pausa, sono abituata a produrre, a lavorare, a scrivere, cioè a godermi i frutti della mia normalità. Il filo d’argento della piccola malinconia che mi avvolge mi dà fastidio. La tristezza mi impaccia. Non la sopporto.


Mi vengono in mente due video.

Il primo è il film per bambini Inside out della Disney, quello con le cinque emozioni principali che vivono nella testa di una bambina. Inizialmente Tristezza viene confinata, maltrattata, relegata in un angolo. Sembra quasi che la causa della disfatta sia lei, finché non diventa chiaro che invece lasciare esprimere Tristezza è il modo più nobile di chiedere aiuto, di elaborare nuovi stati d’animo.


E poi mi è tornato in mente un video di Vasco Rossi, il cartone animato che fa da sfondo alla canzone Ho fatto un sogno. Siamo in un mondo distopico, futuristico: un bambino cade e si fa male, una donna, forse sua madre, lo abbraccia e ne raccoglie il pianto. Arrivano due miliziani con una maschera sorridente e impongono loro di sorridere alla svelta. 
Poco dopo in bagno la donna si toglie una mascherina su cui è stampato un sorriso. Esatto, proprio una mascherina come quelle che indossiamo noi adesso per difenderci dal COVID-19. Solo che questa non ha ragioni igieniche, deve nascondere una smorfia triste e forse illegale. Poi la donna assume una compressa di Felicitina. Perché anche qui essere felici è un dovere. Questo video, di dieci anni fa, all'inizio mi sembrava una provocazione, un mondo al contrario. Di recente ho capito che racconta proprio il nostro mondo.

Ci sono persone con caratteri più malinconici di altri, più introspettivi. La linea tra quella che è un’anima che si pone le giuste domande e un’anima in piena sofferenza sa essere molto sottile e labile. 

Ma se una volta si esagerava nel sottovalutare il disagio di certe persone più sensibili, adesso ogni deviazione dallo standard rischia di essere catalogata come un’anomalia da trattare con psicofarmaci. Pochi decenni fa la psichiatria era tutt'altro, non curava nulla, al limite conteneva, annientava. Chi cantava fuori dal coro (magari era solo omosessuale) veniva rinchiuso dai parenti e messo nelle condizioni di non arrecare disturbo. Chi invece riusciva a condurre un'esistenza quasi normale, veniva lasciato libero a fare i conti con i suoi tormenti.
L'introduzione degli psicofarmaci, la legge Basaglia del 1978 hanno cambiato tutto. O quasi. Con dei pro: l'omosessualità non è più considerata un'anomalia psichica o una devianza da correggere. L'elettroshock e la lobotomia non si praticano più. Molti disagi maggiori come la depressione, qualora non le psicosi, vengono affrontati con più successo. E con dei contro: nel manuale di psichiatria sono entrati mille altri disagi minori.


Perché come fa notare giustamente Daniele Mencarelli, un individuo che si pone questioni, che vede il vuoto dentro di sé, che cerca un senso, che intuisce che i piaceri materiali come lo shopping non colmeranno la voragine che ha dentro, rischia di diventare non più produttivo. E questo va evitato. 

E allora giù di psicofarmaci, giù di Felicitina, per non avere neanche un momento di cedimento. Oggi i “matti” non vengono più torturati nei manicomi, ma in compenso gli antidepressivi dilagano.
A volte sono necessari. A volte vanno calibrati sul paziente. A volte risolvono. A volte non bastano. A volte silenziano il problema ma non lo eradicano. Ogni caso è a sé. Non ci sono soluzioni standard. Per questo non bisogna smettere di tenere alta la guardia e porsi domande.
Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli, benché scritto in prosa, è poesia distillata.
È introspettivo, anche se non fa mai mancare il movimento, le azioni, e la trama c’è. Anche i colpi di scena. Non ci sono mai capitoli sottotono e il lettore può immergersi appieno in quelli che sono gli odori, i sapori e i rumori di un reparto di psichiatria nel caldo torrido di giugno a Roma. È concreto e leggero al tempo stesso.
Alla fine si dimostrerà che anche il dottor Mancino, con le sue prescrizioni farmacologiche, è meno peggio di quello che sembra e forse i suoi metodi possono trovare un senso.
Questo è uno dei migliori e più toccanti libri che io abbia letto negli ultimi mesi, che ha meritato i riconoscimenti ottenuti, e lo consiglio veramente a tutti.

Tutto chiede salvezza

di Daniele Mencarelli
Mondadori
Narrativa
ISBN
Ebook
Cartaceo

Sinossi

Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali.
Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura.
Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all'uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro.
Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. Nei precipizi della follia brilla un'umanità creaturale, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una potenza uniche.
Dopo l'eccezionale vicenda editoriale del suo libro di esordio - otto edizioni e una straordinaria accoglienza critica (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima) -, Daniele Mencarelli torna con una intensa storia di sofferenza e speranza, interrogativi brucianti e luminosa scoperta. E mette in scena la disperata, rabbiosa ricerca di senso di un ragazzo che implora salvezza: "Salvezza. Per me. Per mia madre all'altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza".

Elena Genero Santoro


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