The week Di Argyros Singh. Uno speciale sugli eventi che hanno segnato la geopolitica e l'attualità africana nell'estate 2022: focus su Libia, Tunisia e Algeria.
Il continente africano è tornato al centro del dibattito non solo mediterraneo, ma internazionale: vi si intrecciano interessi statunitensi, cinesi e russi, ma anche arabi, indiani ed europei. Il pericolo concreto di una nuova “spartizione dell’Africa” minaccia gli interessi dei popoli che la abitano, già colpiti da gravi problemi ambientali (desertificazione, siccità), economici (depauperamento del suolo, caccia alle risorse) e sociali (terrorismo, conflitto etnico).1. La Libia è tornata a far parlare di sé.
In realtà, la situazione libica non si è mai normalizzata dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi, ma solo questa estate alcuni media hanno dato spazio a quanto sta accadendo in quel territorio.Le proteste dei libici contro il carovita e i continui blackout elettrici sono iniziate a luglio. Fatto strano da spiegare in un’area che possiede la maggior parte dei giacimenti di greggio dell’Africa, se non riferendosi alla corruzione della classe politica, bloccata da un inefficiente sistema tribale, e dall’interferenza di gruppi mercenari.
I manifestanti si sono concentrati a Bengasi, Misurata, Tobruk (con un assalto agli uffici del parlamento), Tripoli e Zintane. Non sono mancate le bandiere verdi dei nostalgici di Gheddafi, ma la situazione è molto più complessa rispetto alla dicotomia tra vecchio regime e nuova democrazia.
La Libia è infatti spaccata in due governi: quello di Fathi Bashaga in Cirenaica e quello di Abdul Hamid Dbeibah a Tripoli, quest’ultimo sostenuto dalla comunità internazionale.
Le Nazioni Unite hanno provato a mediare, in vista della convocazione di nuove elezioni, ma le trattative sono per ora fallite. Per approfondire il tema, rimando all’articolo di Federica Saini Fasanotti su ISPI, citato alla fine di questa parte.L’Italia è particolarmente sensibile agli eventi libici: la produzione di greggio è infatti diminuita e la crisi ha scatenato una nuova ondata migratoria. Come già spiegato, su questa instabilità puntano anche i mercenari di Wagner. Peraltro le milizie non si esauriscono qui: il ministro della Difesa Ahmed Houma, membro del Governo di Sicurezza Nazionale (GNS), formatosi a marzo sotto l’ala di Bashagha, ha dichiarato di voler operare un’integrazione delle milizie nell’esercito regolare, allontanando i contractors stranieri. Le divisioni intragovernative rendono però il passaggio molto improbabile. Anche la Turchia è presente con una sua operazione militare, avviata nel 2019, a sostegno del governo ufficiale di Tripoli (GNU), in cambio della concessione di una zona economica esclusiva, che va dalle coste libiche a quelle turche, in cui è presente gas naturale.
2. La Tunisia ha conosciuto in questi mesi un nuovo accentramento di potere nelle mani del presidente.
Kaïs Saïed ha portato avanti una riforma costituzionale che gli permetterà di prendere decisioni sempre più esenti da contrappesi. A febbraio era stato disposto lo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura, con l’accusa rivolta ai giudici di corruzione: poco dopo, un decreto aveva costituito un Csm provvisorio, con potere di veto da parte del presidente sulle nomine dei giudici e sulla loro rimozione. Nei mesi più duri della pandemia, Saïed aveva disposto coprifuoco a tappeto che agli oppositori erano sembrati un espediente per tacitarli. Lo scorso marzo, il partito d’opposizione Ennhada aveva co-organizzato una manifestazione a Tunisi: il 30 marzo, Saïed aveva annunciato lo scioglimento del parlamento, accusando l’opposizione parlamentare di voler tentare un colpo di Stato.La decisione gli aveva permesso di accentrare il potere decisionale con il pretesto di preservare le istituzioni. Saïed, rifiutandosi di indire nuove elezioni, aveva deciso di consultare direttamente il popolo. Il 25 luglio, in un referendum senza quorum, è stata così approvata una nuova costituzione. Saïed può ora esercitare il potere esecutivo attraverso un capo di governo da lui designato, che non dovrà ricevere la fiducia del parlamento. È il comandante supremo delle forze armate; determina la politica estera e può proporre leggi direttamente al parlamento, che perde gran parte del suo ruolo. Persino Sadok Belaid, giurista incaricato da Saïed di redigere la nuova costituzione, se ne è dissociato, per il pericolo che essa giustifichi un regime.
Sul fronte economico, il Paese ha subìto danni, soprattutto al settore turistico, durante la pandemia.
Ora, con la guerra in Ucraina, soffre per il rincaro delle materie prime, considerando che la Tunisia dipende per il 50% dall’importazione del grano ucraino. Cresce la disoccupazione (18,4% nel terzo trimestre del 2021) e l’inflazione (prevista quest’anno al 6,5%): ad allarmare è il debito pubblico, che corrisponde all’85,5% del PIL. Una parziale boccata d’aria per le casse tunisine proverrà dagli accordi sul gas siglati da Italia e Algeria, che permetteranno alla Tunisia, tramite il gasdotto Transmed, di percepire royalties sul trasporto del gas: le spettanze – secondo il ministro tunisino dell’Industria – dovrebbero coprire il 65% del fabbisogno energetico del Paese.Quali interessi esterni si inseriscono in questo scenario? Quello più rilevante è lo storico confronto tra Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti da un lato e Turchia e Qatar dall’altro: questi ultimi sostengono il partito islamista Ennahda. Come in Libia, gli scenari sono molto più complessi delle “semplici” divisioni interne.
3. In merito all’Algeria, invito a leggere quanto ho scritto a conclusione del The Week del 18-24 luglio scorso.
Il Paese è diventato il primo esportatore di gas per l’Italia, scalzando la Russia, e i nuovi accordi sottoscritti dal governo Draghi hanno permesso anche una nuova collaborazione nel settore della ricerca e dell’industria.A queste informazioni aggiungo ulteriori sviluppi. Eni e il gruppo Sonatrach hanno annunciato la scoperta di un nuovo pozzo di petrolio che sembrerebbe molto produttivo, situato nella concessione Sif Fatima II, nel bacino del Berkine Nord, a nordest dell’Algeria.
Eni è attiva nel Paese dal 1981 e ne costituisce oggi la principale azienda estera. L’Algeria però corre il pericolo di tanti Stati africani, che hanno bisogno di diversificare le loro esportazioni in vista del calo della richiesta di idrocarburi nei prossimi anni. Ma anziché diversificare, il Paese sta incrementando la propria esportazione, una decisione che nel breve (forse medio) periodo l’avvantaggerà, ma che potrebbe rivelarsi un boomerang tra una decina di anni. Sulla Libia – ispionline.it e ispionline.it | Sulla Tunisia – ispionline.it e ispionline.it | Sull’Algeria – milanofinanza.it e startmag.it
Reportage: L'estate africana
Argyros Singh |
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