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The week: focus sugli eventi tra il 21 novembre e il 4 dicembre

The week: focus sugli eventi tra il  21 novembre e il 4 dicembre

The week Di Argyros Singh. Cosa è successo nel mondo tra il 21 novembre e il 4 dicembre? Le proteste in Cina e Iran, i mondiali di calcio in Qatar e la frana a Ischia.

Dopo i vertici internazionali trattati nello scorso The Week, in questo post affronto quattro argomenti: le proteste in Cina e gli ultimi aggiornamenti della politica cinese; l’ipotetica abolizione della polizia morale iraniana; i retroscena del mondiale di calcio in Qatar; il dissesto idrogeologico nel nostro Paese.



Le proteste in Cina

Nelle ultime due settimane sono esplose diverse proteste in Cina, provocate dalla politica governativa detta “zero-Covid”, che prevedeva il lockdown di intere città anche per pochi casi di positività, test di massa a Pechino e quarantene forzate. In alcune aree, come lo Xinjiang, i lavoratori positivi venivano lasciati a casa senza stipendio e sostituiti da altri. I rivoltosi si erano raccolti per le strade, opponendosi alle forze dell’ordine e distruggendo le telecamere pubbliche.
Le proteste sono state le più vaste dai tempi del movimento per la democrazia in piazza Tienanmen e non a caso sono circolati video di persone che chiedevano le dimissioni di Xi Jinping e che cantavano l’inno socialista già cantato nel 1989. La CNN ha confermato ventitré manifestazioni in diciassette città, tra cui Pechino e Shanghai. Nella città di Ürümqi, nello Xinjiang, un incendio durante le manifestazioni ha portato a una decina di morti. Altre città hanno commemorato l’evento, ma a Hong Kong il raduno è stato represso secondo la legge sulla sicurezza nazionale imposta nel 2020.


Alla fine, questa pressione sociale ha portato all’apertura del governo rispetto alla politica zero-Covid.

La vicepremier Sun Chunlan ha affermato che il governo adotterà un approccio più incentrato sull’uomo, rafforzerà l’efficacia dei farmaci e aumenterà i tassi di vaccinazione.
La svolta cinese è significativa perché mostra come Xi Jinping sia stato costretto a tornare sui propri passi, sebbene non abbia riconosciuto pubblicamente alcun errore, rendendo il nuovo approccio una “conseguenza logica” degli eventi. Le proteste hanno comunque mostrato che il popolo cinese non è affatto passivo rispetto a una violazione evidente delle libertà individuali, e molte testimonianze video hanno rispecchiato questa richiesta di diritti. D’altra parte, il sistema di sorveglianza di massa è invasivo in aree come lo Xinjiang, dove il governo è accusato di detenere circa due milioni di Uiguri. Un rapporto di settembre delle Nazioni Unite ha descritto la pervasività del controllo, garantito da database con migliaia di file con dati biometrici, quali scansioni facciali e del bulbo oculare.
Sembra difficile che Xi Jinping dichiari pubblicamente la fine della politica zero-Covid, perché vorrebbe dire ammettere l’errore di calcolo, politico e sanitario. Inoltre, le proteste sono state un significativo campanello d’allarme per il governo e la conferma che nemmeno il controllo di massa sia in grado di assicurare un completo controllo sociale. Sulla Cina – cnn.com, corriere.it, ispionline.it e ispionline.it

La polizia morale iraniana

Lo scorso fine settimana è circolata la notizia della sospensione o abolizione della polizia morale iraniana. Una notizia che però fatica a trovare conferma nei fatti.
Il gruppo, noto come Gasht-e Ershad, o pattuglia di guida islamica, è nato una quindicina di anni fa: composto soprattutto da uomini, guida furgoni bianchi con strisce verdi per sorvegliare le attività dei giovani (e non solo). La polizia morale ha la possibilità di rilasciare ammonimenti verbali o di portare le donne nei centri di “rieducazione”.
Il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri ha annunciato la chiusura del gruppo, ma i funzionari di polizia non hanno confermato la decisione (la polizia morale dipende dal ministero dell’Interno). Superati i tre mesi di proteste, l’annuncio sembrerebbe un tentativo di allontanare i manifestanti dalle piazze con la disinformazione interna. Il presidente Ebrahim Raisi, alcuni parlamentari e funzionari della magistratura hanno accennato alla possibilità di rivedere la legislazione legata all’hijab, e non tanto per abolirla, quanto per renderla meno evidente, tramite l’intelligenza artificiale e il controllo con le telecamere.
In realtà, anche la conferma della chiusura della polizia morale non fermerebbe le proteste. Una donna iraniana, intervistata dalla BBC, ha usato parole esemplificative: «Noi, i manifestanti, non siamo più interessati all’hijab. Siamo usciti senza l’hijab negli ultimi settanta giorni». Per dire che gli obiettivi dei manifestanti si sono spostati su un altro piano, quello del cambio di regime. Sulla ipotetica sospensione – aljazeera.com, bbc.com e ispionline.it

I mondiali in Qatar

Le manifestazioni in Iran sono state amplificate dalla vetrina dei mondiali di calcio in Qatar. La stessa nazionale iraniana si è rifiutata di cantare l’inno, ma anche altri sportivi sono stati coinvolti, dal ritiro di Parinaz Hajilou, membro della nazionale femminile di ping pong, al video di dimissioni a capo scoperto delle sorelle Sara e Pari Baharvandi, della squadra femminile di snooker. Altre personalità in vista si sono esposte a sostegno dei manifestanti, fino alla nipote della Guida suprema Ali Khamenei, l’attivista Farideh Moradkhani.
In merito ai mondiali in Qatar, la ventiduesima edizione della Coppa del mondo di calcio si è aperta tra le polemiche. Paese con meno di tre milioni di abitanti, il Qatar si è rivolto a lavoratori stranieri per costruire le infrastrutture necessarie, fino a raggiungere il 90% della forza lavoro. Gli operai sono giunti da Bangladesh, Nepal, Sri Lanka, Pakistan e India e – secondo un’indagine del 2021 di The Guardian – ne sarebbero morti circa 6.500. Un report delle Nazioni Unite ha confermato le condizioni di lavoro disumane, sottolineando anche l’impatto ambientale.

Il discorso si aggiunge alla violazione dei diritti e alle discriminazioni sessuali tipiche della società qatarina.

In tal senso, la FIFA non ha sostenuto quelle squadre, come l’Inghilterra, che avrebbero voluto indossare una fascia arcobaleno a sostegno dei diritti LGBTQ+.
Quello in Qatar è il mondiale più costoso di sempre, con duecentoventi miliardi di spesa, e la FIFA mira a raggiungere cinquecento milioni di dollari dai diritti di ospitalità e dalla vendita dei biglietti, che le permetterebbe di raggiungere l’obiettivo di sette miliardi di dollari di ricavi nel quadriennio 2018-2022.
Dunque, da un lato il Qatar ha applicato un’azione di sport washing, sfruttando lo sport per migliorare l’immagine del Paese; dall’altro, l’economia globale del calcio si rivela fin troppo redditizia, anche a scapito dei diritti e della vita di migliaia di lavoratori. Per questo, il Parlamento europeo ha ufficialmente deplorato la morte e gli infortuni degli operai, evidenziando anche le accuse di corruzione e concussione che hanno preceduto l’assegnazione della gara al Qatar. Il Parlamento ha così esortato i Paesi membri dell’UE a fare pressioni su UEFA e FIFA per una riforma strutturale del sistema, che tenga conto dell’applicazione dei diritti umani e dei criteri di sostenibilità. L’intento del Parlamento è quello di impedire agli Stati totalitari o che violano i diritti fondamentali di trasformare la Coppa del mondo in un modo per reintegrarsi nel consesso internazionale. Sulla violazione dei diritti – europarl.europa.eu e ispionline.it

La frana a Ischia

In questi giorni, i media italiani sono tornati a trattare la questione del rischio idrogeologico nella nostra Penisola, a seguito dell’alluvione che ha devastato l’isola di Ischia, soprattutto nell’area di Casamicciola, colpita da una frana.
A oggi le vittime accertate sono undici; rimane dispersa ancora una donna. Tre giorni fa è scattato il piano d’emergenza per evacuare i residenti della zona rossa, ma una cinquantina di famiglie non hanno voluto lasciare le abitazioni e altre, al termine dell’allerta meteo, vi hanno fatto ritorno. L’ordinanza infatti non è vincolante, ma è stata espressa nella forma di un suggerimento. Oltre trecento i residenti ospitati in strutture alberghiere e una novantina hanno trovato una sistemazione autonoma presso i familiari.

Di fronte alle immagini della devastazione, il dibattito si è concentrato sui temi dell’abusivismo e sul rischio idrogeologico che attraversa il nostro Paese.

Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), il 16,6% del nostro territorio è considerato a grande pericolosità per frane e alluvioni; il 4% degli edifici si trova in aree a pericolosità da frana elevata. Le regioni più a rischio sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Lombardia, Veneto e Liguria. Ci sono poi regioni in cui i comuni sono tutti a rischio idrogeologico, come la Valle D’Aosta. Meno a rischio, anche se di poco, Abruzzo, Lazio, Piemonte, Campania, Sicilia e la provincia di Trento.
Il numero complessivo di persone interessate da un alto rischio supera i sette milioni, ma se allarghiamo il campo ad altri territori comunque pericolosi, si sale a 21,8 milioni di abitanti, circa un terzo della popolazione italiana.
Con così tanti comuni a rischio, il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, ha affermato che non sia possibile proporre nuovi condoni. Ogni anno si costruiscono circa ventimila case abusive; al momento vi sono settantunomila ordinanze di demolizione, di cui l’80% mai eseguite.
A Ischia si sono sommati due fattori micidiali: l’abusivismo edilizio regolarizzato all’interno del Decreto Genova (2018, che si occupava della ricostruzione del ponte Morandi e proprio del condono di Ischia) e l’aggravarsi degli eventi meteorologici estremi, aumentati in Italia del 27% tra il 2018 e il 2022. Su Ischia e il pericolo idrogeologico – adnkronos.com, geopop.it e wired.it

Argyros Singh


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