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Viaggio in Thailandia: il Tempio Bianco e il Triangolo d'Oro

Viaggio in Thailandia: il Tempio Bianco e il Triangolo d'Oro

Viaggio in Thailandia: il Tempio Bianco e il Triangolo d'Oro

Viaggi Di Luigi Lazzaroni. In Thailandia, per visitare l'originale Tempio Bianco, il Tempio Cinese, la Casa Nera e il Triangolo d'Oro.

No il Tempio Bianco no, è roba kitsch! Ma dai vediamo qualcosa di diverso dai soliti wat e dalle statue di Buddha tutte uguali, insiste mia moglie. Marco, il nostro autista/guida non dice niente ma gira a sinistra e si ferma nel parcheggio davanti al Wat Rong Khun, indovina a chi ha dato retta.

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Il Tempio Bianco.

Al di là di un canale di acqua fangosa si erge una specie di piccola pagoda bianco meringa circondata da uno stagno dove nuotano carpe koi, virgole rosse sul fondo nero. Per entrare si passa sopra una bolgia dantesca di mani supplicanti che sbucano dal terreno, scheletri sbiancati, teschi ghignanti, orbite vuote. Nel tempio non c’è una linea diritta, è tutto un fiorire di fiamme vorticose, di arabeschi svolazzanti, di rami ingarbugliati, un esagerato barocco orientale. Guardiani feroci ingentiliti da specchietti luccicanti, volti meditabondi con baffi alla Dalì, creature angeliche che emergono dal cemento come tante Dafne del Bernini. Sul tetto ghirigori di draghi alati, qua e là spuntano dal terreno mostri tipo Alien o Predator. E poi c’è una moglie, la mia, in maglietta e cappello bianco su una specie di poltrona a conchiglia, bianca ovviamente, e Marco a far foto. Poi sempre lei su una panchina nera di fianco a una statua tutta tessere colorate a metà tra i manga giapponesi e i supereroi americani, e Marco ancora foto!?
Ok, l’aveva detto che voleva vedere il Tempio Bianco, vorrà dire che mi dedicherò ai colori dei galli da combattimento nel tendone qui di fianco.

Il Tempio Bianco.

Il Tempio Cinese.

Ormai la guerra è perduta, si va dove vogliono loro due. Wat Huay Pla Kung, il Tempio Cinese, una costruzione a metà tra un chedi thailandese e una pagoda cinese. Nove piani, un Buddha enorme di legno, una coppia inginocchiata a pregare, più su una statua che sembra la Madonna con Gesù Bambino, il solito Buddha ciccione e ridente che mi lascia come sempre perplesso – cos’hai visto? Statue di Buddha su ogni piano, ho fatto bene a non salire – la cosa più bella i dragoni che fiancheggiano la scalinata d'ingresso. No, là non ci voglio proprio andare, e per là intendo una enorme statua bianca di fianco alla pagoda alta come un palazzo di almeno dieci piani – è Guan Yin, la Signora della Compassione – insiste Marco ma di fronte al mio tenace rifiuto ripiega sul refettorio aperto a tutti dove si può pranzare gratuitamente assieme ai monaci, il cibo è da mensa e bisogna pure lavarsi i piatti.


La Casa Nera.

Circondati da una folla di turisti asiatici in attesa di entrare al Baandam Museum, la Casa Nera. L’ingresso è una specie di pagoda tutta di legno nero dal tetto a falde ripidissime con punte che sembrano le prue dei drakkar vichinghi. L’interno è un bailamme dark, grandi pilastri neri di teak a sorreggere il soffitto a carena di nave, turiste di tutti i colori che giocano a nascondino tra colonne simili ai totem degli indiani d’America, una foto del fondatore Thawan Duchanee in cornice dorata barba e baffi bianchi fluenti come i saggi cinesi di tutti i film, una tridacna gigante, una pelle di serpente lunga almeno dodici metri, la pelle di un enorme coccodrillo nero, grandi corna di bufalo a formare composizioni che richiamano di nuovo i vichinghi. E poi all'esterno altre costruzioni in stile thai di legno scuro, leoni cinesi corrosi da muschi e licheni, ragazze in pose da improbabili modelle, un Ganesha di pietra che sembra una statua falso-antica dei nostri giardini all’italiana, moglie stanca abbandonata su una panchina in ombra, in giro a fotografare. Ancora teschi e corna di bufali d’acqua, un palco enorme di alce nordamericana, una tettoia con pelli di mucche svizzere, tamburi e contenitori di zucca africani, e dovunque cellulari che fotografano di tutto e di più, anche il mio. Ma non era il Tempio Bianco quello kitsch?

Il Tempio Cinese.

Il Triangolo d’Oro.

Dalla terrazza panoramica in cima alla collina si vede perfettamente il centro del Triangolo d’Oro, il Ruak River arriva da sinistra e confluisce nel Mekong, la punta tra i due è il Myanmar, di qui siamo in Thailandia, al di là del Mekong c'è il Laos. Le cartine che si vendono nei chioschi lì di fianco riportano però la dicitura Four Countries Tourist Map e in rosso più in alto l'estrema propaggine dello Yunnan, tanto per ricordare a tutti chi comanda in questa parte di mondo. Due naga policefali all'ingresso della scalinata al Wat Phra That Pu Khao, lo so, tu non vieni, ci vediamo giù al Museo dell'Oppio. Quattro piccoli chedi di mattoni diroccati, un tempietto piccolissimo bianco, tante candele, una ancora accesa, all’interno una statua nera di Buddha, un’altra di pietra antica, poi la solita paccottiglia e tante statuine di cavallo, dovrò chiedere a Marco perché tutti questi cavalli. Giù verso il Mekong, mi staranno aspettando, spero.


Il Museo dell’Oppio è una tappa quasi obbligata.

E io sono allergico agli obblighi, ma, col senno di poi, non è stato poi così male perché ho imparato un po’ di cose. Ad esempio che l’oppio in Cina l’hanno portato gli inglesi, ci hanno fatto anche una guerra per poterlo vendere, e che i Hmong seminano i papaveri in maggio-giugno e incidono le capsule per ottenere il lattice in gennaio. Meglio essere informati, c’è anche un diagramma di flusso con tutti i passaggi chimici da oppio grezzo a eroina base, un lavoro da specialisti, e poi ci sono attrezzi per preparare l’eroina e pipe di tutte le forme e colori, alcune sono vere opere d’arte che non sfigurerebbero in un museo, un museo diverso intendo. Ovviamente Marco a domanda risponde che i traffici di droga non ci sono più nel Triangolo d’Oro ma quel povero cristo chiaramente fumato se non peggio sulla panchina giù al fiume evidentemente non lo sa ancora.
C’è il modulo di soddisfazione del cliente da compilare, mia moglie 3+ alla costruzione onirica del Tempio Bianco, io premio la simbologia oscura della Casa Nera, il Tempio Cinese? E chi se lo ricorda più. Domani passiamo in Laos.

Il Triangolo d’Oro e la Casa Nera

Luigi Lazzaroni

Luigi Lazzaroni
Non credo nell’astrologia ma mi ritrovo in alcune caratteristiche del mio segno, ovviamente quelle che mi fanno più comodo: l’Acquario ama sentirsi libero e sente il bisogno di spostarsi continuamente, adora viaggiare, è attratto da tutto ciò che è nuovo, ha idee continue che gli girano in testa, gli Acquario sono sognatori. Confermo al cento per cento. Per il resto studi classici, laurea scientifica giusto per cambiare, pittura nei periodi di meditazione, fotografia sempre, in montagna da solo o con gli amici, in giro per il mondo con una moglie che mi tiene nel mondo reale tranne che in Amazzonia dove non vuole proprio venire.
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Thailandia: i templi di Chiang Mai

Thailandia: i templi di Chiang Mai



Viaggi Di Luigi Lazzaroni. Il mercato degli insetti, il Karen village e i templi di Chiang Mai, in Thailandia.

Kad Thung Kwian Market, mercato degli insetti, sulla strada per Chiang Mai – dai assaggiamo questi! – che schifo! – allora queste che sono più piccole o preferisci quei bacherozzi bianchi? Sono già conditi con la verdura, sennò quelli più ciccioni – va bene, una cavalletta ma piccola! Ci sono anche grilli, ditischi, formiche, mosconi, scarafaggi, tutti cotti al vapore o fritti, ma non è che facciano meno impressione i due conigli stecchiti che però hanno la coda da topo o le teste di maiale che sembrano proprio quelli di Shaun vita da pecora. La maggior parte degli insetti viene dalla Cambogia perché in Thailandia si usano troppi insetticidi nelle risaie – ci spiega Marco la nostra guida factotum – prendete una cipollina, pulisce la bocca. Molto peggio della cavalletta!
Ferma, ferma! Una piantagione di…? Pitaya, dragon fruit. Pilastrini di cemento sostengono cactus dai fusti ricadenti, fiori bianchi bellissimi, frutti rossi ancora più belli, il contadino ne prende dalle ceste due appena raccolti e ce li apre, grazie, thank you! Insipidi rispetto alle cipolline ma molto meglio così.

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Villaggio Karen, deviazione dalla strada per Chiang Mai.

Il villaggio è ai piedi delle colline tra risaie ordinate e verdissime, tutte case di legno su palafitte di cemento a parte un paio di ville con muri di recinzione e SUV nuovi di zecca dai vetri oscurati – i Karen hanno traffici strani, borbotta Marco, vengono dal Myanmar – e con questo dice tutto. SUV a parte, tante farfalle sui cespugli fioriti lungo le stradine, un vecchietto con gli occhiali intento a costruire una scopa di saggina, un bufalo nero dallo sguardo minaccioso, un signore alle prese con un cesto di vimini, tre allegri bambini con le statuine di plastica dei Supereroi, su un graticciato sotto le palafitte di una casa due vecchiette magrissime e due nipotine paffutelle, le vecchiette sono piene di tatuaggi sulle braccia e sulle mani e portano grandi orecchini bianchi inseriti nel lobo dilatato dell’orecchio, una ha uno sguardo indagatore, l’altra sembra sorridere sotto i baffi, scamiciato identico, si lasciano fotografare, le nipotine ridono divertite. Ritornando verso la macchina due bambini in bici ci rincorrono per salutarci, è lei che comanda, ha la maglia rossa della nazionale di calcio della Suzuki Cup 2015, scambio di sorrisi, bye bye.

Il Karen village e Kad Thung Kwian Market, il mercato degli insetti

Chiang Mai, domenica, in giro da soli per wat ma non si fa fatica a trovarli, ce ne sono a decine. 

Ce n’è uno con dragoni colorati agli angoli del tetto, un altro con dragoni bianchi, in uno c’è un Buddha enorme illuminato d’azzurro, le statue più piccole ai suoi piedi sembrano i lumini delle nostre chiese, un altro monastero ha porte e finestre con stipiti elaboratissimi, una specie di barocco in salsa thai, un altro ancora ha un enorme gong nero all’ingresso e tre turiste stupite lì davanti, un Buddha dorato e una inquietante statua di cera di un monaco seduto sotto una zanna d’elefante, sembra vivo, sul retro un chedi antico di mattoni corrosi e uno stagno su cui corre una passerella di bambù tutta bordata di bandiere azzurre e gialle, molto scenografica. E non è finita. Il Wat Chang Taem ha tetto a capanna di dieci falde, ingresso difeso da battaglieri dragoni bianchi, interno tirato a specchio, una ragazza inginocchiata davanti all’altare con cinque Buddha dalla veste rossa e una scultura dorata che è un intrico inestricabile di serpenti, nel mezzo Garuda, l’uccello veicolo di Vishnu e emblema della Thailandia. Di fianco al mercato c’è un altro wat con un chedi risplendente d’oro, dentro un verde Buddha di Smeraldo e una bambina sorridente piedi nudi vestito rosa ghiacciolo in mano.
Ci siamo persi tra le bancarelle del mercato, un mare di gente e di turisti, souvenir per tutti i gusti, guarda quello! In una scatola uno scarabeo grande come la mia mano, di fianco scatole con farfalle bellissime – no, non le compero altrimenti domani ne prendono subito altre, dico a malincuore – allora prendiamo un elefantino, ne approfitta subito mia moglie, una statuina di elefantino.
Cena lungo la strada mentre i turisti si fanno massaggiare i piedi e i monaci cantano nei wat.

Il Wat Chang Taem

Il giorno dopo Wat Chedi Luang – è il tempio più importante di Chiang Mai – ci garantisce Marco. 

Alla porta d’ingresso due guardiani verdi con mazza e spada, tanti turisti, nel tempietto sotto un albero altissimo c’è il pilastro di fondazione della città - ti racconto cosa c’è dentro - dico a mia moglie contrariata, a dir poco, perché le donne non sono ammesse – soffitto nero pieno di ghirigori, lampadari di filigrana dorata, sulle pareti dipinti color pastello come i libri di fiabe, c’è anche Indra sul suo elefante, il pilastro quasi non si vede, è tutto coperto, comunque bello, peccato che tu non lo possa vedere… Di fianco c’è la sala delle preghiere, via le scarpe, si entra e si resta a bocca aperta, un tripudio di colori, il soffitto delle navate laterali non si vede perché coperto da nastri pendenti gialli arancio e oro con impressi gli animali del calendario cinese – ne comperiamo uno? ovvio che sì – tappeto rosso sul pavimento della navata centrale, colonne nere ravvivate da arzigogolati stencil dorati, sul soffitto nero a stelle d’oro risplendono le gocce di cristallo dei lampadari, un Buddha ascolta paziente le preghiere dei fedeli inginocchiati e sorride sornione ai turisti basiti. Dietro c’è un grande chedi di mattoni, naga feroci a guardia delle scale, elefanti a sopportarne il peso, la parte superiore è crollata – per un certo tempo nel chedi è stato conservato il Buddha di Smeraldo, adesso è a Bangkok – e poi una specie di pagoda e un altro monaco di cera che sembra vero, in un’altra c’è un Buddha nero, questo è proprio bello, sotto una tettoia un grande Buddha disteso, altra tettoia panzone vestito di rosso non credo sia un altro Buddha, davanti a ogni statua una cassetta per le elemosine, i monaci ragazzini rapati a zero salutano sorridenti e sfrontati.

i templi di Chiang Mail

Il Wat Phrathat Doi Suthep sta nel bosco in cima a una collina.

Io la scala non la faccio! – la scala in questione è in effetti lunga – c’è la funicolare – suggerisce Marco, ok loro due in funicolare io per la scala. Foto ai due naga che fanno da balaustra con signora cinese a mani giunte incorporata, sfida a colpi di foto con i tanti turisti asiatici, foto ai frutti degli alberi del pane, foto all'elefante bianco su in cima, foto ai ritrovati moglie e guida, preso dall'ansia fotografo di tutto e di più, la fila di campane do not push the bells, il tempietto tutto ricamato d’oro, le due salamandre nere all'ingresso di un altro, il panorama di Chiang Mai dalla terrazza, i festoni di orchidee di plastica di tutti i colori, le ragazze orientali in casual improbabili, le occidentali tutte ma proprio tutte compresa mia moglie con i pantaloni multicolori a gamba larga che si vendono in tutti i mercatini dell’Asia, i dipinti nella galleria interna del chiostro – cosa ti ha spiegato Marco? Boh, storie di Buddha, non ho capito molto – e poi il grande chedi luccicante d’oro, i parasole dorati agli angoli, le statue di Buddha in piedi sedute sdraiate d’oro di bronzo di giada di plastica, le corone di tagete gialli le candele gialle, il fumo dei bastoncini d’incenso, i fedeli in preghiera, gli espositori girevoli pieni di banconote, una conturbante statua di cera di un santo monaco sotto zanne d’elefante, un altare strapieno di statue statuine gingilli vari, offerte di cibo, composizioni floreali, tanti simboli enigmatici e significati oscuri e dappertutto gli sguardi vuoti e sorpresi dei turisti.
Oggi pomeriggio trasferimento a Chiang Rai, non so se dolermene o esser contento.

Luigi Lazzaroni

Luigi Lazzaroni
Non credo nell’astrologia ma mi ritrovo in alcune caratteristiche del mio segno, ovviamente quelle che mi fanno più comodo: l’Acquario ama sentirsi libero e sente il bisogno di spostarsi continuamente, adora viaggiare, è attratto da tutto ciò che è nuovo, ha idee continue che gli girano in testa, gli Acquario sono sognatori. Confermo al cento per cento. Per il resto studi classici, laurea scientifica giusto per cambiare, pittura nei periodi di meditazione, fotografia sempre, in montagna da solo o con gli amici, in giro per il mondo con una moglie che mi tiene nel mondo reale tranne che in Amazzonia dove non vuole proprio venire.
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Viaggio in Thailandia tra le antiche capitali del Siam

Viaggio in Thailandia tra le antiche capitali del Siam

Viaggio in Thailandia tra le antiche capitali del Siam

Viaggi Di Luigi Lazzaroni. Thailandia, tra le antiche capitali del Siam, on the road da Bangkok.

Volo disturbato dai monsoni ma a Bangkok non piove, all’uscita cartello “Signor Luigi” – eccoci, siamo noi!
Il nostro accompagnatore, nome in codice Marco perché il nome vero è uno scioglilingua, fa il doppio lavoro e mentre guida brandisce un dépliant cartonato che spiega, in inglese e thai più i segni zodiacali in latino, come giorni giorni fanno una settimana e 12 mesi sono un anno – avete capito? Sì, grazie. Altro dépliant, la frutta: disegnino, nome inglese, nome locale, quando matura, come si mangia, ok, grazie – dobbiamo provare il long-gong, il chompoo, il khanun e il durian – no il durian no, non ti ricordi la puzza? Macchina dotata di go-pro, interno ricoperto di stoffa fiorata rosa, guida a destra. È il momento della famiglia reale, niente cartelli, il re è Maha Vajiralongkorn Bodindradebayavarangkun, la regina non c’è, meno male, perché il re ha divorziato per la terza volta qualche anno fa, aggiunge con un certo disappunto, sette figli, non ricorda lui tutti i nomi e dobbiamo ricordaceli noi?

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Ayuthhaya: Historical Park e Wat Mahathat.

Dopo due ore di macchina, rintronati per il fuso orario e per il concentrato di cultura tailandese, visita all’Ayutthaya Historical Park davanti alla cui entrata, tra macchine e tuk-tuk, gironzola tranquillo un elefante con un pezzo di canna da zucchero nella proboscide e due turiste con parasole in groppa.
Era la capitale del regno del Siam, esordisce Marco nella veste di guida turistica, ma è stata distrutta dai Birmani nel 1767, ma solo perché loro avevano i cannoni, aggiunge a difesa della patria, prima di entrare potete fare una foto alla famosa testa di Buddha tra le radici di quell'albero – non sia mai che qualcuno mi dica cosa fotografare!, tanto ci pensa di sicuro mia moglie.
Sul cartello Wat Mahathat, 1370 A.D. Ruderi diroccati, torri crollate – sono stupa? – sì ma in Thailandia si chiamano chedi – perché sono tutte sbilenche? – per le cannonate dei Birmani – colonne spezzate, statue cadute – distrutte dai Birmani – un muro di mattoni così ondeggiante da far venire il mal di mare, una fila di Buddha senza testa, sì lo sappiamo, colpa dei Birmani.
Tre alti chedi a forma di campana, punta acuta, stucco bianco e strisce nere di alghe monsoniche – è il Wat Phra Sri Sanphet, sono dei mausolei reali, ci informa Marco, è il più famoso e il più visitato monumento di Ayutthaya – e si vede, turisti su e giù dalle scalinate come tante formichine, bastoncini dei selfie dal basso verso l’alto per prendere bene le punte dei monumenti, una scolaresca annoiata attorno all'insegnante, e noi? Noi siamo stanchi e ci aspettano altre ore di macchina per Sukhothai, però basta cultura tailandese.

Ayuthhaya: Historical Park e Wat Mahathat.

Il sito archeologico di Sukhotai è un po’ come il Foro Romano, ha più alberi e tanti laghetti coperti da ninfee, ma per visitarlo serve la stessa resistenza fisica e psicologica.

Si parte da uno stagno con ninfee fucsia nel quale si specchiano i resti di un colonnato e una grande statua di Buddha, è il Wat Mahathat – ma non era a Ayutthaya? – sì, il nome vuol dire Tempio della Grande Reliquia di Buddha e ce ne sono una dozzina che si chiamano così in Thailandia, questo è famoso per le statue. In effetti il primo Buddha è alto almeno sei metri da seduto, sorride enigmatico, una specie di fiamma in testa, orecchie allungate, stucco bianco annerito dalle piogge, poi un altro Buddha in piedi – Sukhotai è famosa per queste statue, sono l’apice dell’arte thai – commenta orgoglioso Marco ma è da specialisti apprezzare le differenze, altri Buddha sparsi qua e là tra i chedi di mattoni, da qualche parte ci deve essere anche un Buddha che cammina, la statua.
Anche noi a camminare tra biciclette e laghetti, altro stagno stesse ninfee fucsia, una passerella ostruita da turisti, il carico di un paio di pullman – guardate qui – sotto il tettuccio che ripara il cartello informativo un grosso geco color del legno, immobile, pare che lo conoscano tutte le guide, foto. Il chedi a forma di campana del Wat Sa Si se ne sta tutto rosso di mattoni al centro dell’isola su un prato ben tenuto, foto, sul davanti le solite colonne spezzate, foto, e un’altra grande statua di Buddha, foto, gli alberelli di frangipane sono profumatissimi, foto, al ritorno – avete visto la statua del Buddha che cammina? – no, niente foto. Ci consoliamo con la garzaia rumorosa di aironi bianchi sugli alberi lì attorno, questi non ci sono ai Fori.

 Sukhotai

Wat Si Sawai e Wat Sri Chum.

In macchina, altro wat (Wat Si Sawai), all'ingresso tre donne in motorino con borse piene di paccottiglia per turisti, all'interno, oltre ai turisti, tre torri a forma di pannocchia e decorazioni simili a quelle birmane, era un tempio hindu poi buddista, in giro a far foto, il resto della storia lo leggerò sul cellulare, forse, ho fatto la scansione del codice QR sul cartello informativo.
Primi segni di cedimento, mia moglie – ma quanti ce ne sono ancora? Dieci minuti di macchina, un vialetto polveroso, una grande costruzione quadrata seminascosta dagli alberi (Wat Sri Chum) – guarda si vede la faccia! – un’apertura stretta e ogivale lascia vedere il viso del grande Buddha al suo interno, lo sguardo quasi spiritato – ma è proprio grande! – non è grande, è gigantesco, 15 metri dice la guida, seduto in meditazione, le sue mani all'altezza dei nostri occhi, le unghie dorate, bello nonostante le dimensioni.
Un’isoletta al centro di uno stagno, sul ponte di legno sventolano bandierine gialle e azzurre – il giallo è il colore del lunedì e del re che è nato di lunedì – e l’azzurro? – è il colore del venerdì, continua Marco, era il colore della regina precedente – e svicola via – tu e le tue domande, brontola mia moglie.

Wat Phra Sri Rattana Mahathat

Pranzo? – sì però prima passiamo dalla Wat Phra Sri Rattana Mahathat sulla strada per Chiang Mai – non puoi certo dire di no. 

Una specie di missile puntato verso il cielo, questo è il chedi del Watqualcosamahathat, nel recinto di lastre di pietra si apre una piccola porta sormontata da una scultura con le facce come quelle del Bayon di Angkor, in fondo alle solite colonne crollate un grande Buddha con la fascia dorata – saliamo? – no io ti aspetto di sotto. In cima alla ripida scala una piccola cella, un linga coperto da fasce multicolore e una bella ragazza che si gira e allarga le braccia per farsi fotografare dall'amica giù in basso. Di ritorno, ai piedi della scala – ho visto una statua di Buddha che cammina! – mi dice orgogliosa mia moglie – ho visto una statua di ragazza che parlava! – rispondo trasognato io.
Ve lo avevo detto che c’era troppa roba da vedere, dopo un po’ ti perdi tra statue, nomi e turisti, proprio come al Foro Romano.




Luigi Lazzaroni

Luigi Lazzaroni
Non credo nell’astrologia ma mi ritrovo in alcune caratteristiche del mio segno, ovviamente quelle che mi fanno più comodo: l’Acquario ama sentirsi libero e sente il bisogno di spostarsi continuamente, adora viaggiare, è attratto da tutto ciò che è nuovo, ha idee continue che gli girano in testa, gli Acquario sono sognatori. Confermo al cento per cento. Per il resto studi classici, laurea scientifica giusto per cambiare, pittura nei periodi di meditazione, fotografia sempre, in montagna da solo o con gli amici, in giro per il mondo con una moglie che mi tiene nel mondo reale tranne che in Amazzonia dove non vuole proprio venire.
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