Vuco Anita (Spalato, Croazia 1971) già da venticinque anni vive e lavora in Italia ,dove si è laureata in Lingue e Letterature straniere moderne (1999), presso l'Università di Roma "La Sapienza", dove ha conseguito anche il Dottorato di ricerca in Filologia e letterature comparate dell'Europa centro-orientale (2006), presentando la tesi "Danilo Kiš: l'enigma della lettera", in cui individua i tratti dell'ebraismo kišiano e l'importanza della cultura ebraica per la poetica dell'autore. La sua attività è dunque prevalentemente quella della traduttrice letteraria.
Ciao Anita. Grazie per aver accettato di rispondere alle mie domande. In realtà non so bene da dove cominciare, vuoi presentarti tu?
Sono una perfetta casalinga, di quelle che fanno la spesa al mercato, non comprano quasi mai i surgelati, e preparano le marmellate in casa. Mi piace cucinare, ho quattro figli che mangiano tanto e con gusto. Nella vita di tutti i giorni sono una che cerca di trasmettere a loro l'amore per la semplicità. Viviamo in provincia, si sta molto fuori, all'aperto e appena il tempo lo permette in spiaggia. Tra il lago e il mare almeno tre mesi di bagni sono certi. Da quando sono nati, l'estati le passiamo in Croazia, da mia madre. Mi piace il cambio di prospettiva, il distacco completo da tutto quanto consideriamo scontato per tutto il resto dell'anno, e invece scontato non lo è affatto.
Cosa ti piace fare nel tempo libero, se te ne resta tra i mille impegni?
I miei impegni sono le mie passioni, amo occuparmi della mia famiglia, certo, può capitare la giornata di stanchezza, di quelle che non vuoi saperne nemmeno di alzarti dal letto, ma poi passa anche. Tutto va e viene, ogni periodo porta il suo. Quando i miei figli erano più piccoli non mi passava per la testa di fare qualcosa “da sola”, non avevo bisogno del tempo libero per sentirmi libera. Ora ho cominciato a viaggiare per lavoro, piccole cose, un passo alla volta: una fiera, una presentazione. Questo viaggiare per il lavoro è un piacere, non un altro impegno. Sono tre anni che, a maggio, vado a Belgrado, al BEPS (Incontri internazionali belgradesi dei traduttori editoriali), e mi allungo ogni volta a restare qualche giorno in più, per conoscere cose nuove. Amicizie diventate più strette, non sarà un caso, tra traduttori stessi. Alcuni li rivedrò già in ottobre, al Festival di letteratura "Think Tank Town", la più grande manifestazione letteraria non commerciale dell'intera regione balcanica, messa in piedi a Leskovac, e che quest'anno, decima edizione, sarà dedicata interamente alla traduzione letteraria.
Come trovi la determinazione e la dedizione necessarie per portare avanti i tuoi progetti?
Non ho altra scelta: letteratura è la mia casa! L’unico terreno dove sono e posso essere me stessa. Credo fermamente, come diceva già Danilo Kiš, scrittore di origini ebraiche e di lingua serbo-croata, che non esiste una separazione tra la vita e la letteratura, sono un unicum. Non c'è un interruttore che io possa girare e dire: ora non lavoro, non scrivo più, non traduco. Di letteratura io non mi “occupo”, come spesso vedo scritto nei curriculum delle persone, ci vivo dentro, la occupo tutti i giorni. Da questo punto di vista diventa chiaro come non ci sia una dedizione particolare da parte mia: la determinazione non la devo cercare, essa fa parte di me, mi tiene in vita.
Raccontaci un po' il tuo stile. Qual è il tuo genere preferito, le tue letture...
Non ho un genere preferito; mi piace leggere di tutto e poi fare la cernita. Sono pochi i libri che sopravvivono, gli unici che apro da anni sono quelli di Orwell, Andreev, Kiš, Puškin, Uhlman e basta. Temo che anche Stojanović che ho già tradotto in italiano, e di cui sto traducendo un secondo romanzo, sarà uno di quelli destinati essere a lungo una nicchia nella mia libreria. Le prossime letture, che stanno lì buone buone in attesa di essere affrontate, sono al momento: Kruso di Lutz Seiler, trad. Paola Del Zoppo (Del Vecchio Editore); Breve diario di frontiera di Gazmend Kapllani, trad. Maurizio De Rosa (Del Vecchio Editore); La caduta delle consonanti intervocaliche di Cristovão Tezza, trad. Daniele Petruccioli (Fazi Editore); La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin, trad. Federica Aceto (Bollati Boringhieri); Fisica della malinconia di Georgi Gospodinov, a cura di Giuseppe Dell'Agata (Voland).
Quando sei all’opera, come ti piace scrivere? In silenzio, con la musica, a orari fissi...
Non c'è nulla di fisso nella mia vita, mi adatto alle esigenze del momento, da sempre. Aspettavo il mio primogenito facendo gli ultimi cinque esami universitari; mi sono laureata quando lui aveva un anno, con il massimo dei voti. L'anno dopo è nata la sua sorellina, e quando lei ebbe un anno sono entrata nel dottorato, e nel corso di quest’ultimo è nato il terzo dei figli. Ho sostenuto la mia tesi senza ricorrere a proroghe o altro, anche lavorando per mantenermi, nel frattempo. Poi è arrivato anche il quarto figlio a completare la banda. Non avendoli vicini non potevamo contare sull'aiuto dei famigliari - mio marito è colombiano - ma solo sulle nostre uniche forze. Si impara a gestire il tempo secondo i ritmi della fame, della stanchezza, del sonno, dei bisogni dei bambini. Scrivo in qualsiasi momento e ovunque, che ci sia luce o buio (l'ho sperimentato allattando!), silenzio o rumore. Mi è indifferente dove mi trovo. Certi testi sono nati dal silenzio, altri recano sullo sfondo il fruscio dei giochi infantili, delle domande dei bambini, e ora che sono cresciuti, ora che suonano tutti, tra le righe tradotte sento le prove della batteria, del violino, del pianoforte. Mio marito è un percussionista, vuol dire che in casa il silenzio è roba rara: quando capita, ogni tanto e quasi per errore, mi affretto a goderlo tutto. Lontana da me l’idea di cercare musica per rilassarmi. Se proprio succede che sono io quella che sceglie il genere, allora si tratta quasi sempre di musica brasiliana, tipo Caetano Veloso che non mi stanco mai di ascoltare. E poi, un brano che non solo non mi disturba mentre scrivo, ma che in qualche modo aiuta nella guida della mano, è Indian Summer , The Doors. Ipnotico!
Hai modelli letterari o artistici in mente?
Danilo Kiš in primis. Quando scrivo misuro severamente le parole, cancello più di quanto non aggiunga, vorrei saper trasmettere attraverso gli spazi vuoti tra le righe, non raccontare mai direttamente quello che mi sta più a cuore, non diventare patetica, autoreferenziale, banale. Rendere solo lo scheletro di una storia, l'essenziale destinato a durare. Peščanik [Clessidra] e Grobnica za Borisa Davidoviča [Una tomba per Boris Davidovič], tradotti per Adelphi da Lionello Costantini e Ljiljana Avirović, sono le opere che meglio rappresentano il mio modello di letteratura - se di un modello si può parlare, perché ogni epoca, anzi, ogni fatto accaduto, richiede una forma nuova. Sono almeno vent'anni che scrivo lo stesso romanzo, ed è ancora incompiuto. Potrebbe anche darsi che non ne sia affatto capace, che non sia portata alla scrittura, bisogna metterlo in conto. Devo aggiungere anche un'altra considerazione, devo, sarebbe ingiusto non farlo: Andrea Rényi, traduttrice dall'ungherese, è una persona che stimo molto. Ecco, se dovessi mai assomigliare a qualcuno vorrei essere come lei: impegno costante nel promuovere la letteratura e la cultura magiara in Italia; fraseggio elegante e raffinato, aperto. Al posto di un modello rigido da prendere ad esempio, preferisco la sua immagine equilibrata, le sue linee guida da imitare con naturalezza.
Sei una grande osservatrice della realtà che ti circonda? Ti piace di più inventare, lavorare con la fantasia, o raccontare il quotidiano della gente di tutti i giorni?
Credo che la letteratura sia un grande lusso: la possibilità rara di comunicare con chi ha vissuto prima di noi e con chi non è ancora nato. Qualcosa di troppo speciale per essere lasciato nelle mani della pura invenzione. La fantasia dovrebbe essere solo la colla che tiene uniti i cocci del reale. Tra mille pensieri, ricordi o altro, bisogna scegliere solo quelli più significativi. Non trovo il senso dell’invenzione fine a sé stessa o di quella creata tanto per far divertire qualcuno. Ci sono cose più importanti da ricordare, memorizzare e trasmettere ad altri – in così gran numero che una singola vita diventa fin troppo breve per un lavoro di cernita appena decente. Osservo e ricordo, questo è certo, e ho la pessima abitudine di non dimenticare nulla, nemmeno dopo molti anni. Forse un giorno riuscirò a trovare la forma adeguata per rendere giustizia alle tante storie depositate. La stessa cosa vale anche per i libri che traduco: Var di Saša Stojanović, pubblicato da Ensemble edizioni, è un libro maledettamente complesso sulla guerra nel Kosovo: nell'opera ci sono trenta voci narranti che, per quanto assurdo possa sembrare, sono tutte voci vere, senza che per questo il libro si trasformi in un saggio documentaristico. Put za Jerihon [La strada per Gerico] dello stesso autore e su cui sto lavorando attualmente, indirizza il lettore verso un vero eroe dei nostri giorni, Ahmed Ademović, un trombettista zingaro che, “con la musica” presa alla lettera, suonando la ritirata riesce a fermare l’imminente massacro dell’esercito ottomano, offrendo ai serbi la vittoria della battaglia di Kumanovo, nella prima guerra balcanica (ottobre 1912). Stakleni zid [Il muro di vetro] di Vladimir Tasić, attraverso il punto di vista di un bambino nato e cresciuto in Canada, racconta ancora una volta i tragici avvenimenti della Jugoslavia di ieri (espressione utilizzata da Luči Žuvela, nelle sue Isole di salvezza, l'unica che riesco ad accettare senza sentirmi trafitta da quel fastidioso prefisso “ex” con cui tutti gli altri la definiscono comunemente), e l'omicidio della giornalista Dada Vujasinović, avvenuto nel suo appartamento la notte dal 7 al 8 aprile del 1994 a Belgrado - un caso questo ancora aperto e bollato come “suicidio” durante gli anni del regime di Milošević. Nel romanzo di Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura, che sto traducendo dall'italiano al croato, si percorrono i passi di Saamiya Yusuf Omar, un'atleta somala che partecipò alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, morta nel Mediterraneo, il 2 aprile 2012, mentre tentava di afferrare la cima di una fune appena lanciata dai soccorritori italiani...
Progetti futuri?
Scrivere di più e meglio. Pubblicare. Tradurre. Far conoscere certi testi slavi completamente “fuori dai binari”, che non corrispondono alle aspettative del lettore medio italiano.
Vuoi lasciare un messaggio per i più giovani o per gli scrittori emergenti?
Quello che ripeto a me stessa tutti i giorni: non dare retta alle voci che ti chiedono chi te lo fa fare, perché lo fai, quanto ti conviene. "All'età di cinquant'anni ognuno ha la faccia che si merita" e io voglio guadagnarmi la mia.
Grazie ancora per aver accettato di rispondere alle mie domande. In bocca al lupo per tutto!
BIBLIOGRAFIA. Nell'antologia Racconti d'estate, AA.VV., Ensemble Edizioni, luglio 2015, pubblica uno dei suoi racconti, Il viaggio di Vensana, scritto ben diciotto anni prima. A novembre del 2015 va in stampa, l’attesa traduzione del romanzo Var di Saša Stojanović, considerato uno dei maggiori scrittori serbi contemporanei. Per la collana Echos, verranno pubblicate prossimamente le traduzioni del dramma di Miroslav Krleža U agoniji [Agonia] e il romanzo Očajnički sluteći Cohena [Disperatamente intuendo Cohen] di Irena Lukšić, un secondo romanzo di Saša Stojanović, Put za Jerihon [La strada per Gerico], una raccolta di racconti di Vida Ognjenović, Otrovno mleko maslačka [Il latte velenoso di tarassaco], e il romanzo Stakleni zid [Il muro di vetro] di Vladimir Tasić. A settembre di quest'anno Ensemble Edizioni darà alle stampe anche una sua silloge poetica: Parole blu.
Ciao Anita. Grazie per aver accettato di rispondere alle mie domande. In realtà non so bene da dove cominciare, vuoi presentarti tu?
Sono una perfetta casalinga, di quelle che fanno la spesa al mercato, non comprano quasi mai i surgelati, e preparano le marmellate in casa. Mi piace cucinare, ho quattro figli che mangiano tanto e con gusto. Nella vita di tutti i giorni sono una che cerca di trasmettere a loro l'amore per la semplicità. Viviamo in provincia, si sta molto fuori, all'aperto e appena il tempo lo permette in spiaggia. Tra il lago e il mare almeno tre mesi di bagni sono certi. Da quando sono nati, l'estati le passiamo in Croazia, da mia madre. Mi piace il cambio di prospettiva, il distacco completo da tutto quanto consideriamo scontato per tutto il resto dell'anno, e invece scontato non lo è affatto.
Cosa ti piace fare nel tempo libero, se te ne resta tra i mille impegni?
I miei impegni sono le mie passioni, amo occuparmi della mia famiglia, certo, può capitare la giornata di stanchezza, di quelle che non vuoi saperne nemmeno di alzarti dal letto, ma poi passa anche. Tutto va e viene, ogni periodo porta il suo. Quando i miei figli erano più piccoli non mi passava per la testa di fare qualcosa “da sola”, non avevo bisogno del tempo libero per sentirmi libera. Ora ho cominciato a viaggiare per lavoro, piccole cose, un passo alla volta: una fiera, una presentazione. Questo viaggiare per il lavoro è un piacere, non un altro impegno. Sono tre anni che, a maggio, vado a Belgrado, al BEPS (Incontri internazionali belgradesi dei traduttori editoriali), e mi allungo ogni volta a restare qualche giorno in più, per conoscere cose nuove. Amicizie diventate più strette, non sarà un caso, tra traduttori stessi. Alcuni li rivedrò già in ottobre, al Festival di letteratura "Think Tank Town", la più grande manifestazione letteraria non commerciale dell'intera regione balcanica, messa in piedi a Leskovac, e che quest'anno, decima edizione, sarà dedicata interamente alla traduzione letteraria.
Anita Vuco: “La Jugoslavia di ieri” è l'unica espressione che riesco ad accettare senza sentirmi trafitta da quel fastidioso prefisso “ex” con cui tutti gli altri la definiscono comunemente.
Non ho altra scelta: letteratura è la mia casa! L’unico terreno dove sono e posso essere me stessa. Credo fermamente, come diceva già Danilo Kiš, scrittore di origini ebraiche e di lingua serbo-croata, che non esiste una separazione tra la vita e la letteratura, sono un unicum. Non c'è un interruttore che io possa girare e dire: ora non lavoro, non scrivo più, non traduco. Di letteratura io non mi “occupo”, come spesso vedo scritto nei curriculum delle persone, ci vivo dentro, la occupo tutti i giorni. Da questo punto di vista diventa chiaro come non ci sia una dedizione particolare da parte mia: la determinazione non la devo cercare, essa fa parte di me, mi tiene in vita.
Raccontaci un po' il tuo stile. Qual è il tuo genere preferito, le tue letture...
Non ho un genere preferito; mi piace leggere di tutto e poi fare la cernita. Sono pochi i libri che sopravvivono, gli unici che apro da anni sono quelli di Orwell, Andreev, Kiš, Puškin, Uhlman e basta. Temo che anche Stojanović che ho già tradotto in italiano, e di cui sto traducendo un secondo romanzo, sarà uno di quelli destinati essere a lungo una nicchia nella mia libreria. Le prossime letture, che stanno lì buone buone in attesa di essere affrontate, sono al momento: Kruso di Lutz Seiler, trad. Paola Del Zoppo (Del Vecchio Editore); Breve diario di frontiera di Gazmend Kapllani, trad. Maurizio De Rosa (Del Vecchio Editore); La caduta delle consonanti intervocaliche di Cristovão Tezza, trad. Daniele Petruccioli (Fazi Editore); La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin, trad. Federica Aceto (Bollati Boringhieri); Fisica della malinconia di Georgi Gospodinov, a cura di Giuseppe Dell'Agata (Voland).
Quando sei all’opera, come ti piace scrivere? In silenzio, con la musica, a orari fissi...
Non c'è nulla di fisso nella mia vita, mi adatto alle esigenze del momento, da sempre. Aspettavo il mio primogenito facendo gli ultimi cinque esami universitari; mi sono laureata quando lui aveva un anno, con il massimo dei voti. L'anno dopo è nata la sua sorellina, e quando lei ebbe un anno sono entrata nel dottorato, e nel corso di quest’ultimo è nato il terzo dei figli. Ho sostenuto la mia tesi senza ricorrere a proroghe o altro, anche lavorando per mantenermi, nel frattempo. Poi è arrivato anche il quarto figlio a completare la banda. Non avendoli vicini non potevamo contare sull'aiuto dei famigliari - mio marito è colombiano - ma solo sulle nostre uniche forze. Si impara a gestire il tempo secondo i ritmi della fame, della stanchezza, del sonno, dei bisogni dei bambini. Scrivo in qualsiasi momento e ovunque, che ci sia luce o buio (l'ho sperimentato allattando!), silenzio o rumore. Mi è indifferente dove mi trovo. Certi testi sono nati dal silenzio, altri recano sullo sfondo il fruscio dei giochi infantili, delle domande dei bambini, e ora che sono cresciuti, ora che suonano tutti, tra le righe tradotte sento le prove della batteria, del violino, del pianoforte. Mio marito è un percussionista, vuol dire che in casa il silenzio è roba rara: quando capita, ogni tanto e quasi per errore, mi affretto a goderlo tutto. Lontana da me l’idea di cercare musica per rilassarmi. Se proprio succede che sono io quella che sceglie il genere, allora si tratta quasi sempre di musica brasiliana, tipo Caetano Veloso che non mi stanco mai di ascoltare. E poi, un brano che non solo non mi disturba mentre scrivo, ma che in qualche modo aiuta nella guida della mano, è Indian Summer , The Doors. Ipnotico!
Hai modelli letterari o artistici in mente?
Danilo Kiš in primis. Quando scrivo misuro severamente le parole, cancello più di quanto non aggiunga, vorrei saper trasmettere attraverso gli spazi vuoti tra le righe, non raccontare mai direttamente quello che mi sta più a cuore, non diventare patetica, autoreferenziale, banale. Rendere solo lo scheletro di una storia, l'essenziale destinato a durare. Peščanik [Clessidra] e Grobnica za Borisa Davidoviča [Una tomba per Boris Davidovič], tradotti per Adelphi da Lionello Costantini e Ljiljana Avirović, sono le opere che meglio rappresentano il mio modello di letteratura - se di un modello si può parlare, perché ogni epoca, anzi, ogni fatto accaduto, richiede una forma nuova. Sono almeno vent'anni che scrivo lo stesso romanzo, ed è ancora incompiuto. Potrebbe anche darsi che non ne sia affatto capace, che non sia portata alla scrittura, bisogna metterlo in conto. Devo aggiungere anche un'altra considerazione, devo, sarebbe ingiusto non farlo: Andrea Rényi, traduttrice dall'ungherese, è una persona che stimo molto. Ecco, se dovessi mai assomigliare a qualcuno vorrei essere come lei: impegno costante nel promuovere la letteratura e la cultura magiara in Italia; fraseggio elegante e raffinato, aperto. Al posto di un modello rigido da prendere ad esempio, preferisco la sua immagine equilibrata, le sue linee guida da imitare con naturalezza.
Sei una grande osservatrice della realtà che ti circonda? Ti piace di più inventare, lavorare con la fantasia, o raccontare il quotidiano della gente di tutti i giorni?
Credo che la letteratura sia un grande lusso: la possibilità rara di comunicare con chi ha vissuto prima di noi e con chi non è ancora nato. Qualcosa di troppo speciale per essere lasciato nelle mani della pura invenzione. La fantasia dovrebbe essere solo la colla che tiene uniti i cocci del reale. Tra mille pensieri, ricordi o altro, bisogna scegliere solo quelli più significativi. Non trovo il senso dell’invenzione fine a sé stessa o di quella creata tanto per far divertire qualcuno. Ci sono cose più importanti da ricordare, memorizzare e trasmettere ad altri – in così gran numero che una singola vita diventa fin troppo breve per un lavoro di cernita appena decente. Osservo e ricordo, questo è certo, e ho la pessima abitudine di non dimenticare nulla, nemmeno dopo molti anni. Forse un giorno riuscirò a trovare la forma adeguata per rendere giustizia alle tante storie depositate. La stessa cosa vale anche per i libri che traduco: Var di Saša Stojanović, pubblicato da Ensemble edizioni, è un libro maledettamente complesso sulla guerra nel Kosovo: nell'opera ci sono trenta voci narranti che, per quanto assurdo possa sembrare, sono tutte voci vere, senza che per questo il libro si trasformi in un saggio documentaristico. Put za Jerihon [La strada per Gerico] dello stesso autore e su cui sto lavorando attualmente, indirizza il lettore verso un vero eroe dei nostri giorni, Ahmed Ademović, un trombettista zingaro che, “con la musica” presa alla lettera, suonando la ritirata riesce a fermare l’imminente massacro dell’esercito ottomano, offrendo ai serbi la vittoria della battaglia di Kumanovo, nella prima guerra balcanica (ottobre 1912). Stakleni zid [Il muro di vetro] di Vladimir Tasić, attraverso il punto di vista di un bambino nato e cresciuto in Canada, racconta ancora una volta i tragici avvenimenti della Jugoslavia di ieri (espressione utilizzata da Luči Žuvela, nelle sue Isole di salvezza, l'unica che riesco ad accettare senza sentirmi trafitta da quel fastidioso prefisso “ex” con cui tutti gli altri la definiscono comunemente), e l'omicidio della giornalista Dada Vujasinović, avvenuto nel suo appartamento la notte dal 7 al 8 aprile del 1994 a Belgrado - un caso questo ancora aperto e bollato come “suicidio” durante gli anni del regime di Milošević. Nel romanzo di Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura, che sto traducendo dall'italiano al croato, si percorrono i passi di Saamiya Yusuf Omar, un'atleta somala che partecipò alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, morta nel Mediterraneo, il 2 aprile 2012, mentre tentava di afferrare la cima di una fune appena lanciata dai soccorritori italiani...
Progetti futuri?
Scrivere di più e meglio. Pubblicare. Tradurre. Far conoscere certi testi slavi completamente “fuori dai binari”, che non corrispondono alle aspettative del lettore medio italiano.
Vuoi lasciare un messaggio per i più giovani o per gli scrittori emergenti?
Quello che ripeto a me stessa tutti i giorni: non dare retta alle voci che ti chiedono chi te lo fa fare, perché lo fai, quanto ti conviene. "All'età di cinquant'anni ognuno ha la faccia che si merita" e io voglio guadagnarmi la mia.
Grazie ancora per aver accettato di rispondere alle mie domande. In bocca al lupo per tutto!
BIBLIOGRAFIA. Nell'antologia Racconti d'estate, AA.VV., Ensemble Edizioni, luglio 2015, pubblica uno dei suoi racconti, Il viaggio di Vensana, scritto ben diciotto anni prima. A novembre del 2015 va in stampa, l’attesa traduzione del romanzo Var di Saša Stojanović, considerato uno dei maggiori scrittori serbi contemporanei. Per la collana Echos, verranno pubblicate prossimamente le traduzioni del dramma di Miroslav Krleža U agoniji [Agonia] e il romanzo Očajnički sluteći Cohena [Disperatamente intuendo Cohen] di Irena Lukšić, un secondo romanzo di Saša Stojanović, Put za Jerihon [La strada per Gerico], una raccolta di racconti di Vida Ognjenović, Otrovno mleko maslačka [Il latte velenoso di tarassaco], e il romanzo Stakleni zid [Il muro di vetro] di Vladimir Tasić. A settembre di quest'anno Ensemble Edizioni darà alle stampe anche una sua silloge poetica: Parole blu.
Paola Casadei In origine farmacista e direttore tecnico di laboratorio omeopatico, ha lasciato Forlì per trasferirsi prima a Roma, poi a Montpellier, quindi per dodici meravigliosi anni in Africa (otto in Sudafrica e quattro in Mozambico), dove ha insegnato musica e italiano. Ora risiede a Montpellier con la famiglia. L'elefante è già in valigia, Lettere Animate Editore. Malgré-nous. Contro la nostra volontà, traduzione, Ensemble Edizioni. Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo, traduzione, Cartabianca Editore. |
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