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Recensione: Spostare la luna dalla sua orbita, di Andrea Marcolongo

Recensione: Spostare la luna dalla sua orbita, di Andrea Marcolongo

Libri Recensione di Davide Dotto. Spostare la luna dalla sua orbita, di Andrea Marcolongo (Einaudi). Una teofania di tutto rispetto che si fa strada tra le pieghe dell'assenza e spazi vuoti da riempire.

Passare la notte nel museo dell’Acropoli di Atene non è cosa da poco. Simile a un tempio sconsacrato, è il luogo del silenzio di dèi che da tempo immemore riposano in un santuario violato. Da chi, è presto detto: perché Andrea Marcolongo tra le mani ha la biografia di Lord Elgin, l’ambasciatore britannico che ha sottratto i marmi del Partenone per custodirli in un altro museo, quello di Londra.
Probabilmente oggi non è più epoca di maledizioni, che quelle lanciate millenni o secoli fa hanno tuttora i loro strascichi, e non ce n’è bisogno di altre. Se gli dèi sono muti – pare abbiano smesso di parlare già a Odisseo che per togliersi d’impiccio, o crearne altri, ha coltivato il proprio ingegno – parlano all’inconscio di chi ancora li ascolta.
Chissà come ti sentirai con tutti quegli occhi di marmo che ti fisseranno per una notte intera… Andrea Marcolongo, Spostare la luna dalla sua orbita

È una teofania di tutto rispetto, che si fa strada tra le pieghe dell’assenza e spazi vuoti da riempire. 

Tra le medesime pieghe si fa strada anche il destino di un’epoca – la nostra – per comprendere il quale si dovrà pur (tornare a) guardare da qualche parte. In fondo nemmeno la storia dell’Atene tra il V e il IV sec. a.C. è priva di contraddizioni: c’erano sempre venti di guerra, salvo qualche tregua più o meno lunga. Da cui l’esigenza di correre ai ripari, o il senso di una precarietà senza rimedio in cui ha brillato un po’ di luce. Lo spiega bene Luciano Canfora, (Il mondo di Atene).
Da questo senso di provvisorio è nata la civiltà occidentale, ma anche la letteratura, se è vero che tutto quello che è stato scritto dopo Eschilo, Eschilo l’aveva detto, scritto e fatto rappresentare.

La nostra cultura è – volendo – un altro genere di saccheggio che riguarda non i marmi del Partenone, ma parole, pensieri, miti e storie.

Un’appropriazione che non è spogliazione ma senso di appartenenza; non è desiderio di depredare (o conquistare), ma di costruire e ricostruire; è appropriazione di un pensiero sulla cui vena razionalistica e classificatoria, forse, si è troppo insistito.
E gli dèi che fine hanno fatto? Qualcosa hanno ancora da dire e significare. Si muovono in una terra di nessuno, lo scoglio tra passato e presente, ma anche nella soglia tra le cose divine e quelle umane. È una connessione profonda, ancorché inavvertita, che emerge tra rovine, bassorilievi, calchi, antichi fregi, spazi vuoti.

Resta da capire quale sorta di viaggio spetti a chi – come Andrea Marcolongo – ha scelto di trascorrervi una notte.

Sarà un’anabasi o una catabasi? Sarà un discendere o un risalire?
Dipende senz’altro da quello che emergerà, e con quali parole si riuscirà a esprimerlo. In ogni caso sarà una scoperta in quanto un museo di per sé è già per natura qualcosa che tace senza bisogno di essere depredato, e la “rapina”, il “furto”, la “sottrazione” subiti, nel gioco delle antitesi, sono rumore che diventa chiasso, un di più che si aggiunge.
Il gioco dell’antitesi è ciò che scava senza tregua nella mancanza, nel vuoto, nella memoria distratta, fino a far parlare il silenzio (“il divieto di dimenticare”), ma anche l’etimologia che si nasconde dietro le parole. La scelta (tra anabasi e catabasi) può voler dire o rappresentare una novella Antigone o risvegliarne il mito. O chiedersi cosa mai ci direbbe Fidia. Il dubbio è che, a incontrarlo oggi, Fidia non saprebbe di essere Fidia.


Un po’ per questo, Spostare la luna dalla sua orbita di Andrea Marcolongo pulsa di vita e, al di là di qualsiasi discorso contrario, si immedesima nel rimpianto impossibile degli antichi greci di non essere più.

Le sue pagine sono scritte per non accontentare nessuno, e per risvegliare lo spirito di una qualche consapevolezza, salvo non sapere esattamente dove andarlo a prendere. Forse perché respiriamo una lezione male appresa, tanto che di Sofocle e di altri riscriviamo senza posa le tragedie a nostra immagine, pur di non guardarci dentro. L’intento vero e profondo, invece, è quello di riprodurre l’eco di una vocazione (o misura) eroica dell’esistenza, per certi versi fuori e dentro il nostro tempo.


Spostare la luna dalla sua orbita
Una notte al museo dell'Acropoli

di Andrea Marcolongo
Einaudi
Non-fiction
ISBN 978-8806260354
Cartaceo 16,15€
Ebook 9,99€

Quarta

L’ultima settimana di maggio, in un negozio di Parigi specializzato in articoli da montagna, Andrea Marcolongo ha comprato un letto da campo, un sacco a pelo e una torcia. La sera successiva ha aperto il letto da campo e steso il sacco a pelo non in cima alla vetta di una montagna, ma nella sala deserta di uno dei più importanti musei del mondo. La luce della torcia si è allora mescolata a quella della luna correndo sui marmi della sala, scolpiti da Fidia nel secolo glorioso di Pericle, sulle presenze e soprattutto sulle assenze. Siamo ad Atene, al Museo dell’Acropoli, dove Marcolongo ha l’occasione di trascorrere una notte in completa solitudine. Ma è difficile essere davvero soli quando si è circondati dai marmi del Partenone e dai propri pensieri. La notte è il tempo dei fantasmi e di bilanci. Due sono le ombre che vengono a visitare i pensieri di Marcolongo. Quella di Lord Elgin: l’ambasciatore inglese che perpetrò il furto dei marmi del Partenone all’inizio dell’Ottocento deportandoli a Londra chiusi dentro casse di legno. E quella di un uomo scomparso da poco, nato in un umile paese della provincia veneta che si dichiara il centro del mondo: il padre di Andrea. La storia di Elgin è imprevedibile e tragica come un romanzo d’avventure. Elgin, che all’inizio nemmeno sospettava cosa rappresentassero il Partenone e l’Acropoli, vedrà la sua vita distrutta per le conseguenze di quel gesto arrogante e folle, per sempre colpito dalla «maledizione di Minerva»: «Chissà se le rovine che contemplava in silenzio erano quelle di Atene o della sua vita. Chissà se pensò almeno una volta che ne era valsa comunque la pena». Ma i vuoti delle sale del museo, gli spazi bianchi di gesso lasciati dai marmi trafugati due secoli fa, risuonano con i vuoti di cui siamo composti: con il rimpianto e la vergogna, quella di capire solo ora il filo che ci legava a un genitore che sentivamo distante e da cui volevamo emanciparci; con la fragilità e l’inadeguatezza, quella di non sentirsi mai all’altezza di ciò che si è ottenuto, di sentirsi sempre un impostore, un ladro; con furti materiali e appropriazioni culturali, quelle che facciamo ai danni del mondo classico: «L’eternità non è fatta di marmo come l’opera di Fidia, rifletto, bensì è contenuta in ciascuno degli istanti che passano: è sufficiente distrarsi un momento, smettere di custodirla, e per sempre sarà perduta». In questo libro intenso e coraggioso, Andrea Marcolongo ci ricorda che siamo tutti in debito con qualcuno per ciò che siamo. Che abbiamo tutti qualcuno a cui dire: grazie.


Davide Dotto


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