Gli scrittori della porta accanto

Popoli e migranti

Di Vincenzo Mirra. Strumentalizzazione delle differenze, guerre senza senso e tragiche spirali di disumanità. 28 luglio - 26 agosto 2015: ricordi di un'estate tra i migranti.

28 luglio 2015
Un anno fa il massacro di Gaza in cui morirono bambini innocenti colpiti da un missile esploso in un parco giochi. Ma ogni giorno il bilancio di migliaia di civili innocenti vittime delle atrocità delle guerre cresce. Lo hanno scoperto tutti che le bombe non sono intelligenti. Ospedali, scuole, parchi giochi, case, interi villaggi; niente più e niente mai è stato risparmiato dalle bombe. E le guerre, queste inutili stupide guerre, continuano a essere combattute solo per questioni di potere e interessi economici, mentre si seminano odio e violenza per giustificarle, strumentalizzando le differenze e le diversità come problemi invece di affermarle come valori sociali su cui costruire integrazione e tolleranza.
In questa tragica spirale di disumanità, i bambini sono i primi a essere travolti. Sono loro le vittime più violate, troppo spesso e in troppe parti del mondo abusati e strappati all'innocenza della loro età, che non riusciranno mai a conoscere un'esistenza spensierata e felice, come soltanto invece dovrebbe essere, riempita di corse, giochi e risate.
Poi ci sono le vittime adulte, tutti noi, che subiamo in ogni parte del mondo le decisioni della politica delle caste e delle lobbies, la finzione, la corruzione, l'informazione manipolatoria che alterna i silenzi oppressivi ed imposti ai clamori mediatici di notizie costruite ad arte per aumentare il consenso che si cerca ed alimentare l'odio per affermarlo.


C’è una linea del tempo che dovrebbe segnare il verso dell’evoluzione e del progresso. 

La vedo tracciata nei quaderni di storia e di geografia dei miei bambini. Devo colorarla con qualche immagine bella, penso tra me. Devo insegnargli con l’esempio che c’è una cultura della pace, della gentilezza, della bellezza, che può ancora esserci una ragione di speranza per l’umanità di non fare di quella linea una spezzata o una linea immaginaria. Devo farlo, sì. Ma che schifo di evoluzione per noi umani zio Charles – penso tra me – mentre le specie animali ricercano la simbiosi.
Lo hanno scoperto tutti che le bombe non sono intelligenti.
Ai morti non servirà questa scoperta.


Estate 2015, Mare Egeo orientale, coste turche, isole del Dodecaneso, isola di Kos. Migliaia, sono migliaia. Uomini, anziani, donne con i loro bambini, intere famiglie, carovane di dolore più che delle cifre dei morti.

Lasciano i loro villaggi distrutti, le case dove son nati, i resti di vite spezzate e di ricordi straziati. Scappano via dalle bombe, stanno scappando dai loro paesi in guerra e da condizioni sociali disastrose. Di tutta la loro vita passata restano solo polveri e macerie, di tutta la loro vita futura, se ancora ne avranno una, non c’è che un orizzonte incerto e lontano. Li accompagna soltanto la fatica dei passi e l’odore asfissiante di sudore e cherosene.
Nessuno di loro vorrebbe affrontare tutto questo: le umiliazioni e le torture a cui sono costretti, la ferocia disumana di trafficanti spietati e senza scrupoli, gli occhi inquisitori e malvagi di chi li ha già giudicati colpevoli, senza mai vederli vittime, prima ancora di vederli uomini.
Passano di mano in mano, per migliaia di chilometri, attraversano deserti e mari dentro carovane di stenti e stive di dolore, molti di loro muoiono, altri vedono morire amici, familiari o soltanto chi gli stava accanto: un nuovo fratello.
Tutti hanno vite spezzate, la dignità calpestata e occhi pieni di lacrime.
Alcuni riescono ad arrivare su coste di speranza: la Sicilia, la Grecia, dopotutto non si sa come ma ce la fanno. Sono Siriani, Etiopi, Somali, Eritrei, profughi. Li chiamano migranti. Sono uomini. Portano carichi di disperazione, trovano carichi di odio.
Ci insegnano e ci ripetiamo che per una società civile accoglienza e integrazione sono valori imprescindibili, ma nei Paesi dove potrebbe rinascere la speranza per migliaia di loro arrivati con tutti i loro stenti, si fanno bagarre politiche per propaganda elettorale, si sparano lacrimogeni, si alzano barriere di cemento e di filo spinato, si sparano cazzate leghiste, razziste e nazifasciste, si afferma un’altra violenza, ancora più terribile. Quella dell’odio e dell’indifferenza.
Possiamo davvero ricadere in tutto questo? Cosa le tiriamo a fare queste linee del tempo se non abbiamo imparato niente dalla memoria?


In mare, giubbetti arancione.

Ho visto in mare, giubbetti arancione
riemergere alla deriva
dentro chiazze di mare scuro
tra la l’onda e le scie di grossi caicchi in navigazione,
e poi donne stanche con i loro bambini
affiancati al dolore dei giorni
e ammassati tra antiche rovine
nei giardini di Ippocrate
tra carte e radici, in attesa di albe di fortuna
dietro i tramonti delle code degli uomini in fila
fermi, in fila al comando migranti.

Ho ascoltato come l'isola si offre a loro,
dalla voce di Georgos e dalla sua fronte
arsa, di rughe e di storie
Greco buono e mite,
accogliente e generoso
ma solo, come tanti,
di fronte a tanta solitudine.

Ho visto panni lavati in mare
e stesi al sole sulle pietre di Alicarnasso,
uomini privati di tutto,
sfiniti,
stremati,
esuli.

Sono stato a Kos,
conosco quelle spiagge
e gli abissi di queste storie:

in mare, giubbetti arancione.

26 agosto 2015

Vincenzo Mirra

Vincenzo Mirra
Nato a Napoli nel 1973, si è diplomato all'Istituto Nautico per poi laurearsi in Ingegneria Aeronautica ad indirizzo Spaziale. Alle passioni per la navigazione, il mare e l’astronautica, ha sempre aggiunto quelle per la letteratura, la scrittura di viaggio e di meditazione ed il teatro.
È autore del blog letterario Beaufort, scritture al vento e taccuini di mare che esprime scritture di vario tipo e argomentazione, anche di natura sperimentale. Dal 2005 vive a Pisa, dove dal 2015 ha iniziato a frequentare corsi e laboratori teatrali, di recitazione, di lettura corale e di drammaturgia.
Isole, AUGH! Edizioni.


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