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Recensione: Siamo tutti profughi, di Malala Yousafzai

Recensione: Siamo tutti profughi, di Malala Yousafzai

Libri Recensione di Davide Dotto. Siamo tutti profughi di Malala Yousafzai (Garzanti). Storie di donne obbligate ad abbandonare la propria terra d’origine. «Non ho lasciato la mia patria per mia volontà, ma per mia volontà ci sono tornata».

Nel libro Siamo tutti profughi, Malala Yousafzai riunisce, insieme alla propria, preziose testimonianze di donne obbligate ad abbandonare la propria terra d’origine.
Non si deve nascondere che il fenomeno migratorio interessa da millenni e con modalità diverse le popolazioni umane. È, come chiariscono Valerio Calzolaio e Telmo Pievani in Libertà di emigrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così  (Einaudi), un dato strutturale della nostra stessa evoluzione.
Si emigra per molte ragioni: vi sono coloro che fuggono da una quotidianità di violenza, guerre, case distrutte (i richiedenti asilo), chi parte nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita divenute insostenibili (i migranti economici). A costoro si aggiunge la schiera dei rifugiati climatici o eco rifugiati, di fatto senza riconoscimento giuridico e adeguata tutela internazionale: ad assisterli sono chiamati i rispettivi governi nazionali, spesso non in grado di fare molto. Si tratta di situazioni che possono convergere, amplificando la complessità di un tema non privo di articolazioni.


Le testimonianze raccolte in Siamo tutti profughi da Malala Yousafzai colpiscono per ciò che vi è tra loro in comune. Non vi è nulla di discorde nella diversità della provenienza e delle esperienze vissute: la forza, la determinazione, il coraggio, la speranza del cambiamento.

Ciascuna protagonista si trova negli Stati Uniti, o in Canada, in Belgio, nel Regno Unito. Provengono dal Pakistan (Malala), dallo Yemen (Zaymab e Sabreen), dalla Siria (Muzoon), dall’Iraq (Najla) o dal Congo passando per lo Zambia (Marie Claire). Il loro è uno sguardo cosmopolita e planetario: abbracciano la realtà nel suo complesso mettendo insieme Occidente e quello che non lo è, fino a mutuare dalle rispettive culture quello che merita di essere preso in considerazione o emendato.
Prima di questo però ciascuna è stata messa di fronte alla necessità di lasciare la propria terra. Chi ha potuto permetterselo si è munita di passaporto e del visto richiesto. Le meno fortunate, pur di non arrendersi a rigidità burocratiche e a divieti insormontabili, si è affidata ad opzioni non prive di rischi. Ciò nell'impellenza di scappare da pericoli maggiori e da ciò che rende irriconoscibile e invivibile il proprio paese.
Si capisce, allora, quanto sia facile ricorrere a soggetti senza scrupoli che preparano "viaggi della speranza" a bordo di imbarcazioni inadeguate. 


L'immigrazione clandestina è l'inevitabile alternativa di chi non è nelle condizioni di attendere un visto che non arriverà mai. Si accetta un rischio non del tutto calcolato. 

Così si esprime per esempio Sabreen, in fuga dallo Yemen:
Mentre correvo verso la spiaggia, cercavo con lo sguardo la barca che avevo immaginato: una nave grande, bellissima, con cuccette per dormire e bagni. Invece, vidi solo tre piccole barche da pesca allineate lungo la riva.
Malala Yousafzai, Siamo tutti profughi
Una volta entrati nell'ingranaggio di gente collusa con la criminalità organizzata e con la tratta e lo sfruttamento di esseri umani, non si può tornare indietro. Il Mediterraneo - per chi riesce ad attraversarlo - è più di un banco di prova. A tal proposito rinvio alla lettura di Francesco Viviano e   Alessandra Ziniti: Non lasciamoli soli. Storie e testimonianze dall'inferno della Libia (Chiarelettere).

Chi parte non sta scegliendo nient'altro che una possibilità di sopravvivenza e di certo non lo fa a cuor leggero. 

È palpabile il dramma di chi è costretto ad abbandonare la patria, pure laddove essa sia devastata dalla guerra più feroce:
Dietro di me lascerei anche le rovine della mia anima [...] C'è forse una valigia così grande che possa portare via con me anche la mia anima?
Domenico Quirico, Succede ad Aleppo (Laterza)
A Malala mancano «i suoni della lingua pashtu e l’odore della terra dopo una forte pioggia nel villaggio di montagna dove vivono i suoi nonni».


Ovunque è arduo conquistare una parvenza di normalità. I paesi confinanti chiudono le frontiere e creano, a ridosso dei confini tra Stato e Stato, emergenze umanitarie difficilmente gestibili. 

Emblematico è il racconto di Marie Claire, che Malala Yousafzai incontra in Pennsylvania. Proveniente dal Congo, lei e la sua famiglia riparano in Zambia:
Gli abitanti dello Zambia non ci volevano. Per strada ci gridavano: «Tornatevene nel vostro paese! Perché siete qui?» I ragazzini a scuola insultavano me e i miei fratelli e sorelle, persino lanciando sassi e gridando: «Questo non è il vostro paese». Non lo era, ma non ne avevamo un altro in cui andare.
Malala Yousafzai, Siamo tutti profughi
La generazione che si esprime in queste pagine ha fiducia che le cose possano (e debbano) cambiare. In passato si è parlato dell'opera civilizzatrice della moderna e vecchia Europa, di esportare nel Middle East and North Africa (c.d. Stati MENA) la democrazia, e con essa un corredo filosofico-concettuale che non si dà più troppo per scontato. Accade ora una cosa inversa: da altrove, uno spirito rinnovato e giovane fa da apripista contro ataviche tradizioni che si scoprono non così impellenti.

Ognuna, da sola e ora facendo gruppo, attivista dei diritti civili in patria come in Occidente, è riuscita e riuscirà, a poco a poco, a strappare qualcosa. 

Non sarà affatto un rapporto di forza o uno scontro tra culture, ma uno scambio reciproco fruttuoso in cui ciascuno potrà e dovrà rivedere il proprio modo di essere e di pensare, colmare ciò di cui manca l'uno e di cui manca l'altro.
Che qualcosa si stia, appunto, muovendo è intuibile dal premio Nobel per la Pace di cui Malala Yousafzai nel 2014 è stata insignita.
È importante che sia una voce femminile a fare la differenza, a spingere verso una civilizzazione e umanizzazione profonde, fino a rendere inderogabili nel concreto i diritti universali dell'essere umano: quando vengono meno le conquiste civili, in primis è la donna a soffrirne.

Siamo tutti profughi di Malala Yousafzai

Siamo tutti profughi

di Malala Yousafzai
Garzanti
Reportage | Non-fiction
ISBN 978-8811604419
Cartaceo 10,96€

Sinossi
Dopo l'assassinio del padre, María è dovuta scappare insieme alla mamma nel cuore della notte. Zaynab non ha frequentato la scuola per due anni a causa della guerra, prima di riuscire a scappare in America. Sua sorella Sabreen è sopravvissuta a un viaggio straziante verso l'Italia. Ajida è sfuggita a terribili violenze, e ha poi dovuto lottare per tenere al sicuro la famiglia in un rifugio di fortuna. L'autrice vincitrice del premio Nobel per la pace Malala Yousafzai rende onore alla realtà nascosta dietro le fredde statistiche, ai visi e alle vicende personali dietro le notizie che leggiamo quotidianamente sui milioni di rifugiati nel mondo. Le visite ai campi profughi le hanno infatti dato modo di ripensare alla propria esperienza, prima di bambina rifugiata interna nel suo Pakistan, e oggi di attivista a cui è permesso di viaggiare ovunque tranne che per far ritorno nella patria che ama. In questo libro di memorie personali e racconti collettivi, Malala incrocia la sua esperienza con le storie delle coraggiose ragazze che ha incontrato nel corso dei suoi numerosi viaggi: giovani donne che hanno improvvisamente perso la propria casa, la propria comunità, il proprio posto nel mondo. In un'epoca di grandi migrazioni, di crisi, di guerre e di conflitti, "Siamo tutti profughi" è l'accorato appello di una delle più importanti attiviste dei nostri giorni, e ci esorta a non dimenticare che ciascuno degli attuali 68,5 milioni di profughi - per la maggior parte giovani - è una persona con i propri sogni e le proprie speranze, a cui è necessario riconoscere i diritti umani fondamentali, perché ogni abitante della Terra, nessuno escluso, deve poter vivere in un posto sicuro da chiamare casa.
Davide-Dotto

Davide Dotto
Sono nato a Terralba (OR) vivo nella provincia di Treviso e lavoro come impiegato presso un ente locale. Ho collaborato con Scrittevolmente, sono tra i redattori di Art-Litteram.com e curo il blog Ilnodoallapenna.com. Ho pubblicato una decina di racconti usciti in diverse antologie.Il ponte delle Vivene, Ciesse Edizioni.


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